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Un invito nel salotto di Cristina Trivulzio di Belgojoso

Un invito nel salotto di Cristina Trivulzio di Belgojoso

Se vi capitasse di ricevere un invito ad unirvi a un salotto artistico o letterario nella dimora di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, dovreste subito accettare. Fidatevi. È una donna che vale la pena conoscere… Non a caso, la nostra città di Milano, quest’anno, ha deciso 

Un pomodoro gigante… per appetiti da lumaca

Un pomodoro gigante… per appetiti da lumaca

Dopo un mese di sole pressoché ininterrotto, finalmente giunse la pioggia. E non furono le solite “due gocce” d’acqua… Tuttavia, prima che le secchiate di pioggia ricoprissero i colli lacustri, il pomeriggio sembrava presagire soltanto una lieve acquerugiola, più rinfrescante che altro.  Confidando nella suddetta 

Alle radici della Fagiolina del Trasimeno

Alle radici della Fagiolina del Trasimeno

Topolino casa teiera

Mentre la Risolartista era nel bel mezzo delle sue compere quotidiane, il suo occhio attento cadde su una dicitura curiosa di una certa etichetta.

“Prodotto lavorato a zampette con amore”

Da questa curiosa dicitura, risalì, poi, alle zampette citate, che la condussero fino alle radici della famosa Fagiolina del Trasimeno. Un percorso fruttuoso, che merita di essere raccontato per benino…

Tutto cominciò in fila alla cassa del supermercato. Come spesso accadde quando si aspetta il proprio turno, si cerca di ingannare l’attesa con quel che si ha in mano. Il caso volle che, in quel momento, la Risolartista avesse in mano un pacchetto di Fagiolina del Trasimeno.

Per chi non fosse a conoscenza di questo pregiato legume tipico del luogo, vale la pena dirne due parole.

La Fagiolina del Trasimeno è, come è facile intuire, una sorta di piccolo fagiolo. Tuttavia, non è un “semplice” piccolo fagiolo, ma un esemplare speciale. Intanto, lo si trova in tanti colori diversi: la sua tavolozza va dal brunito scurissimo, al giallo chiaro, passando per tutte le sfumature di rosso e marrone che esistono in natura. Immancabile, in ogni fagiolo, è la macchiolina nera al centro, che ne rende inconfondibile l’identità. 

Tanto è unica nell’aspetto, tanto lo è nel gusto. Dolce, cremosa, saporita e biscottata. Così il palato d’artista la potrebbe definire. Dopo il primo assaggio, è amore impossibile da tradire con qualsiasi altro legume, non fosse per la difficoltà a trovarlo! 

Purtroppo per i buongustai, la Fagiolina è oggi ben poco diffusa. La si coltiva soltanto attorno alle rive del Trasimeno, dove mani (e zampette) si adoperano per farla crescere, raccoglierla e lavorarla con tanta cura. Non ci sono macchine in grado di sostituire il lavoro e l’affetto che i piccoli produttori, rimasti fedeli al loro legume, mostrano ancora. E pensare che era un legume già noto e apprezzato dagli antichi Etruschi, secoli e secoli fa…

Fatto questo breve (e doveroso) excursus sulla protagonista della scena, torniamo alla fila del supermercato.

Mentre la Risolartista leggiucchiava l’etichetta della confezione di Fagiolina che aveva tra le mani, si stupì di leggere tali parole: “Prodotto lavorato a zampette con amore”.

Per quel che ne sapeva, erano mani “umane” a coltivare e produrre la Fagiolina. Si era sempre immaginata la classica contadina dall’ampio grembiule, e dal fazzoletto in testa, tutta intenta a raccogliere baccelli pieni di semi. Si era sempre immaginata i mariti contadini, con le loro camiciole a quadri, e i calzoni beige, che aravano i campi per le nuove colture, e si occupavano di irrigarle a dovere per tutto il periodo della crescita. Si era, poi, anche immaginata una serie di donnette ben tornite e dagli scamiciati a fiori, che passavano i pomeriggi estivi a sgranare Fagiolina fino al tramonto.

Insomma, tutte mani al lavoro, ma nessuna “zampetta”!

E, invece, quell’etichetta parlava chiaro, e parlava diversamente. Impossibile che si fossero sbagliati a scrivere. 

Quando giunse il suo turno alla cassa, si risvegliò dalle sue meditazioni in forma di Fagiolina, e pagò quanto dovuto. Prima di uscire dalla porta del negozio, già sapeva dove si sarebbe diretta quel pomeriggio…

Decisa a risalire fino alle radici della Fagiolina del Trasimeno, per scoprire come fosse coltivata e da chi, la Risolartista saltò sulla sua biciclettina fragolosa, con il Gatto Cappelletto al seguito. Direzione: campi di Fagiolina. Ossia l’indirizzo che era stampato sull’etichetta della confezione comperata quella mattina.

Chiaramente, essendo Fagiolina “del Trasimeno”, i suoi campi non potevano che trovarsi a pochi passi dalla riva del lago. Per fortuna, si trovavano anche a pochi passi da San Feliciano; dunque, una mezz’ora di pedalata, e il verde della coltivazione cominciò a svettare in fondo alla strada.

Quando ebbe abbandonato la biciclettina fragolosa, si avvicinò subito al campo, sperando di incontrare qualcuno che le desse informazioni. 

Essendo agosto, era il periodo giusto per la raccolta dei baccelli. Dunque, era abbasta sicura che avrebbe trovato qualche contadina china sulle piante, con un cesto da riempire in mano. 

Certezza che fu presto costretta a demolire. Il campo sembrava vuoto. 

Nessuna mano umana era intenta a tirare su le piante mature. 

Nessuna mano umana stava sgranando baccelli di Fagiolina.

Molte zampette animali, però, stavano facendo questo e altro. Bastava solo puntare lo sguardo nel posto giusto…

Non vedendo nessun contadino, la Risolartista decise di avvicinarsi ancor più, entrando letteralmente nel campo.

Fu lì che trovò finalmente i proprietari di quelle “zampette” che dovevano aver raccolto la Fagiolina del suo pacchetto. 

La scena di lavoro di cui si ritrovò spettatrice è troppo pittoresca per non essere descritta…

Appena ebbe l’idea di guardare cosa ci fosse tra il fogliame delle piantine, le comparvero davanti agli occhi una serie di curiose casette in forma di teiera. 

Tali case-teiere erano appese saldamente ai rametti delle piante di Fagiolina, e si intrecciavano con i giovani germogli e i baccelli tutti rigonfi. Ce n’erano di porcellana cinese, di latta, e, ovviamente, di ceramica locale tipica di Deruta. Ce n’erano alcune con motivi a fiori, altre a tinta unita, e altre ancora a righe. 

Ognuna aveva una scaletta di al massimo tre gradini, che permetteva di raggiungere la porticina anche da terra. Non che le rispettive proprietarie ne avessero veramente bisogno…

Le suddette proprietarie, infatti, erano topoline delle risaie. Una delle caratteristiche distintive di questi curiosi roditori (molto numerosi nei dintorni del lago) era la “coda prensile”. Il che voleva dire che si potevano appendere e saltellare da un ramo all’altro a loro piacimento. Un po’ come fossero scimmie, insomma. Raggiungere la porta di casa senza fare le scale, era per loro più un divertimento, che una difficoltà!

Ecco svelate le proprietarie di quelle “zampette” famose. Non c’erano mani umane dietro il lavoro di produzione di quella Fagiolina, bensì zampette di topolina delle risaie.

Da quel che si poteva osservare in quel momento, sembrava che fossero proprio brave nel loro mestiere. 

A differenza di quel che avrebbero dovuto fare le contadine per raccogliere la Fagiolina, ossia strappare le piante e poi batterle per estrarre i fagioli, il loro lavoro era molto più semplice.

Grazie alla loro codina prensile, saltellavano da un baccello all’altro, raccogliendo i fagioli maturi, e poi lanciandoli all’interno della loro casa-teiera. Ogni topolina aveva la sua zolla di competenza attorno alla casetta, e si occupava di fare la raccolta di tutte le piante che vi crescevano.

Di tanto in tanto, passava una squadra di topolini con una grande carriola, in cui venivano riversati tutti i fagioli raccolti. Era molto semplice come operazione: bastava inclinare le case-teiere, e tutto il loro contenuto usciva rapido dal beccuccio. Non avrebbero potuto escogitare un sistema migliore…

Mentre ammirava incantata quella scena, alla Risolartista sorse una domanda: come facevano a non rovesciare tutti i mobili delle casette insieme ai fagioli? Non riusciva davvero a spiegarselo. Perciò, si decise a interrompere una Signora Topolina, chiedendole di illuminarla sulla risposta. 

Anche qui, la faccenda era semplice. Non c’erano mobili nelle loro case! Non ne avevano bisogno: i topolini delle risaie costruivano le loro cuccette foderandole ben bene di erba morbidissima. In questo modo, l’interno duro delle teiere diventava un soffice giaciglio in cui schiacciare lunghissimi pisolini, e mangiucchiare qualche Fagiolina di tanto in tanto. Chiunque avrebbe adorato avere la propria “dispensa” (ossia il mucchio di fagioli) a portata di mano accanto al letto! I topolini delle risaie avevano trovato un modo per garantirsi anche questa comodità.

Geniali, questi topolini, pensava la Risolartista. Tuttavia, non capiva ancora una cosa. Dove cuocevano la Fagiolina per renderla commestibile, prima di mangiarla? Se avessero acceso un fornello all’interno delle loro case-teiere, i giacigli di erba si sarebbero sicuramente incendiati.

Non riuscendo a risolvere da sola neppure questo dilemma, espresse il suo dubbio alla Signora Topolina.

… Cuocere la Fagiolina?!

Lo stupore negli occhi della Signora Topolina faceva ben capire che nessuno di loro avesse mai pensato di cuocerla. La Fagiolina del Trasimeno, per i topolini delle risaie, si mangiava solamente cruda. Ciò che accadeva era un po’ quello che fareste anche voi, avendo una ciotola di ciliegie sotto mano. Quando giunge per voi l’ora di merenda, una ciliegia tira l’altra, e la ciotola si svuota in men che non si dica. Allo stesso modo, quando era ora di pranzo o cena nella casa-teiera, una Fagiolina tirava l’altra, e la teiera diventava incredibilmente vuota e leggera.

Da quel che si capiva, la Signora Topolina non doveva essere una cuoca provetta di legumi. Non lo era di legumi, ma neppure di altro. Come disse subito dopo, i topolini delle risaie erano animaletti di poche pretese, che mangiucchiavano quello che coltivavano, quando gli capitava. Non avevano tempo di mettersi a cucinare, né tantomeno a pranzare tutti attorno a un tavolo. Non ne valeva la pena…

A queste parole, la Risolartista e il Gatto Cappelletto si scambiarono uno sguardo eloquente. Stavano entrambi pensando la stessa identica cosa. Stavano entrambi pensando al piacere che i topolini si perdevano, nel loro non voler né cucinare, né mangiare in compagnia. Non avendo mai provato la convivialità, non sapevano a che cosa rinunciassero…

Bisognava fare qualcosa per colmare tale mancanza. Bisognava insegnare ai topolini delle risaie ad apprezzare i piaceri della tavola e della buona cucina. Sgranocchiare così, cruda, tutta quella pregiatissima Fagiolina era un peccato: c’erano chef di fama internazionale che la valorizzavano a tal punto, da metterla nei loro menu degustazione. Se solo avessero saputo ciò che accadeva tra le radici delle piante di Fagiolina, sarebbero rimasti inorriditi!

Perciò, il Gatto Cappelletto, con l’aiuto della Risolartista, pensò di organizzare una bella lezione di cucina per tutte le Signore Topoline del campo. Se all’inizio sembravano tutte dubbiose, in quanto non volevano perdere tempo prezioso, alla fine si convinsero. Una pausa dal lavoro se la potevano pur concedere…

Detto fatto. I grembiulini da cuoco furono distribuiti alle allieve, e una scuola di cucina all’aperto fu presto messa in piedi a lato della coltivazione.

Non dovete pensare a banconi da lavoro, o fornelli a gas. Piuttosto, ci si organizzò creando una dozzina di fuocherelli bruciando la tipica “cannuccia” del Trasimeno. Era perfetta per cuocere la fagiolina, in quanto aveva il potere di regalare a ogni pietanza un aroma speciale. Merito del suo essere “cannuccia” del Trasimeno (e non semplice legna), ossia una canna di legno che, se bruciata, liberava un profumo unico. Un profumo che solo a San Feliciano (e nei suoi immediati dintorni) si poteva assaporare…

Chiusa la parentesi olfattiva sulla cannuccia, torniamo alla lezione di cucina. 

Come prima esperienza, non si poteva pensare a grandi piatti elaborati. Una zuppetta di Fagiolina con sughetto di pomodoro era già sufficientemente complessa per le inesperte topoline. 

Per fortuna, la pazienza e la bravura nelle spiegazioni del Gatto Cappelletto le aiutarono a portare a termine la ricetta. Dopo i primi pasticci, accompagnati da “timori reverenziali” nei confronti del gatto (vi ricordo che erano pur sempre topi!), le loro zampette si sciolsero, cominciando ad acquisire manualità. 

I pomodorini furono tagliati, e saltati in pentola con sedano, carota, e aglio. Poi, venne aggiunta la Fagiolina, con una spruzzata di vino e una foglia d’alloro. A metà cottura, era il momento di aggiungere rosmarino, origano e olio d’oliva. Su quest’ultimo ingrediente, il Gatto Cappelletto tenne a precisare un dettaglio: doveva essere olio buono, non il primo liquido verde trovato al supermercato. Doveva essere il signor Olio Extravergine d’Oliva del Trasimeno. La Fagiolina se lo meritava tutto…

Le topoline, tra una mescolata e l’altra, non mancavano di prendere appunti sui preziosi suggerimenti. Prima di quella lezione di cucina, distinguevano a fatica l’olio d’oliva da quello di colza; l’extravergine pensavano fosse una statua della Madonnina formato gigante…

Dopo un paio d’ore di lenta cottura, la Fagiolina era pronta. Tutto il campo era ormai intriso del profumo di cannuccia bruciata, mescolato all’aroma stuzzicante della zuppetta cotta a puntino. 

Era ora di pranzo. Era ora di far vedere ai topolini delle risaie che cosa voleva dire “gustare un pranzo in compagnia”.

Una decina di lunghe tavolate furono apparecchiate lì vicino, utilizzando delle vecchie assi e dei rametti per creare tavoli e panchette. 

In mancanza di tovaglie, dato che topolini non ne avevano mai avuto bisogno, la Risolartista pensò bene di offrire loro alcuni strofinacci che aveva recuperato a casa. Era ben felice di contribuire a rendere quell’esperienza un pranzo come si doveva in ogni sua parte.

Infine, mancavano le stoviglie. Per quella volta, dei gusci di noce avrebbero fatto da sostituti accettabili delle scodelle. Meglio che niente. I topolini delle risaie, fino ad allora, si erano solo preoccupati di recuperare teiere da usare come casa, ma piatti o tazzine neppure sapevano a cosa servissero…

Ed ecco, finalmente il pranzo a base di Fagiolina del Trasimeno fu servito. La zuppetta di legumi con il suo sughetto fu distribuita nei gusci di noce, colmandoli fino all’orlo.

Il profumino era davvero delizioso. Tutti i topolini stavano sperimentando per la prima volta che cosa volesse dire “avere l’acquolina in bocca”. La Fagiolina cruda non aveva questo potere…

Quando l’ultimo guscio fu riempito, il “buon appetito” fu augurato, e l’esortazione ad assaggiare quella delizia non fu neppure necessaria. Troppa era la fame, troppa era la voglia di scoprire se davvero valesse la pena di mettersi a cucinare…

Boccone dopo boccone, i gusci si svuotarono in men che non si dica. E il bis fu richiesto da ogni commensale. Tra una chiacchiera e l’altra, ci avevano proprio preso gusto!

Sgranocchiare la fagiolina cruda era una cosa, mangiarla ben cucinata a tavola era tutta un’altra storia. Non c’era paragone. 

Non serve aggiungere che, da quel giorno in poi, tutti i mezzogiorni nel campo di Fagiolina si profumarono di cannuccia bruciata e zuppette borbottanti sul fuoco… 

San Feliciano: paese di tramonti, di pescatori, e di gatti

San Feliciano: paese di tramonti, di pescatori, e di gatti

San Feliciano è quel piccolo angolo di Trasimeno noto per essere borgo di pescatori e di gatti. Senza dimenticare i tramonti: dicono siano tra i più belli del mondo intero… Finché lo si visita da turisti, però, se ne perdono molte cose. Il San Feliciano 

Gatti neri e batticuori

Gatti neri e batticuori

Ogni mattina, nel viottolo che conduceva dalla piazza al lungolago, avveniva un evento curioso. Ogni mattina, se vi fosse capitato di percorrere tale viottolo, vi sareste ritrovati spettatori di una storia d’amore felino.  Il primo protagonista, o meglio “la protagonista”, era la Gatta Ittica.  Tutti 

Vendesi melanzappartamenti vista lago

Vendesi melanzappartamenti vista lago

melanzane e bruchi illustrazione

L’orto vista lago del Signor Carlo regalava ogni volta ai suoi visitatori qualche curiosa sorpresa. Sempre che questi ultimi fossero in grado di vederla…

Proprio così: quell’orto era un luogo speciale, che, a quanto pare, era molto gradito ai più pittoreschi personaggini che si potessero immaginare.  

Personaggini di ogni genere e specie, che andavano dai topolini delle risaie esperti aviatori, ai bruchi in cerca di casa. 

E la cosa più sorprendente era che il Signor Carlo, così indaffarato a curare le sue coltivazioni, non si accorgeva mai di niente! Ci voleva l’occhio attento della RIsolartista, per catturare certi scorci di pittoresca vita animalesca in riva al lago…

Giusto una sera agostana in cui si era recata in visita all’orto del suo amico agronomo-agricoltore, le capitò sotto il naso un cartello curioso.

“Vendesi melanzappartamenti vista lago”. Così dicevano le lettere gialle, stampate su una grossa foglia di melanzana. 

Che cosa poteva significare un simile annuncio? Con un po’ di fantasia, lo si poteva paragonare a quei cartelli dai colori fosforescenti che si è soliti vedere appesi sui portoni delle case in vendita. L’unica differenza è che, qui, la casa in vendita, non doveva essere destinata affatto a possibili nuovi inquilini umani. 

Inevitabilmente incuriosita dalla cosa, la Risolartista pensò bene di accomodarsi in un angolo dell’orto, e stare a vedere che succedeva. 

Come avviene con qualsiasi potenziale acquirente di una nuova casetta, c’è sempre un agente immobiliare incaricato di portarlo in visita a vedere l’immobile in questione. Si sa che acquistare una casa “sulla carta”, senza vederla, è un rischio che non sempre conviene sostenere. Se se ne ha la possibilità, è molto meglio farsi un’idea concreta di quello che è a tutti gli effetti, piuttosto che essere ingannati da qualche “venditore di fumo” particolarmente abile.

Ebbene, anche in quel caso, essendoci un cartello di vendita di appartamenti, c’era anche un agente immobiliare responsabile dell’affare. Agente immobiliare che, giusto in quel momento, si apprestava ad arrivare nell’orto del Signor Carlo per incontrare il suo potenziale cliente. 

Vi potreste chiedere come l’artista fosse stata capace di riconoscere il suddetto agente immobiliare responsabile di melanzappartamenti. Domanda lecita. 

Per rispondere, immaginatevi un agente immobiliare umano, con tanto di brochure informativa sotto il braccio, e giacca e cravatta coordinate. Immaginatevi il suo comportamento di attesa impaziente, mentre aspetta che il potenziale cliente arrivi. Immaginatevelo passeggiare avanti e indietro, indietro e avanti, proprio a due metri dal portone d’ingresso con appeso il cartello di vendita. 

Ecco. Avendo chiara l’immagine dell’agente immobiliare umano, potrete facilmente capire come, quando la Risolartista si trovò ad osservare un merlo in giacca e cravatta, e con brochure nel becco, non ebbe dubbi sulla sua identità. 

Aveva davanti un Signor Merlo agente immobiliare, incaricato di far visitare al cliente i melanzappartamenti in vendita. 

Chi poteva essere, dunque, l’interessato ad accasarsi nell’orto del Signor Carlo? Solo l’attesa avrebbe svelato la sua identità.

Mentre la Risolartista aspettava che anche l’altro soggetto arrivasse, pensava a quello che si stava perdendo l’agronomo-agricoltore, completamente ignaro di tutta quella curiosa situazione. È proprio vero che, quando ci si “immerge” nel lavoro, il resto del mondo è come se non esistesse. Il Signor Carlo, nel suo essere indaffarato a strappare le erbacce attorno alle giovani piantine di fragole (era quella la sua occupazione di quella sera), era un esempio concreto di questo luogo comune.

Pazienza… prima o poi, qualcuno gli avrebbe fatto vedere i suoi nuovi inquilini di melanzappartamenti…

Finalmente, il potenziale cliente si degnò di presentarsi all’appuntamento. A giudicare dallo zampettare impaziente del merlo agente immobiliare, doveva aver fatto parecchio tardi!

La sua lentezza nell’arrivare, però, era parzialmente giustificata dall’identità del soggetto in questione. Non era un campione di velocità…

Il potenziale cliente di un melanzappartamento vista lago era un bruco. Un bruco bello grosso, dalle tinte sgargianti, di un bel verde acceso. Doveva essere un Babbo Bruco, per la precisione. Un Babbo Bruco che stava aspettando qualcuno ancora più in ritardo di lui.

Poco dopo di lui, fece il suo ingresso nell’orto anche Mamma Bruco. Era tutta accaldata, poveretta! Doveva aver corso (per quanto un bruco possa correre…) più che poteva per arrivare all’appuntamento… era tutta rossa sul musetto, e pareva senza fiato. Il suo corpicino ad anelli, normalmente di colore giallo-arancio, era diventato infuocato per la fatica. 

Non doveva trattarsi di una famiglia di bruchi particolarmente abituata a guardare l’orologio…

Tant’è, che alla fine erano arrivati. E il merlo agente immobiliare era ben contento di poter cominciare a condurre il giro di visita degli appartamenti.

La Risolartista si nascose ancora meglio tra il fogliame, decisa a non interrompere neanche un momento quell’insolito tour dell’orto del Signor Carlo, diventato terreno residenziale per bruchi in cerca di casa.

Come prima cosa, il Signor Merlo pensò bene di mostrare la vista sul Trasimeno di cui ogni abitazione poteva godere. Metà del valore della casa in vendita, doveva essere dovuta proprio a quel paesaggio incantevole…

I tramonti lacustri, tra l’altro, dovevano anche costare molto cari. A giudicare dal prezzo che il cartello esibiva (un valore poco decifrabile, ma con molti zeri), l’esposizione a picco sul lago faceva lievitare il prestigio di tali appartamenti. Guardando i colori dell’imbrunire che quella sera stava offrendo in quel momento, però, si giustificava a pieno un costo così alto. Avere la possibilità di cenare tutte le sere con il sole infuocato che penetra dalla finestra, non è cosa da tutti. E anche i bruchi, a quanto pare, sembravano apprezzare la cosa.

Mentre il merlo agente immobiliare infiorava a dovere i tramonti del Trasimeno (non mancando di citarne la fama internazionale), la coppia di bruchi si scambiava cenni di assenso. Sembrava che il loro giudizio sul luogo migliorasse ogni minuto di più…

Dopo aver goduto a sufficienza della vista sul lago, i due clienti furono condotti a fare un breve giro nell’orto del Signor Carlo, così da mostrarne gli ortaggi coltivati. C’erano pomodori, peperoni, meloni, zucchine, e, ovviamente, melanzane. Tutte varietà particolarmente gradite ai bruchi (e anche al loro stomaco…).

La passeggiata per le zolle terminò davanti a quelli che potevano essere solo i famosi melanzappartamenti vista lago.

La vista sul lago c’era, e l’aspetto di “melanzana” di quelle curiose casette faceva facilmente intuire il motivo del nome.

Tali melanzappartamenti erano situati (guarda caso) nel bel mezzo dell’orto delle melanzane, in un punto abbastanza nascosto, ma non troppo da passare inosservato. A meno che non si fosse contadini completamente immersi nel proprio lavoro (come il Signor Carlo), era impossibile non notarli. Tanto più, visto che tutt’attorno l’agenzia immobiliare del Signor Merlo aveva provveduto ad attaccare cartelli su cartelli con la scritta “Vendesi” stampata ben chiara. 

Da quel che si capiva dalle presentazioni dell’agente merlo, gli appartamenti rimasti in vendita erano tre. Gli altri erano già stati venduti tutti.

Tre appartamenti, ossia tre bellissime melanzane completamente ristrutturate, e trasformate in accoglienti dimore unifamiliari. 

La prima melanzana che fu visitata dalla famiglia di bruchi aveva una forma molto sottile e allungata: doveva essere disposta su almeno due piani. Le pareti erano viola intenso, e il pavimento era costituito da quello che era a tutti gli effetti un piattino da tè. 

Per completare la descrizione dell’appartamento, manca da dire che era “appeso” a circa mezzo metro d’altezza (tramite il picciolo della melanzana), così da poter offrire un’ottimo scorcio di lago dalla finestra. Era l’equivalente, a misura di bruco, di un quarto piano per noi umani.

La seconda, invece, era molto più tonda, e dalle sfumature più chiare, che ricordavano il color prugna. Come altezza, qui si viaggiava su un piano rialzato, che non mancava, però, di guardare l’orizzonte lacustre. Anzi, da questo secondo appartamento, la vista era ancora più incantevole, ed era accompagnata dal vantaggio di essere all’ombra per tutte le ore più calde. Le grandi foglie della pianta di melanzana, infatti, facevano da tettoia ideale, per non rischiare di arrostirsi in casa a causa di certi mezzogiorni più che roventi…

E, poi, a coronare la deliziosa casetta, c’erano finestrelle con tanto di imposte di legno intagliate a forma di cuore. Un dettaglio che piacque tantissimo a Mamma Bruco, quanto alla Risolartista.

L’ultima alternativa ancora in vendita era una melanzana affusolata, leggermente curva verso destra. Come le altre due, il piattino da tè non mancava di fare da basamento, e, in questo caso specifico, offriva abbondante spazio attualmente inutilizzato. Come confermò il merlo, si trattava di un appartamento adatto a proprietari con la passione per il giardinaggio, che avrebbero potuto riempire il loro balcone (ossia il piattino da tè) con tutti i germogli di loro gradimento. 

Visti gli sguardi dubbiosi di Babbo e Mamma Bruco, si poteva intuire che il giardinaggio non rientrasse tra le loro priorità…

Ecco, dunque, i melanzappartamenti vista lago disponibili per far accasare la famiglia di bruchi nell’orto del Signor Carlo. Quale avrebbero scelto tra le tre alternative? 

La Risolartista era ancora più curiosa di prima: voleva sapere che cosa avrebbero deciso i due potenziali acquirenti. Di più: le sarebbe piaciuto moltissimo aiutarli nella scelta, dando il suo pittoresco giudizio sulle tre casette. Dopo tutto, malgrado se ne fosse rimasta nascosta, poteva dire di aver partecipato anche lei al tour della visita. 

Era giunto il momento delle consultazioni familiari: se erano interessati a una delle case in questione, dovevano dirlo in poco tempo, altrimenti l’agente immobiliare avrebbe cercato altri clienti…

Appena il Signor Merlo si fu allontanato, per lasciarli un po’ da soli, Babbo e Mamma Bruco cominciarono a discutere, valutando i pro e i contro di ciascun melanzanappartamento. Se il terzo (quello con il grande balcone) fu escluso in breve tempo, sugli altri due non riuscivano proprio a decidersi. Al Babbo piaceva l’idea di abitare “ai piani alti”, mentre la Mamma era rimasta incantata dalle persiane a cuoricino della casetta più bassa.

Non riuscivano proprio a trovare una soluzione!

La Risolartista, che aveva continuato a osservarli per tutta la loro discussione, decise alla fine di farsi avanti, e di esprimere il suo punto di vista artistico.

Quando uscì dal suo nascondiglio, lì per lì, i due bruchi si spaventarono alla vista di quella straniera apparentemente umana. Tale spavento, però, fu di breve durata: lo spirito pittoresco dell’artista aveva il potere di infondere fiducia e simpatia anche senza bisogno di parole. Motivo per cui, in neanche cinque minuti, la paura scomparve dagli occhi dei bruchi, sostituita dall’interesse a sentire il suo giudizio.

Le bastò citare le sfumature cromatiche molto insolite del melanzappartamento tondo, e la raffinatezza degli intagli a cuoricino delle persiane, per convincere il Babbo Bruco della validità della preferenza della moglie. Quando, poi, sottolineò la vista sul lago ancora migliore, e l’ombra di cui avrebbero goduto a ogni mezzogiorno, si risolse definitivamente.

Basta, la decisione era presa: avrebbero comperato il melanzappartamento tondo al piano rialzato. 

Comunicata la decisione al merlo agente immobiliare, questo si complimentò con loro per l’ottima scelta. Era davvero l’alternativa migliore (visto anche che era quella più costosa…)!

Mentre il Babbo Bruco firmava le scartoffie di acquisto con il Signor Merlo, Mamma Bruco si avvicinò alla Risolartista, ringraziandola per l’aiuto nella difficile decisione. Senza di lei, il marito non si sarebbe mai convinto!

Come poteva ricambiare a dovere il favore? 

La Risolartista aveva un’idea…

Come accade in ogni nuova casa che si rispetti, è dovere di buon vicinato offrire un pranzo ai vicini di casa per fare conoscenza. Nel caso particolare della famiglia di bruchi, la lista degli invitati non avrebbe dovuto comprendere solo gli altri inquilini dei melanzappartamenti, ma anche due ospiti umani.

Il primo ospite sarebbe stato la Risolartista, ovviamente. Il secondo, però, doveva essere il Signor Carlo: il vero “proprietario di casa”… in questo modo, si sarebbe dovuto per forza accorgere della presenza di quei nuovi curiosi abitanti del suo orto.

A Mamma Bruco sembrò una proposta fantastica, nonché un ottimo modo per iniziare a costruire qualche nuova amicizia. Mancava solo una cosa da decidere: il menu. Che cosa avrebbero potuto gradire invitati bruchi e invitati umani? 

… Una padellata di melanzane al funghetto cascava a pennello con il luogo, quanto con l’occasione.

Melonfiere in volo

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In quel fresco (strano, ma vero!) pomeriggio agostano, il sesto senso d’arista era stato stuzzicato dalla voglia di melone. E, quando era il senso d’artista a parlare, significava sempre che c’era qualcosa di pittoresco in vista… Per sapere cosa le rive del Trasimeno avevano in 

Una collana di nodi d’amore

Una collana di nodi d’amore

Sul finire di agosto, il 27 per la precisione, arrivava anche l’onomastico della Mamma Monica. Il che significava farle prima di tutto gli auguri (impegnandosi a ricordarselo già dal mattino), e poi anche un regalino. Si sa che gli onomastici sono un’occasione ottima per fare 

I Gatti di San Feliciano

I Gatti di San Feliciano

Gatti e scatoletta di tonno

La comunità dei Gatti di San Feliciano, come è facile immaginare, vive tra le vie del paesino di pescatori per eccellenza affacciato sul Trasimeno. San Feliciano, appunto.

Se si volessero avere dati demografici più precisi su questa popolazione felina, non sarebbe facile quantificarli. I gatti sanfelicianesi spuntano fuori oggi, e scompaiono domani: sono un popolo dinamico, in continuo movimento e ricerca di avventure. L’idea di farne un censimento esatto è difficilmente realizzabile. Tanto più, visto che la metà di loro non ha un luogo fisso in cui dormire; la possibilità di dimenticarne qualcuno nascosto in un camino, o in cima a qualche grondaia è decisamente elevata…

Capite anche che non esista a San Feliciano un vero “villaggio felino” a loro interamente dedicato. I gatti, qui, popolano ogni angolo del paese, dal porto pieno di barche, ai casolari dispersi tra i colli. Per non parlare poi, delle abitazioni dei paesani, che fungono da residenze di lusso per ogni individuo baffuto ghiotto di pesce. 

Tuttavia, volendo essere sinceri, gli umani hanno creato una sorta di “paese nel paese” dedicato ai gatti. Si tratta di un cumulo di case e casettine fatte di assi di legno e materiali di recupero (un capolavoro di quella che definireste “arte povera” di tutto rispetto), con tanto di ciotole abbondantemente sparse attorno. L’idea di questi umani è di tentare di raccogliere lì tutti i gatti sanfelicianesi, così da poterli sorvegliare, curare, e nutrire abbondantemente. 

Idea gentile, da parte loro, quanto poco effettivamente realizzabile nel concreto. Quel mucchio di casette è troppo piccolo per poterli contenere tutti: un decimo di loro, forse, potrebbe trovare un tetto sotto cui ripararsi, non di più!

Questa carenza di spazio nel “paese nel paese”, però, è ben compensata da tutto il resto dello spazio che i viottoli e la campagna offrono. Senza contare il porto: luogo prediletto per qualsiasi felino che sia ghiotto di pesce (e chi di loro non lo è…).

Dunque, tirando le somme in materia di indirizzi in cui trovare i Gatti di San Feliciano, si definiscono tre alternative. 

La prima è il suddetto “paese nel paese” fatto apposta dagli umani, che rimane un comfort per pochi. La seconda è “dove capita”, prevalentemente attorno al porto, o nei pressi dei bidoni dei rifiuti (ahimè, sono risorse di cibo molto invitanti per loro).

La terza, la migliore, spazia dai focolari domestici degli umani paesani, alle casette a misura di gatto, costruite da zampe di gatto. Queste ultime, ad esempio sono quelle che ritroverete come indirizzi di due dei tre gatti principali di cui farete conoscenza: Cappelletto e Ittica. Il terzo personaggio, il Gatto Grifolatte, se la passa bene sonnecchiando nel retro del supermercato…

A questo punto, giunge spontanea la domanda: i gatti sanfelicianesi parlano?

Sì… e no. Dipende tutto da chi li ascolta. 

Se li ascolta un umano “normale”, probabilmente sentirà solamente un miagolio più o meno intonato.

Se, invece, a tendere l’orecchio è un bambino, o un artista, dallo spirito sufficientemente pittoresco, allora si ritroverà a poter fare lunghe conversazioni con loro. La Risolartista (giusto per specificare) appartiene a questo secondo gruppo di eletti.

Sciolto anche questo nodo, parliamo della comunità nel concreto. 

Intanto, si tratta di una comunità molto varia, che comprende sfumature di pelliccia di tutti i colori e di tutte le gradazioni: ci sono gatti rossi, gatti striati, gatti bianchi e gatti bianchi a macchie, gatti fulvi, e, ovviamente, gatti neri. Gatti neri, che, però, non portano sfortuna: sono gatti sanfelicianesi, il che li rende immuni da questa triste nomea.

Essendo un popolo così numeroso, diventa anche difficile trovare un’organizzazione paesana che funzioni. Avendo a che fare con i gatti, di gerarchie e ruoli legalmente definiti non si può parlare. Vi basti sapere che hanno una sorta di sindaco “super partes”, che tenta di risolvere i piccoli problemi che si possono creare tra loro. Si tratta del Bassetto Leccino, che, da cane, è del tutto estraneo a faccende e interessi a misura di felino; dunque, svolge benissimo la sua funzione. 

Per il resto, ogni gatto fa il suo, e porta il suo contributo alla comunità. C’è chi si occupa del cucinare per tutti (compito che spetta al Gatto Cappelletto), chi sorveglia il reparto frigo del supermercato (si parla di Grifolatte), e chi lavora all’Ittica (questa è la Gatta Ittica, ovviamente). Poi, c’è chi tiene compagnia alle matrone del paese, chi tiene lontani i topolini dalle dispense, e chi fa la guardia agli orti. Di lavoro, per i gatti sanfelicianesi, ce n’è moltissimo da fare; basta avere voglia di sporcarsi un po’ le zampe.

Come avviene in tutte le normali società, anche la comunità dei Gatti ha bisogno delle risorse con cui sopravvivere e andare avanti. Non si parla di denaro in contanti, quanto, piuttosto, di beni in natura.

Di quale natura?

Cibo, chiaramente! Il resto, bene o male, gli istinti felini se lo sanno recuperare da sé. 

A dire il vero, anche il cibo, in teoria, sarebbero in grado di procacciarselo da soli, senza grandi aiuti esterni. Quando un gatto è affamato, arriverebbe anche a rubare il pranzo che qualche paesano sprovveduto ha lasciato troppo vicino alla finestra…

L’istinto rende occasionalmente anche il gatto ladro. Tuttavia, prima di arrivare a quello, ci sono una serie di altre alternative di reperimento di cibo molto più dignitose.

Il bidone dei rifiuti è (purtroppo per loro) una strada molto valida per riempirsi lo stomaco, e da loro prediletta. Non si sa come mai, ma pare che i gatti sanfelicianesi siano particolarmente attratti dall’idea di banchettare in cima a un cassonetto. La colpa è, forse, della loro indole selvatica. Indole che il Gatto Cappelletto, in qualità di cuoco della comunità, cerca quotidianamente di correggere, impegnandosi a preparare tutti i giorni un piatto caldo per ciascuno. Malgrado cerchi sempre di dissuaderli dal rovistare nella pattumiera, le cattive abitudini sono difficili da correggere…

Come appena detto, un’altro modo per trovare cibo è quello di sedersi alla “mensa comunitaria” dei gatti, gustando ciò che Cappelletto cucina quotidianamente. In genere, nessuno si sottrae da una simile offerta, salvo in quei giorni in cui il menu propone cose che proprio non vanno giù… 

Infine, rimane la via delle “donazioni”. Donazioni generosamente elargite dagli angeli custodi dei gatti più disparati. Tra questi si contano numerosi paesani, che si curano di riempire ogni giorno le ciotole disperse qua e là, con squisito cibo per gatti in scatola, o in formato crocchetta. Poi, ci sono i pescatori, e tutti coloro che si ritrovano ad avere pesce tra le mani; è inevitabile come gli scarti più polposi siano sempre direzionati a qualche amico peloso di passaggio. 

La miglior risorsa alimentare, però, rimane sempre una, e non è molto distante da ciò che avviene anche per i consumatori umani. Si tratta del supermercato, qui declinato sotto forma di Bussolini. Sfruttando come intermediario il Gatto Grifolatte (che vive nel supermercato), la comunità dei Gatti di San Feliciano si fa fornire periodicamente un certo quantitativo del loro cibo preferito venduto all’interno del negozio.

Si tratta del tonno. Del tonno in scatola (marca “Mare Aperto”, per la precisione), condito con un filo d’olio d’oliva. Del tonno, con la scatoletta colore delle acque del Trasimeno. Del tonno migliore che i palati felini sanfelicianesi abbiano mai assaggiato. Non che ne abbiano assaggiati molti altri…

Lo trovano così sublime, da rinunciare a qualsiasi altra alternativa, pur di trovarselo nella ciotola. Niente crocchette, né sardine; solo tonno in scatola all’olio d’oliva. È l’istinto di gatto a parlare. È un istinto così deciso, da mettere in secondo piano persino i manicaretti cucinati da Cappelletto. Anche quest’ultimo, dopo tutto, fatica a resistere alla tentazione…

Da questo breve cenno al tonno dalla scatoletta color acqua di lago, intuite bene cosa si possa “accidentalmente” abbandonare in una delle ciotole vuote in giro, o vicino alle case del “villaggio felino”. Prendete appunti, dunque.

Ci sono ormai sufficienti dettagli per immaginare un po’ meglio che cosa sia nel concreto questa comunità dei Gatti di San Feliciano. Avete capito che non è possibile stimarne un numero esatto, e nemmeno conoscere il domicilio di ogni suo membro. Avete capito quale siano le loro abitudini, e cosa si possa regalare loro per farli contenti. In conclusione, si spera che abbiate anche capito l’importanza di questi gatti per il paese. Senza di loro, gran parte del carattere pittoresco che ogni suo viottolo possiede sarebbe perduto. Senza di loro, non ci sarebbero sottofondi miagolanti che spuntano quando si parla di pesce. Senza di loro, i vicoli sarebbero vuoti, e le vecchie signore si annoierebbero tutto il giorno. 

Senza i Gatti di San Feliciano, San Feliciano non sarebbe San Feliciano…

Il Gatto Grifolatte

Il Gatto Grifolatte

E la sua marmellata di pere Buongiorno a tutti! Prego, accomodatevi, mentre aspetto che il latte si scaldi, ne approfitto per la mia presentazione. Sono il Gatto Grifolatte… come ben si intende dal nome, di latte me ne intendo eccome! Tuttavia, mi è stato chiesto