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Viaggi appesi a una parete rosa pastello

La Design Week di quell’insolito settembre invitava a viaggiare.

La Design Week, orgogliosamente risorta dopo troppi rinvii, invitava a uscire dalle mura domestiche, per andare lontano.

Dove? Dove i passi e la fantasia potevano condurre.

“Lontano” non è più necessariamente “lontano” davvero. Tutto è diventato relativo: è la prospettiva con cui si va “lontano” che conta. Ed è la ricchezza di emozioni ed esperienze che si raccolgono durante il viaggio il vero valore.

Conseguenza ne è, che si potrebbe andare “lontano”, anche solo entrando in una stanza di casa dai colori e dall’arredamento spiccatamente diversi dal solito. Basterebbe una carta da parati che richiama il folto della giungla africana, per non dire una di quelle poltrone di giunchi intrecciati, che solo le mani esotiche sono capaci di forgiare.

Insomma, l’immaginazione e le emozioni corrono più “lontano” di quanto si pensi…

Tornando a quell’invito della settimana del design, però, c’era anche qualche posto concreto che faceva da meta consigliata in cui andare. Per quei sei giorni di insolita frenesia pittoresca più del normale, Milano lasciava aperte certe porte che chiamavano gli artisti curiosi…

Anche in quel settembre, il celebre “Fuorisalone” non era mancato all’appuntamento. Il che, tradotto in termini pratici, significava potersi infilare negli indirizzi più insoliti (senza nemmeno avere l’invito!), con il pretesto di essere “cultori del design”.

Come ormai era tradizione da qualche anno, svariati personaggi e negozi, più o meno noti, si divertivano a contribuire a rendere la città creativa e pittoresca durante i giorni della Design Week. C’era chi si inventava da sé le proprie “attrazioni d’arredamento”, chi ospitava opere altrui, e chi, da lavoratore nel settore, godeva dell’occasione pubblicitaria che gli si presentava davanti. 

Il risultato era un’eclettica combinazione di stili, colori, e atmosfere, una diversa dall’altra. Fonte di ispirazione per gli artisti, e passatempo pomeridiano per turisti e cittadini annoiati.

Quella volta, con l’invito a viaggiare che faceva da filo conduttore, le sorprese dietro a ogni porta erano ancora più numerose…

Inevitabile: fate viaggiare la vostra mente, e ognuno di voi finirà in un luogo diverso. Lo stesso era accaduto ai protagonisti di quella Design Week, appena fu chiesto loro di interpretare il tema. 

Con lo spirito green e sostenibile, ormai predominante tra le vie cittadine di ogni metropoli europea (Milano compresa), molti si erano lasciati ispirare dalla natura.

…Natura, piante, terra: un ritorno alle origini che si sperava potesse portare un po’ di bene a tutti. Ed è così che i viaggi si traducevano in salotti esotici, adatti ad ambientare i libri di Salgari, oppure in cucine nordiche, dalle candide tinte che diffondevano pace. Ogni indirizzo, una meta diversa. Ogni indirizzo, un’avventura da raccogliere con gli occhi, e mettere nella borsa, per riportarla poi al sicuro a casa.

Una stanza, in particolare, colpì la mente dell’artista. Una stanza che, a dir suo, sembrava riassumere il tema del viaggio in modo efficace e pittoresco. Lo richiamava, e, al contempo, se ne distanziava impercettibilmente. Riflettendoci su per bene, però, tutto tornava, e la sensazione finale era affascinante.

Schonbuch. Questa era l’azienda tedesca che pareva avesse curato l’allestimento. Curato, ma non solo: tutto quello che compariva nel curioso indirizzo di Via Brera era ideato e prodotto da loro stessi. Motivo in più per elogiarne la creatività…

L’interno in questione non era altro che uno stanzino al piano terra, dalle luci soffuse e morbide, che illuminavano magicamente il mobilio color pastello. Un mobilio essenziale, scandinavo nelle linee, ma estroso e stravagante nei colori. Di bianco e di beige, ce n’era ben poco. Al loro posto, tutto si armonizzava in una palette di sfumature pastello piuttosto accese, che amavano stare nei dintorni del rosa, vertendo poi al rosso e all’arancio. Qualche dettaglio completava con toni di verde e di azzurro, bilanciando quell’altrimenti dominio di focoso calore cromatico. Tutto appagava lo sguardo, mettendo di buon umore, e diffondendo ottimismo e voglia di vita.

A parlarne così, però, sembra difficile ritrovare il viaggio in quello stanzino arredato di colori. Eppure, il viaggio c’era. C’era eccome. Occorreva solo vederlo.

Il viaggio era appeso alle pareti. O meglio, il viaggio “poteva” essere appeso alle pareti, da parte di chiunque avrebbe scelto di utilizzarle. 

Su ognuno dei quattro muri del locale, vi erano appendiabiti in forma di pomelli tutti colorati, che si alternavano a specchiere e pannelli. Ogni elemento invitava a fermarcisi davanti, prendere il cappello, la giacca e la sciarpa che (con un po’ di immaginazione) erano lì appesi, e prepararsi per uscire. Era una chiara esortazione a viaggiare. A viaggiare, dopo essersi vestiti e sistemati a dovere. 

Non solo: l’appendiabiti diceva di lasciare il focolare domestico, promettendo di restare lì, vuoto, in attesa di un prossimo ritorno. Sembrava bramasse di ritrovarsi presto occupato di nuovo…

Occupato dal solito cappotto con cui il proprietario di casa era partito, ma anche da qualcos’altro. Occupato dai ricordi e dai “pezzetti di viaggio” che il suddetto proprietario avrebbe riportato dopo la sua avventura. 

Erano quelli il vero desiderio di quei pomelli variopinti appesi alle pareti. Ricordi. Emozioni. Immagini. Oggetti. Qualsiasi cosa sarebbe stata bene appesa a quella parete pastello. L’importante era viaggiare, e non tornare a mani vuote; altrimenti, la fatica sarebbe stata vana. 

Ecco, dunque, il profondo significato di quegli appendiabiti vuoti dai mille colori. Vuoti, perché aspettavano che si rientrasse dal viaggio, con molti ricordi ed esperienze per sé, ma qualcosa anche per loro… 

Design Week Milano

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