Tag: Racconti illustrati

Fiabe Braidensi – Nel Presepe del Bergognone

Fiabe Braidensi – Nel Presepe del Bergognone

Il Bambinello era nato. Era nato anche alla Pinacoteca di Brera. Così come i pastori, secoli e secoli prima, avevano ricevuto l’annuncio da un angelo, così anche la Risolartista sentì una chiamata speciale.  Osservando il presepe che aveva costruito con tanta cura sotto il suo 

Fiabe braidensi – “Sono Fernanda l’orsetta di Brera”

Fiabe braidensi – “Sono Fernanda l’orsetta di Brera”

Era la Vigilia di Natale, e la Risolartista aveva deciso di passare quel magico tempo di attesa nella sua seconda casa… La Pinacoteca di Brera, molto più tranquilla del solito, la circondava con il suo tepore variopinto, mentre ormai il sole scompariva all’orizzonte. Pochi erano 

La Fiera dei Colori d’Autunno… nel sottobosco di Villa Necchi

La Fiera dei Colori d’Autunno… nel sottobosco di Villa Necchi

Domenica pomeriggio, tiepido sole novembrino a indorare le vie milanesi, profumo di caldarroste sotto il naso. Un tempo ideale in cui andare a spasso, alla ricerca di colori autunnali. 

Fu un certo sentore di sottobosco (insolito nel panorama metropolitano di Milano) ad attirare lo spiritello d’artista. Possibile che l’autunno boschivo fosse arrivato fino al cuore d’asfalto della città? 

… Pare di sì. Pare che qualche ignota creatura fiabesca (un Re Elfo dei boschi… chissà) avesse trasformato un angolo di grigio in una tavolozza di tinte dolci e pittoresche. Tinte purpuree, rosse vermiglie; tinte ocra e giallo canarino. A volerle citare tutte, non si finirebbe più!

Quel che conta, è che tutti questi colori autunnali erano improvvisamente comparsi nel giardino di Villa Necchi Campiglio, a due passi dal centro meneghino. Chi è un po’ pratico del luogo, a sentir nominare tale indirizzo, penserà subito al FAI. Infatti, si tratta proprio di uno dei loro più rinomati (e plurimenzionati) beni: una villa novecentesca, dagli interni bellissimi, attorniati da un verde da favola.

Un verde così da favola, da fare gola a quell’ignoto spirito d’autunno, che doveva aver preso accordi con il FAI, per trasformarlo temporaneamente in un piccolo sottobosco. Per farci che cosa? La risposta arrivò subito, non appena la Risolartista ebbe varcato la cancellata della villa…

Ecco a voi la Fiera dei Colori d’Autunno. Una fiera speciale, in cui elfi, gnomi e fatine tuttofare, erano giunti a esporre e vendere le loro fantasiose creazioni. C’era di che riempirsi gli occhi: piante rare e curiose, artigianato elfico, e persino ricami fatti da dita fatate. Il sentiero invitava all’ingresso, e lo spiritello d’artista non se lo fece ripetere.

Il primo personaggio a cui si avvicinò, era un mastro gnomo giardiniere, dall’accento spiccatamente brianzolo. Malgrado la provenienza nordica, vendeva agrumi. Agrumi di ogni tipo: dalle arance comuni, al calamondino (una sorta di mandarino di sapore scadente), al kumquat. Ma il suo pezzo forte era il limone. Non un limone comune, bensì il Limone Dolce di Kolymbetra. Dolce, era dolce davvero: sosteneva che lo si potesse mangiare così, a pezzettini, come fosse un qualunque altro frutto. 

Il fatto che provenisse da Kolymbetra, poi, era un’ulteriore nota di sapore speciale. Kolymbetra (per chi non sapesse dove sia) è una zona vicino ad Agrigento, oggi bene protetto dal FAI, in cui si coltivano moltissimi limoni. Il nostro mastro gnomo brianzolo, anni fa, aveva scoperto tali frutti insolitamente dolci, e aveva deciso di portarsene qualcuno a casa, mettendo su una bella produzione. 

Se solo la Risolartista avesse avuto un carretto in quel momento, non avrebbe esitato a prendere una di quelle piantine da mettere sul suo bel balcone…!

Proseguendo il giro, ecco comparire i banchetti degli elfi: creature assai creative. Questi si erano inventati un modo tutto loro di “riciclare” pentole, tazze, tazzine e persino scatolette di latta. Ne avevano fatto manufatti d’artista: quelle che erano casseruole e pescere antidiluviane, apparivano ora come variopinti vasi d’arredamento. I pezzi spaiati di un bel servizio da tè, invece, facevano ora parte di casette per gli uccellini, che sarebbero state giudicate ville di lusso da un qualsiasi pettirosso di passaggio. 

Lì accanto, c’era anche un’elfa particolarmente abile con le mani, tutta intenta a fare composizioni floreali. La fantasia non le mancava, visto che era in grado di unire in un solo vaso fiori, bacche, fogliame, e persino frutta e verdura! Se i frutti di rosa canina sono ancora “normali” in un mazzo ornamentale, lo stesso non si può dire di cachi, mele cotogne e cavolfiori violetti. 

La Risolartista la guardava incantata, e lì sarebbe rimasta, se la sua attenzione non fosse stata catturata da un curiosissimo banchetto dal cartello ancor più insolito: “Qui si vendono frutti antichi e rari”. 

… Rari quanto? Rarissimi: basta dirne qualche nome, e non credereste alle mie parole. C’era la Pera Giovanna d’Arco, la Mela Alpistella, la Mela Zitella Cardinal e l’Azzeruolo. E potrei continuare con la Pera Cucchiaino e molti altri ancora. La creatività nei nomi delle varietà coltivate dagli gnometti che stavano lì accanto era incredibile.

Quando l’artista si vide offrire un assaggio di marmellata di Azzeruoli (non molto invitante), fu costretta a trovare un motivo per declinare gentilmente l’invito, e si addentrò a visitare il resto del sottobosco. 

A un certo punto, giunse a una specie di serra cristallina, in cui le fate tuttofare esponevano le loro creazioni artigianali. 

Come ben si sa, le “mani di fata” sanno fare grandi capolavori, soprattutto quando si trovano ad armeggiare con ago e filo. Infatti, ovunque spuntavano grembiuli e grembiulini da giardinaggio dai ricami floreali, curati nei minimi dettagli. 

Qualcuna di loro, però, al cucito preferiva la pittura: c’erano acquerelli vegetali deliziosi, che raffiguravano fiori, frutti e piante di ogni stagione. L’animo della Risolartista era in brodo di giuggiole (anzi… di Azzeruoli!).

Fu giusto fuori dalla serra di cristallo che il suo occhio rimase davvero colpito. Se già aveva fatto una buona scorpacciata di colori autunnali, il meglio giunse in quel momento…

Il banchetto a cui si avvicinò era quello di un altro gnomo giardiniere, dall’aspetto molto montanaro. Doveva essere uno gnomo dei boschi d’alta quota, proveniente da chissà quale vetta alpina. Appena gli rivolse la parola, dall’accento capì che la sua casa doveva essere in terra piemontese…

In terra piemontese era, e lì aveva una fiorente coltivazione di rose antiche e di bacche. Erano queste le sue specialità. 

Essendo autunno, i fiori non c’erano (e nemmeno troppe foglie); tuttavia, ogni pianta aveva appesa una qualche bacca curiosa. Da brava artista interessata a scoprire cose nuove, cominciò a interrogare lo gnomo giardiniere sulle varietà che aveva portato in esposizione alla fiera.

Tra le più interessanti, vi era il Celastrus orbicolatus: un grande rampicante, dalle bacche scarlatte, e dalle foglie a cuoricini. Bellissimo, ma anche con un piccolo “bidone” per il cliente inesperto: per potergli far fare i frutti, era necessario avere una pianta “maschio”, e una “femmina”. Purtroppo, però, lì in vendita ne aveva soltanto una…!

Mentre ascoltava le dotte parole dello gnomo, la Risolartista fu catturata da un soggettino che se ne stava tranquillo e nascosto lì accanto. Era una pianticella minuta, dalle piccole foglioline ovali, che erano dipinte un po’ di verde e un po’ di arancio arrossato. In un paio di rametti (non era molto grossa), riusciva a racchiudere tutta la tavolozza delle tinte d’autunno. E, per di più, aveva persino delle bacche vermiglie, piccoline anch’esse, che se ne stavano in grappoli sparsi. 

Era la Cotoneaster damneri: un pittoresco “tappezzante”, amante dei climi freddi, e della vita ruspante. Faceva fiorellini bianchi in maggio, e bacchette rosse in autunno, senza mai perdere le foglie, che cambiavano colore di stagione in stagione.

Fu amore a prima vista. 

Ecco, dunque, quello che fu l’acquisto della Fiera del sottobosco da portare nella sua casetta d’artista. Un piccolo esemplare di Cotoneaster damneri. Una piantina che, nelle sue foglioline ovaleggianti, era capace di raccogliere tutto lo spirito dell’autunno. Una piantina, che le avrebbe sempre ricordato, sul suo balcone, quell’angolo milanese magicamente trasformato in bosco fatato…

Viaggi appesi a una parete rosa pastello

Viaggi appesi a una parete rosa pastello

La Design Week di quell’insolito settembre invitava a viaggiare. La Design Week, orgogliosamente risorta dopo troppi rinvii, invitava a uscire dalle mura domestiche, per andare lontano. Dove? Dove i passi e la fantasia potevano condurre. “Lontano” non è più necessariamente “lontano” davvero. Tutto è diventato 

Un pomodoro gigante… per appetiti da lumaca

Un pomodoro gigante… per appetiti da lumaca

Dopo un mese di sole pressoché ininterrotto, finalmente giunse la pioggia. E non furono le solite “due gocce” d’acqua… Tuttavia, prima che le secchiate di pioggia ricoprissero i colli lacustri, il pomeriggio sembrava presagire soltanto una lieve acquerugiola, più rinfrescante che altro.  Confidando nella suddetta 

Alle radici della Fagiolina del Trasimeno

Alle radici della Fagiolina del Trasimeno

Topolino casa teiera

Mentre la Risolartista era nel bel mezzo delle sue compere quotidiane, il suo occhio attento cadde su una dicitura curiosa di una certa etichetta.

“Prodotto lavorato a zampette con amore”

Da questa curiosa dicitura, risalì, poi, alle zampette citate, che la condussero fino alle radici della famosa Fagiolina del Trasimeno. Un percorso fruttuoso, che merita di essere raccontato per benino…

Tutto cominciò in fila alla cassa del supermercato. Come spesso accadde quando si aspetta il proprio turno, si cerca di ingannare l’attesa con quel che si ha in mano. Il caso volle che, in quel momento, la Risolartista avesse in mano un pacchetto di Fagiolina del Trasimeno.

Per chi non fosse a conoscenza di questo pregiato legume tipico del luogo, vale la pena dirne due parole.

La Fagiolina del Trasimeno è, come è facile intuire, una sorta di piccolo fagiolo. Tuttavia, non è un “semplice” piccolo fagiolo, ma un esemplare speciale. Intanto, lo si trova in tanti colori diversi: la sua tavolozza va dal brunito scurissimo, al giallo chiaro, passando per tutte le sfumature di rosso e marrone che esistono in natura. Immancabile, in ogni fagiolo, è la macchiolina nera al centro, che ne rende inconfondibile l’identità. 

Tanto è unica nell’aspetto, tanto lo è nel gusto. Dolce, cremosa, saporita e biscottata. Così il palato d’artista la potrebbe definire. Dopo il primo assaggio, è amore impossibile da tradire con qualsiasi altro legume, non fosse per la difficoltà a trovarlo! 

Purtroppo per i buongustai, la Fagiolina è oggi ben poco diffusa. La si coltiva soltanto attorno alle rive del Trasimeno, dove mani (e zampette) si adoperano per farla crescere, raccoglierla e lavorarla con tanta cura. Non ci sono macchine in grado di sostituire il lavoro e l’affetto che i piccoli produttori, rimasti fedeli al loro legume, mostrano ancora. E pensare che era un legume già noto e apprezzato dagli antichi Etruschi, secoli e secoli fa…

Fatto questo breve (e doveroso) excursus sulla protagonista della scena, torniamo alla fila del supermercato.

Mentre la Risolartista leggiucchiava l’etichetta della confezione di Fagiolina che aveva tra le mani, si stupì di leggere tali parole: “Prodotto lavorato a zampette con amore”.

Per quel che ne sapeva, erano mani “umane” a coltivare e produrre la Fagiolina. Si era sempre immaginata la classica contadina dall’ampio grembiule, e dal fazzoletto in testa, tutta intenta a raccogliere baccelli pieni di semi. Si era sempre immaginata i mariti contadini, con le loro camiciole a quadri, e i calzoni beige, che aravano i campi per le nuove colture, e si occupavano di irrigarle a dovere per tutto il periodo della crescita. Si era, poi, anche immaginata una serie di donnette ben tornite e dagli scamiciati a fiori, che passavano i pomeriggi estivi a sgranare Fagiolina fino al tramonto.

Insomma, tutte mani al lavoro, ma nessuna “zampetta”!

E, invece, quell’etichetta parlava chiaro, e parlava diversamente. Impossibile che si fossero sbagliati a scrivere. 

Quando giunse il suo turno alla cassa, si risvegliò dalle sue meditazioni in forma di Fagiolina, e pagò quanto dovuto. Prima di uscire dalla porta del negozio, già sapeva dove si sarebbe diretta quel pomeriggio…

Decisa a risalire fino alle radici della Fagiolina del Trasimeno, per scoprire come fosse coltivata e da chi, la Risolartista saltò sulla sua biciclettina fragolosa, con il Gatto Cappelletto al seguito. Direzione: campi di Fagiolina. Ossia l’indirizzo che era stampato sull’etichetta della confezione comperata quella mattina.

Chiaramente, essendo Fagiolina “del Trasimeno”, i suoi campi non potevano che trovarsi a pochi passi dalla riva del lago. Per fortuna, si trovavano anche a pochi passi da San Feliciano; dunque, una mezz’ora di pedalata, e il verde della coltivazione cominciò a svettare in fondo alla strada.

Quando ebbe abbandonato la biciclettina fragolosa, si avvicinò subito al campo, sperando di incontrare qualcuno che le desse informazioni. 

Essendo agosto, era il periodo giusto per la raccolta dei baccelli. Dunque, era abbasta sicura che avrebbe trovato qualche contadina china sulle piante, con un cesto da riempire in mano. 

Certezza che fu presto costretta a demolire. Il campo sembrava vuoto. 

Nessuna mano umana era intenta a tirare su le piante mature. 

Nessuna mano umana stava sgranando baccelli di Fagiolina.

Molte zampette animali, però, stavano facendo questo e altro. Bastava solo puntare lo sguardo nel posto giusto…

Non vedendo nessun contadino, la Risolartista decise di avvicinarsi ancor più, entrando letteralmente nel campo.

Fu lì che trovò finalmente i proprietari di quelle “zampette” che dovevano aver raccolto la Fagiolina del suo pacchetto. 

La scena di lavoro di cui si ritrovò spettatrice è troppo pittoresca per non essere descritta…

Appena ebbe l’idea di guardare cosa ci fosse tra il fogliame delle piantine, le comparvero davanti agli occhi una serie di curiose casette in forma di teiera. 

Tali case-teiere erano appese saldamente ai rametti delle piante di Fagiolina, e si intrecciavano con i giovani germogli e i baccelli tutti rigonfi. Ce n’erano di porcellana cinese, di latta, e, ovviamente, di ceramica locale tipica di Deruta. Ce n’erano alcune con motivi a fiori, altre a tinta unita, e altre ancora a righe. 

Ognuna aveva una scaletta di al massimo tre gradini, che permetteva di raggiungere la porticina anche da terra. Non che le rispettive proprietarie ne avessero veramente bisogno…

Le suddette proprietarie, infatti, erano topoline delle risaie. Una delle caratteristiche distintive di questi curiosi roditori (molto numerosi nei dintorni del lago) era la “coda prensile”. Il che voleva dire che si potevano appendere e saltellare da un ramo all’altro a loro piacimento. Un po’ come fossero scimmie, insomma. Raggiungere la porta di casa senza fare le scale, era per loro più un divertimento, che una difficoltà!

Ecco svelate le proprietarie di quelle “zampette” famose. Non c’erano mani umane dietro il lavoro di produzione di quella Fagiolina, bensì zampette di topolina delle risaie.

Da quel che si poteva osservare in quel momento, sembrava che fossero proprio brave nel loro mestiere. 

A differenza di quel che avrebbero dovuto fare le contadine per raccogliere la Fagiolina, ossia strappare le piante e poi batterle per estrarre i fagioli, il loro lavoro era molto più semplice.

Grazie alla loro codina prensile, saltellavano da un baccello all’altro, raccogliendo i fagioli maturi, e poi lanciandoli all’interno della loro casa-teiera. Ogni topolina aveva la sua zolla di competenza attorno alla casetta, e si occupava di fare la raccolta di tutte le piante che vi crescevano.

Di tanto in tanto, passava una squadra di topolini con una grande carriola, in cui venivano riversati tutti i fagioli raccolti. Era molto semplice come operazione: bastava inclinare le case-teiere, e tutto il loro contenuto usciva rapido dal beccuccio. Non avrebbero potuto escogitare un sistema migliore…

Mentre ammirava incantata quella scena, alla Risolartista sorse una domanda: come facevano a non rovesciare tutti i mobili delle casette insieme ai fagioli? Non riusciva davvero a spiegarselo. Perciò, si decise a interrompere una Signora Topolina, chiedendole di illuminarla sulla risposta. 

Anche qui, la faccenda era semplice. Non c’erano mobili nelle loro case! Non ne avevano bisogno: i topolini delle risaie costruivano le loro cuccette foderandole ben bene di erba morbidissima. In questo modo, l’interno duro delle teiere diventava un soffice giaciglio in cui schiacciare lunghissimi pisolini, e mangiucchiare qualche Fagiolina di tanto in tanto. Chiunque avrebbe adorato avere la propria “dispensa” (ossia il mucchio di fagioli) a portata di mano accanto al letto! I topolini delle risaie avevano trovato un modo per garantirsi anche questa comodità.

Geniali, questi topolini, pensava la Risolartista. Tuttavia, non capiva ancora una cosa. Dove cuocevano la Fagiolina per renderla commestibile, prima di mangiarla? Se avessero acceso un fornello all’interno delle loro case-teiere, i giacigli di erba si sarebbero sicuramente incendiati.

Non riuscendo a risolvere da sola neppure questo dilemma, espresse il suo dubbio alla Signora Topolina.

… Cuocere la Fagiolina?!

Lo stupore negli occhi della Signora Topolina faceva ben capire che nessuno di loro avesse mai pensato di cuocerla. La Fagiolina del Trasimeno, per i topolini delle risaie, si mangiava solamente cruda. Ciò che accadeva era un po’ quello che fareste anche voi, avendo una ciotola di ciliegie sotto mano. Quando giunge per voi l’ora di merenda, una ciliegia tira l’altra, e la ciotola si svuota in men che non si dica. Allo stesso modo, quando era ora di pranzo o cena nella casa-teiera, una Fagiolina tirava l’altra, e la teiera diventava incredibilmente vuota e leggera.

Da quel che si capiva, la Signora Topolina non doveva essere una cuoca provetta di legumi. Non lo era di legumi, ma neppure di altro. Come disse subito dopo, i topolini delle risaie erano animaletti di poche pretese, che mangiucchiavano quello che coltivavano, quando gli capitava. Non avevano tempo di mettersi a cucinare, né tantomeno a pranzare tutti attorno a un tavolo. Non ne valeva la pena…

A queste parole, la Risolartista e il Gatto Cappelletto si scambiarono uno sguardo eloquente. Stavano entrambi pensando la stessa identica cosa. Stavano entrambi pensando al piacere che i topolini si perdevano, nel loro non voler né cucinare, né mangiare in compagnia. Non avendo mai provato la convivialità, non sapevano a che cosa rinunciassero…

Bisognava fare qualcosa per colmare tale mancanza. Bisognava insegnare ai topolini delle risaie ad apprezzare i piaceri della tavola e della buona cucina. Sgranocchiare così, cruda, tutta quella pregiatissima Fagiolina era un peccato: c’erano chef di fama internazionale che la valorizzavano a tal punto, da metterla nei loro menu degustazione. Se solo avessero saputo ciò che accadeva tra le radici delle piante di Fagiolina, sarebbero rimasti inorriditi!

Perciò, il Gatto Cappelletto, con l’aiuto della Risolartista, pensò di organizzare una bella lezione di cucina per tutte le Signore Topoline del campo. Se all’inizio sembravano tutte dubbiose, in quanto non volevano perdere tempo prezioso, alla fine si convinsero. Una pausa dal lavoro se la potevano pur concedere…

Detto fatto. I grembiulini da cuoco furono distribuiti alle allieve, e una scuola di cucina all’aperto fu presto messa in piedi a lato della coltivazione.

Non dovete pensare a banconi da lavoro, o fornelli a gas. Piuttosto, ci si organizzò creando una dozzina di fuocherelli bruciando la tipica “cannuccia” del Trasimeno. Era perfetta per cuocere la fagiolina, in quanto aveva il potere di regalare a ogni pietanza un aroma speciale. Merito del suo essere “cannuccia” del Trasimeno (e non semplice legna), ossia una canna di legno che, se bruciata, liberava un profumo unico. Un profumo che solo a San Feliciano (e nei suoi immediati dintorni) si poteva assaporare…

Chiusa la parentesi olfattiva sulla cannuccia, torniamo alla lezione di cucina. 

Come prima esperienza, non si poteva pensare a grandi piatti elaborati. Una zuppetta di Fagiolina con sughetto di pomodoro era già sufficientemente complessa per le inesperte topoline. 

Per fortuna, la pazienza e la bravura nelle spiegazioni del Gatto Cappelletto le aiutarono a portare a termine la ricetta. Dopo i primi pasticci, accompagnati da “timori reverenziali” nei confronti del gatto (vi ricordo che erano pur sempre topi!), le loro zampette si sciolsero, cominciando ad acquisire manualità. 

I pomodorini furono tagliati, e saltati in pentola con sedano, carota, e aglio. Poi, venne aggiunta la Fagiolina, con una spruzzata di vino e una foglia d’alloro. A metà cottura, era il momento di aggiungere rosmarino, origano e olio d’oliva. Su quest’ultimo ingrediente, il Gatto Cappelletto tenne a precisare un dettaglio: doveva essere olio buono, non il primo liquido verde trovato al supermercato. Doveva essere il signor Olio Extravergine d’Oliva del Trasimeno. La Fagiolina se lo meritava tutto…

Le topoline, tra una mescolata e l’altra, non mancavano di prendere appunti sui preziosi suggerimenti. Prima di quella lezione di cucina, distinguevano a fatica l’olio d’oliva da quello di colza; l’extravergine pensavano fosse una statua della Madonnina formato gigante…

Dopo un paio d’ore di lenta cottura, la Fagiolina era pronta. Tutto il campo era ormai intriso del profumo di cannuccia bruciata, mescolato all’aroma stuzzicante della zuppetta cotta a puntino. 

Era ora di pranzo. Era ora di far vedere ai topolini delle risaie che cosa voleva dire “gustare un pranzo in compagnia”.

Una decina di lunghe tavolate furono apparecchiate lì vicino, utilizzando delle vecchie assi e dei rametti per creare tavoli e panchette. 

In mancanza di tovaglie, dato che topolini non ne avevano mai avuto bisogno, la Risolartista pensò bene di offrire loro alcuni strofinacci che aveva recuperato a casa. Era ben felice di contribuire a rendere quell’esperienza un pranzo come si doveva in ogni sua parte.

Infine, mancavano le stoviglie. Per quella volta, dei gusci di noce avrebbero fatto da sostituti accettabili delle scodelle. Meglio che niente. I topolini delle risaie, fino ad allora, si erano solo preoccupati di recuperare teiere da usare come casa, ma piatti o tazzine neppure sapevano a cosa servissero…

Ed ecco, finalmente il pranzo a base di Fagiolina del Trasimeno fu servito. La zuppetta di legumi con il suo sughetto fu distribuita nei gusci di noce, colmandoli fino all’orlo.

Il profumino era davvero delizioso. Tutti i topolini stavano sperimentando per la prima volta che cosa volesse dire “avere l’acquolina in bocca”. La Fagiolina cruda non aveva questo potere…

Quando l’ultimo guscio fu riempito, il “buon appetito” fu augurato, e l’esortazione ad assaggiare quella delizia non fu neppure necessaria. Troppa era la fame, troppa era la voglia di scoprire se davvero valesse la pena di mettersi a cucinare…

Boccone dopo boccone, i gusci si svuotarono in men che non si dica. E il bis fu richiesto da ogni commensale. Tra una chiacchiera e l’altra, ci avevano proprio preso gusto!

Sgranocchiare la fagiolina cruda era una cosa, mangiarla ben cucinata a tavola era tutta un’altra storia. Non c’era paragone. 

Non serve aggiungere che, da quel giorno in poi, tutti i mezzogiorni nel campo di Fagiolina si profumarono di cannuccia bruciata e zuppette borbottanti sul fuoco… 

San Feliciano: paese di tramonti, di pescatori, e di gatti

San Feliciano: paese di tramonti, di pescatori, e di gatti

San Feliciano è quel piccolo angolo di Trasimeno noto per essere borgo di pescatori e di gatti. Senza dimenticare i tramonti: dicono siano tra i più belli del mondo intero… Finché lo si visita da turisti, però, se ne perdono molte cose. Il San Feliciano 

Gatti neri e batticuori

Gatti neri e batticuori

Ogni mattina, nel viottolo che conduceva dalla piazza al lungolago, avveniva un evento curioso. Ogni mattina, se vi fosse capitato di percorrere tale viottolo, vi sareste ritrovati spettatori di una storia d’amore felino.  Il primo protagonista, o meglio “la protagonista”, era la Gatta Ittica.  Tutti 

Vendesi melanzappartamenti vista lago

Vendesi melanzappartamenti vista lago

melanzane e bruchi illustrazione

L’orto vista lago del Signor Carlo regalava ogni volta ai suoi visitatori qualche curiosa sorpresa. Sempre che questi ultimi fossero in grado di vederla…

Proprio così: quell’orto era un luogo speciale, che, a quanto pare, era molto gradito ai più pittoreschi personaggini che si potessero immaginare.  

Personaggini di ogni genere e specie, che andavano dai topolini delle risaie esperti aviatori, ai bruchi in cerca di casa. 

E la cosa più sorprendente era che il Signor Carlo, così indaffarato a curare le sue coltivazioni, non si accorgeva mai di niente! Ci voleva l’occhio attento della RIsolartista, per catturare certi scorci di pittoresca vita animalesca in riva al lago…

Giusto una sera agostana in cui si era recata in visita all’orto del suo amico agronomo-agricoltore, le capitò sotto il naso un cartello curioso.

“Vendesi melanzappartamenti vista lago”. Così dicevano le lettere gialle, stampate su una grossa foglia di melanzana. 

Che cosa poteva significare un simile annuncio? Con un po’ di fantasia, lo si poteva paragonare a quei cartelli dai colori fosforescenti che si è soliti vedere appesi sui portoni delle case in vendita. L’unica differenza è che, qui, la casa in vendita, non doveva essere destinata affatto a possibili nuovi inquilini umani. 

Inevitabilmente incuriosita dalla cosa, la Risolartista pensò bene di accomodarsi in un angolo dell’orto, e stare a vedere che succedeva. 

Come avviene con qualsiasi potenziale acquirente di una nuova casetta, c’è sempre un agente immobiliare incaricato di portarlo in visita a vedere l’immobile in questione. Si sa che acquistare una casa “sulla carta”, senza vederla, è un rischio che non sempre conviene sostenere. Se se ne ha la possibilità, è molto meglio farsi un’idea concreta di quello che è a tutti gli effetti, piuttosto che essere ingannati da qualche “venditore di fumo” particolarmente abile.

Ebbene, anche in quel caso, essendoci un cartello di vendita di appartamenti, c’era anche un agente immobiliare responsabile dell’affare. Agente immobiliare che, giusto in quel momento, si apprestava ad arrivare nell’orto del Signor Carlo per incontrare il suo potenziale cliente. 

Vi potreste chiedere come l’artista fosse stata capace di riconoscere il suddetto agente immobiliare responsabile di melanzappartamenti. Domanda lecita. 

Per rispondere, immaginatevi un agente immobiliare umano, con tanto di brochure informativa sotto il braccio, e giacca e cravatta coordinate. Immaginatevi il suo comportamento di attesa impaziente, mentre aspetta che il potenziale cliente arrivi. Immaginatevelo passeggiare avanti e indietro, indietro e avanti, proprio a due metri dal portone d’ingresso con appeso il cartello di vendita. 

Ecco. Avendo chiara l’immagine dell’agente immobiliare umano, potrete facilmente capire come, quando la Risolartista si trovò ad osservare un merlo in giacca e cravatta, e con brochure nel becco, non ebbe dubbi sulla sua identità. 

Aveva davanti un Signor Merlo agente immobiliare, incaricato di far visitare al cliente i melanzappartamenti in vendita. 

Chi poteva essere, dunque, l’interessato ad accasarsi nell’orto del Signor Carlo? Solo l’attesa avrebbe svelato la sua identità.

Mentre la Risolartista aspettava che anche l’altro soggetto arrivasse, pensava a quello che si stava perdendo l’agronomo-agricoltore, completamente ignaro di tutta quella curiosa situazione. È proprio vero che, quando ci si “immerge” nel lavoro, il resto del mondo è come se non esistesse. Il Signor Carlo, nel suo essere indaffarato a strappare le erbacce attorno alle giovani piantine di fragole (era quella la sua occupazione di quella sera), era un esempio concreto di questo luogo comune.

Pazienza… prima o poi, qualcuno gli avrebbe fatto vedere i suoi nuovi inquilini di melanzappartamenti…

Finalmente, il potenziale cliente si degnò di presentarsi all’appuntamento. A giudicare dallo zampettare impaziente del merlo agente immobiliare, doveva aver fatto parecchio tardi!

La sua lentezza nell’arrivare, però, era parzialmente giustificata dall’identità del soggetto in questione. Non era un campione di velocità…

Il potenziale cliente di un melanzappartamento vista lago era un bruco. Un bruco bello grosso, dalle tinte sgargianti, di un bel verde acceso. Doveva essere un Babbo Bruco, per la precisione. Un Babbo Bruco che stava aspettando qualcuno ancora più in ritardo di lui.

Poco dopo di lui, fece il suo ingresso nell’orto anche Mamma Bruco. Era tutta accaldata, poveretta! Doveva aver corso (per quanto un bruco possa correre…) più che poteva per arrivare all’appuntamento… era tutta rossa sul musetto, e pareva senza fiato. Il suo corpicino ad anelli, normalmente di colore giallo-arancio, era diventato infuocato per la fatica. 

Non doveva trattarsi di una famiglia di bruchi particolarmente abituata a guardare l’orologio…

Tant’è, che alla fine erano arrivati. E il merlo agente immobiliare era ben contento di poter cominciare a condurre il giro di visita degli appartamenti.

La Risolartista si nascose ancora meglio tra il fogliame, decisa a non interrompere neanche un momento quell’insolito tour dell’orto del Signor Carlo, diventato terreno residenziale per bruchi in cerca di casa.

Come prima cosa, il Signor Merlo pensò bene di mostrare la vista sul Trasimeno di cui ogni abitazione poteva godere. Metà del valore della casa in vendita, doveva essere dovuta proprio a quel paesaggio incantevole…

I tramonti lacustri, tra l’altro, dovevano anche costare molto cari. A giudicare dal prezzo che il cartello esibiva (un valore poco decifrabile, ma con molti zeri), l’esposizione a picco sul lago faceva lievitare il prestigio di tali appartamenti. Guardando i colori dell’imbrunire che quella sera stava offrendo in quel momento, però, si giustificava a pieno un costo così alto. Avere la possibilità di cenare tutte le sere con il sole infuocato che penetra dalla finestra, non è cosa da tutti. E anche i bruchi, a quanto pare, sembravano apprezzare la cosa.

Mentre il merlo agente immobiliare infiorava a dovere i tramonti del Trasimeno (non mancando di citarne la fama internazionale), la coppia di bruchi si scambiava cenni di assenso. Sembrava che il loro giudizio sul luogo migliorasse ogni minuto di più…

Dopo aver goduto a sufficienza della vista sul lago, i due clienti furono condotti a fare un breve giro nell’orto del Signor Carlo, così da mostrarne gli ortaggi coltivati. C’erano pomodori, peperoni, meloni, zucchine, e, ovviamente, melanzane. Tutte varietà particolarmente gradite ai bruchi (e anche al loro stomaco…).

La passeggiata per le zolle terminò davanti a quelli che potevano essere solo i famosi melanzappartamenti vista lago.

La vista sul lago c’era, e l’aspetto di “melanzana” di quelle curiose casette faceva facilmente intuire il motivo del nome.

Tali melanzappartamenti erano situati (guarda caso) nel bel mezzo dell’orto delle melanzane, in un punto abbastanza nascosto, ma non troppo da passare inosservato. A meno che non si fosse contadini completamente immersi nel proprio lavoro (come il Signor Carlo), era impossibile non notarli. Tanto più, visto che tutt’attorno l’agenzia immobiliare del Signor Merlo aveva provveduto ad attaccare cartelli su cartelli con la scritta “Vendesi” stampata ben chiara. 

Da quel che si capiva dalle presentazioni dell’agente merlo, gli appartamenti rimasti in vendita erano tre. Gli altri erano già stati venduti tutti.

Tre appartamenti, ossia tre bellissime melanzane completamente ristrutturate, e trasformate in accoglienti dimore unifamiliari. 

La prima melanzana che fu visitata dalla famiglia di bruchi aveva una forma molto sottile e allungata: doveva essere disposta su almeno due piani. Le pareti erano viola intenso, e il pavimento era costituito da quello che era a tutti gli effetti un piattino da tè. 

Per completare la descrizione dell’appartamento, manca da dire che era “appeso” a circa mezzo metro d’altezza (tramite il picciolo della melanzana), così da poter offrire un’ottimo scorcio di lago dalla finestra. Era l’equivalente, a misura di bruco, di un quarto piano per noi umani.

La seconda, invece, era molto più tonda, e dalle sfumature più chiare, che ricordavano il color prugna. Come altezza, qui si viaggiava su un piano rialzato, che non mancava, però, di guardare l’orizzonte lacustre. Anzi, da questo secondo appartamento, la vista era ancora più incantevole, ed era accompagnata dal vantaggio di essere all’ombra per tutte le ore più calde. Le grandi foglie della pianta di melanzana, infatti, facevano da tettoia ideale, per non rischiare di arrostirsi in casa a causa di certi mezzogiorni più che roventi…

E, poi, a coronare la deliziosa casetta, c’erano finestrelle con tanto di imposte di legno intagliate a forma di cuore. Un dettaglio che piacque tantissimo a Mamma Bruco, quanto alla Risolartista.

L’ultima alternativa ancora in vendita era una melanzana affusolata, leggermente curva verso destra. Come le altre due, il piattino da tè non mancava di fare da basamento, e, in questo caso specifico, offriva abbondante spazio attualmente inutilizzato. Come confermò il merlo, si trattava di un appartamento adatto a proprietari con la passione per il giardinaggio, che avrebbero potuto riempire il loro balcone (ossia il piattino da tè) con tutti i germogli di loro gradimento. 

Visti gli sguardi dubbiosi di Babbo e Mamma Bruco, si poteva intuire che il giardinaggio non rientrasse tra le loro priorità…

Ecco, dunque, i melanzappartamenti vista lago disponibili per far accasare la famiglia di bruchi nell’orto del Signor Carlo. Quale avrebbero scelto tra le tre alternative? 

La Risolartista era ancora più curiosa di prima: voleva sapere che cosa avrebbero deciso i due potenziali acquirenti. Di più: le sarebbe piaciuto moltissimo aiutarli nella scelta, dando il suo pittoresco giudizio sulle tre casette. Dopo tutto, malgrado se ne fosse rimasta nascosta, poteva dire di aver partecipato anche lei al tour della visita. 

Era giunto il momento delle consultazioni familiari: se erano interessati a una delle case in questione, dovevano dirlo in poco tempo, altrimenti l’agente immobiliare avrebbe cercato altri clienti…

Appena il Signor Merlo si fu allontanato, per lasciarli un po’ da soli, Babbo e Mamma Bruco cominciarono a discutere, valutando i pro e i contro di ciascun melanzanappartamento. Se il terzo (quello con il grande balcone) fu escluso in breve tempo, sugli altri due non riuscivano proprio a decidersi. Al Babbo piaceva l’idea di abitare “ai piani alti”, mentre la Mamma era rimasta incantata dalle persiane a cuoricino della casetta più bassa.

Non riuscivano proprio a trovare una soluzione!

La Risolartista, che aveva continuato a osservarli per tutta la loro discussione, decise alla fine di farsi avanti, e di esprimere il suo punto di vista artistico.

Quando uscì dal suo nascondiglio, lì per lì, i due bruchi si spaventarono alla vista di quella straniera apparentemente umana. Tale spavento, però, fu di breve durata: lo spirito pittoresco dell’artista aveva il potere di infondere fiducia e simpatia anche senza bisogno di parole. Motivo per cui, in neanche cinque minuti, la paura scomparve dagli occhi dei bruchi, sostituita dall’interesse a sentire il suo giudizio.

Le bastò citare le sfumature cromatiche molto insolite del melanzappartamento tondo, e la raffinatezza degli intagli a cuoricino delle persiane, per convincere il Babbo Bruco della validità della preferenza della moglie. Quando, poi, sottolineò la vista sul lago ancora migliore, e l’ombra di cui avrebbero goduto a ogni mezzogiorno, si risolse definitivamente.

Basta, la decisione era presa: avrebbero comperato il melanzappartamento tondo al piano rialzato. 

Comunicata la decisione al merlo agente immobiliare, questo si complimentò con loro per l’ottima scelta. Era davvero l’alternativa migliore (visto anche che era quella più costosa…)!

Mentre il Babbo Bruco firmava le scartoffie di acquisto con il Signor Merlo, Mamma Bruco si avvicinò alla Risolartista, ringraziandola per l’aiuto nella difficile decisione. Senza di lei, il marito non si sarebbe mai convinto!

Come poteva ricambiare a dovere il favore? 

La Risolartista aveva un’idea…

Come accade in ogni nuova casa che si rispetti, è dovere di buon vicinato offrire un pranzo ai vicini di casa per fare conoscenza. Nel caso particolare della famiglia di bruchi, la lista degli invitati non avrebbe dovuto comprendere solo gli altri inquilini dei melanzappartamenti, ma anche due ospiti umani.

Il primo ospite sarebbe stato la Risolartista, ovviamente. Il secondo, però, doveva essere il Signor Carlo: il vero “proprietario di casa”… in questo modo, si sarebbe dovuto per forza accorgere della presenza di quei nuovi curiosi abitanti del suo orto.

A Mamma Bruco sembrò una proposta fantastica, nonché un ottimo modo per iniziare a costruire qualche nuova amicizia. Mancava solo una cosa da decidere: il menu. Che cosa avrebbero potuto gradire invitati bruchi e invitati umani? 

… Una padellata di melanzane al funghetto cascava a pennello con il luogo, quanto con l’occasione.

Melonfiere in volo

Melonfiere in volo

In quel fresco (strano, ma vero!) pomeriggio agostano, il sesto senso d’arista era stato stuzzicato dalla voglia di melone. E, quando era il senso d’artista a parlare, significava sempre che c’era qualcosa di pittoresco in vista… Per sapere cosa le rive del Trasimeno avevano in