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La Fiera dei Colori d’Autunno… nel sottobosco di Villa Necchi

Domenica pomeriggio, tiepido sole novembrino a indorare le vie milanesi, profumo di caldarroste sotto il naso. Un tempo ideale in cui andare a spasso, alla ricerca di colori autunnali. 

Fu un certo sentore di sottobosco (insolito nel panorama metropolitano di Milano) ad attirare lo spiritello d’artista. Possibile che l’autunno boschivo fosse arrivato fino al cuore d’asfalto della città? 

… Pare di sì. Pare che qualche ignota creatura fiabesca (un Re Elfo dei boschi… chissà) avesse trasformato un angolo di grigio in una tavolozza di tinte dolci e pittoresche. Tinte purpuree, rosse vermiglie; tinte ocra e giallo canarino. A volerle citare tutte, non si finirebbe più!

Quel che conta, è che tutti questi colori autunnali erano improvvisamente comparsi nel giardino di Villa Necchi Campiglio, a due passi dal centro meneghino. Chi è un po’ pratico del luogo, a sentir nominare tale indirizzo, penserà subito al FAI. Infatti, si tratta proprio di uno dei loro più rinomati (e plurimenzionati) beni: una villa novecentesca, dagli interni bellissimi, attorniati da un verde da favola.

Un verde così da favola, da fare gola a quell’ignoto spirito d’autunno, che doveva aver preso accordi con il FAI, per trasformarlo temporaneamente in un piccolo sottobosco. Per farci che cosa? La risposta arrivò subito, non appena la Risolartista ebbe varcato la cancellata della villa…

Ecco a voi la Fiera dei Colori d’Autunno. Una fiera speciale, in cui elfi, gnomi e fatine tuttofare, erano giunti a esporre e vendere le loro fantasiose creazioni. C’era di che riempirsi gli occhi: piante rare e curiose, artigianato elfico, e persino ricami fatti da dita fatate. Il sentiero invitava all’ingresso, e lo spiritello d’artista non se lo fece ripetere.

Il primo personaggio a cui si avvicinò, era un mastro gnomo giardiniere, dall’accento spiccatamente brianzolo. Malgrado la provenienza nordica, vendeva agrumi. Agrumi di ogni tipo: dalle arance comuni, al calamondino (una sorta di mandarino di sapore scadente), al kumquat. Ma il suo pezzo forte era il limone. Non un limone comune, bensì il Limone Dolce di Kolymbetra. Dolce, era dolce davvero: sosteneva che lo si potesse mangiare così, a pezzettini, come fosse un qualunque altro frutto. 

Il fatto che provenisse da Kolymbetra, poi, era un’ulteriore nota di sapore speciale. Kolymbetra (per chi non sapesse dove sia) è una zona vicino ad Agrigento, oggi bene protetto dal FAI, in cui si coltivano moltissimi limoni. Il nostro mastro gnomo brianzolo, anni fa, aveva scoperto tali frutti insolitamente dolci, e aveva deciso di portarsene qualcuno a casa, mettendo su una bella produzione. 

Se solo la Risolartista avesse avuto un carretto in quel momento, non avrebbe esitato a prendere una di quelle piantine da mettere sul suo bel balcone…!

Proseguendo il giro, ecco comparire i banchetti degli elfi: creature assai creative. Questi si erano inventati un modo tutto loro di “riciclare” pentole, tazze, tazzine e persino scatolette di latta. Ne avevano fatto manufatti d’artista: quelle che erano casseruole e pescere antidiluviane, apparivano ora come variopinti vasi d’arredamento. I pezzi spaiati di un bel servizio da tè, invece, facevano ora parte di casette per gli uccellini, che sarebbero state giudicate ville di lusso da un qualsiasi pettirosso di passaggio. 

Lì accanto, c’era anche un’elfa particolarmente abile con le mani, tutta intenta a fare composizioni floreali. La fantasia non le mancava, visto che era in grado di unire in un solo vaso fiori, bacche, fogliame, e persino frutta e verdura! Se i frutti di rosa canina sono ancora “normali” in un mazzo ornamentale, lo stesso non si può dire di cachi, mele cotogne e cavolfiori violetti. 

La Risolartista la guardava incantata, e lì sarebbe rimasta, se la sua attenzione non fosse stata catturata da un curiosissimo banchetto dal cartello ancor più insolito: “Qui si vendono frutti antichi e rari”. 

… Rari quanto? Rarissimi: basta dirne qualche nome, e non credereste alle mie parole. C’era la Pera Giovanna d’Arco, la Mela Alpistella, la Mela Zitella Cardinal e l’Azzeruolo. E potrei continuare con la Pera Cucchiaino e molti altri ancora. La creatività nei nomi delle varietà coltivate dagli gnometti che stavano lì accanto era incredibile.

Quando l’artista si vide offrire un assaggio di marmellata di Azzeruoli (non molto invitante), fu costretta a trovare un motivo per declinare gentilmente l’invito, e si addentrò a visitare il resto del sottobosco. 

A un certo punto, giunse a una specie di serra cristallina, in cui le fate tuttofare esponevano le loro creazioni artigianali. 

Come ben si sa, le “mani di fata” sanno fare grandi capolavori, soprattutto quando si trovano ad armeggiare con ago e filo. Infatti, ovunque spuntavano grembiuli e grembiulini da giardinaggio dai ricami floreali, curati nei minimi dettagli. 

Qualcuna di loro, però, al cucito preferiva la pittura: c’erano acquerelli vegetali deliziosi, che raffiguravano fiori, frutti e piante di ogni stagione. L’animo della Risolartista era in brodo di giuggiole (anzi… di Azzeruoli!).

Fu giusto fuori dalla serra di cristallo che il suo occhio rimase davvero colpito. Se già aveva fatto una buona scorpacciata di colori autunnali, il meglio giunse in quel momento…

Il banchetto a cui si avvicinò era quello di un altro gnomo giardiniere, dall’aspetto molto montanaro. Doveva essere uno gnomo dei boschi d’alta quota, proveniente da chissà quale vetta alpina. Appena gli rivolse la parola, dall’accento capì che la sua casa doveva essere in terra piemontese…

In terra piemontese era, e lì aveva una fiorente coltivazione di rose antiche e di bacche. Erano queste le sue specialità. 

Essendo autunno, i fiori non c’erano (e nemmeno troppe foglie); tuttavia, ogni pianta aveva appesa una qualche bacca curiosa. Da brava artista interessata a scoprire cose nuove, cominciò a interrogare lo gnomo giardiniere sulle varietà che aveva portato in esposizione alla fiera.

Tra le più interessanti, vi era il Celastrus orbicolatus: un grande rampicante, dalle bacche scarlatte, e dalle foglie a cuoricini. Bellissimo, ma anche con un piccolo “bidone” per il cliente inesperto: per potergli far fare i frutti, era necessario avere una pianta “maschio”, e una “femmina”. Purtroppo, però, lì in vendita ne aveva soltanto una…!

Mentre ascoltava le dotte parole dello gnomo, la Risolartista fu catturata da un soggettino che se ne stava tranquillo e nascosto lì accanto. Era una pianticella minuta, dalle piccole foglioline ovali, che erano dipinte un po’ di verde e un po’ di arancio arrossato. In un paio di rametti (non era molto grossa), riusciva a racchiudere tutta la tavolozza delle tinte d’autunno. E, per di più, aveva persino delle bacche vermiglie, piccoline anch’esse, che se ne stavano in grappoli sparsi. 

Era la Cotoneaster damneri: un pittoresco “tappezzante”, amante dei climi freddi, e della vita ruspante. Faceva fiorellini bianchi in maggio, e bacchette rosse in autunno, senza mai perdere le foglie, che cambiavano colore di stagione in stagione.

Fu amore a prima vista. 

Ecco, dunque, quello che fu l’acquisto della Fiera del sottobosco da portare nella sua casetta d’artista. Un piccolo esemplare di Cotoneaster damneri. Una piantina che, nelle sue foglioline ovaleggianti, era capace di raccogliere tutto lo spirito dell’autunno. Una piantina, che le avrebbe sempre ricordato, sul suo balcone, quell’angolo milanese magicamente trasformato in bosco fatato…

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