Se vi capitasse di ricevere un invito ad unirvi a un salotto artistico o letterario nella dimora di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, dovreste subito accettare. Fidatevi. È una donna che vale la pena conoscere…
Non a caso, la nostra città di Milano, quest’anno, ha deciso di dedicare la prima statua femminile proprio a lei: alla più grande patriota italiana del Risorgimento.
Malgrado non sia nota a molti (chi l’ha mai sentita citata nei libri di scuola?!), è un personaggio che si meriterebbe un riguardo immenso. Non è solo una dei tanti che hanno dato la propria vita per costruire l’Unità, ma è molto di più. Scoprire la sua storia è il primo passo per poterla fissare nella memoria storica della nostra cultura: una donna di cui ognuno dovrebbe essere orgoglioso.
Perciò, non possiamo che accettare l’invito a unirci al suo salotto, che in questo caso è stato organizzato a Milano, a Palazzo Isimbardi, con una mostra a lei dedicata. Si tratta di dipinti, disegni e acquerelli, che vogliono aiutarci a entrare nel suo mondo di allora, assaporando un po’ di vita aristocratica. Non solo: vogliono anche farci conoscere i suoi familiari, che, nel loro supportare prima la causa napoleonica, e poi quella italiana, hanno contribuito a formare la mente brillante della nostra patriota.
Per cominciare, è bene dire qualcosa sulle imprese e sui meriti di Cristina… altrimenti, tanti complimenti sembrerebbero solo parole vane.
Dunque, Cristina Trivulzio di Belgiojoso nacque nel 1808, da Vittoria Gherardini e Girolamo Trivulzio. Dovete pensare a una famiglia già grande stimatrice di Napoleone, con idee molto rivoluzionarie per il tempo. Altro particolare presente fin da subito sono i “salotti di conversazione”: salotti dell’alta società, in cui le padrone di casa si facevano protagoniste di scambi culturali tra intellettuali, artisti e compositori, che avevano un sapore filosofico, quanto politico.
Ecco: questo è il contesto in cui crebbe Cristina, che le fece da base per sviluppare il suo personalissimo pensiero colto e determinato al cambiamento.
Dopo aver sposato il Belgiojoso, avendo capito di aver fatto un matrimonio scadente, se ne separò, costretta anche a fuggire prima in Svizzera e poi in Francia, per motivi politici.
Già dall’inizio, potete intendere che le sue posizioni politiche avverse agli austriaci fossero molto “scomode” per il tempo: non vi sto a citare le sue peregrinazioni per l’Europa (e non solo), che fu costretta a fare, pur di perseverare nel suo patriottismo.
Dopo tutto, questo sostegno alla causa italiana era una caratteristica di famiglia. Alessandro Visconti d’Aragona, il patrigno di Cristina ( la madre era rimasta presto vedova), partecipò ai moti del ’21, finendo incarcerato per lungo tempo. Lo stesso accadde al figlio Alberto, che prese parte ai tumulti carbonari, e rischiò persino di essere condannato a morte.
La nostra eroina, dal canto suo, si impegnò soprattutto con le parole, divenendo giornalista e direttrice di innumerevoli testate patriottiche, avverse agli Austriaci, quanto promotrici dell’Unità. Non solo: cercò anche di aiutare sul piano sociale, creando le “ambulanze” ancor prima di Florence Nightingale, e interpretando a suo modo i “falansteri” utopistici di Fourier. In riferimento a questi ultimi, vi posso dire che, a Locate Triulzi (a sud di Milano), creò un complesso abitativo per i poveri, cercando di aiutarli con scuole per i bimbi, cure mediche gratuite, e persino una stanza riscaldata per farli sopravvivere anche ai freddi inverni lombardi. Una paladina sotto ogni punto di vista, insomma.
Ancora manca la parte più culturale di Cristina: così come la madre aveva fatto per anni, anche lei non mancò di organizzare salotti letterari in cui invitare personaggi di spicco di allora. Sui suoi divanetti, pare abbiano conversato allegramente Balzac, Lafayette, Liszt e Michelet… ma si potrebbe andare avanti a lungo.
L’unico che non prese mai parte alle riunioni di casa sua è forse Cavour; non perché ce l’avesse a male con lei (anzi, si conoscevano bene, e lei ne condivideva le idee), ma per la posizione ormai troppo politicamente scomoda della donna, segnata da esilii e critiche verso il domino austriaco.
Poco male: le sue conversazioni con il suddetto Cavour pareva avvenissero comunque… nel salotto della sorellastra Virginia. Ça va sans dire, anche lei sostenitrice del patriottismo italiano!
Penso di avervi detto abbastanza della vita di Cristina, da avervi fatto capire quale eroina risorgimentale sia stata. Con questo in mente, possiamo dare un’occhiata a qualche immagine della mostra, scoprendo qualcosa di più dell’ambiente che ha contribuito a costruire il suo “liberalismo aristocratico” così solido e impetuoso.
Tra i ritratti dei familiari più stretti, la madre Vittoria si merita un posto d’onore. Dopo tutto, doveva essere una di quelle tipiche donne aristocratiche che amavano molto mettersi in bella vista. Per fortuna, alla bellezza esteriore, accompagnava anche quella interiore: si diceva fosse molto colta, e che amasse organizzare salotti brulicanti di musicisti e compositori. Pensate che il Bellini, nel frontespizio della sua opera “I Puritani”, le scrisse una dedica personalizzata. Altra curiosità connessa: il vestito che Vittoria indossa nel dipinto. Pare fosse quello che avesse indossato proprio in occasione della Prima della Scala del capolavoro del Bellini.
Concludo le curiosità sulla madre con la sua morte; una morte avvenuta per un eccesso di vanità. Infatti, dovete sapere che morì di infezione, dopo un “intervento di chirurgia estetica” (uno dei primi della storia) finito male: voleva togliersi il doppio mento, e ci rimise tanto il mento, quanto le penne!
Ma passiamo adesso a quegli acquerelli che immortalano la vita aristocratica di allora. Esempi di “pittura di genere” con una cura per i dettagli fiamminga, che ci fanno immergere davvero nel salotto che vi ho citato all’inizio. Abbiamo prima uno spaccato dell’ancien régime, con alcune stanze dei “nonni” di Cristina (che nonni non erano, ma genitori del secondo marito di Vittoria). Ci sono i coniugi che si svegliano al mattino, allietati da un concerto di musicisti, e da una tazza di caffè (o cioccolata?!); ci sono i camerieri che giocano a carte, mentre cane e gatto si ringhiano a vicenda. Tutte scenette curiose, con una punta di ironia, che ci introducono nelle dimore aristocratiche di allora.
Poi, merita di essere menzionato quell’acquerello di Michele Bisi, raffigurante le tre sorellastre di Cristina, Teresa, Virginia e Giulia, tutte intente a giocare ai cerchietti (vedi sopra). Potete ammirare gli abiti alla moda neoclassica, e godervi la vista del loro bellissimo giardino ricco di rose e ortensie in fiore. Vivere lì doveva essere bellissimo, anche se le espressioni malinconiche delle bambine rivelano le conseguenze negative di un’educazione forse un po’ troppo rigida…
Infine, ecco i due ritratti di Cristina. Il primo è un acquerello dell’Hayez (disegno preparatorio per il celebre dipinto), realizzato di nascosto mentre la ragazza si trovava in esilio in Svizzera. Si racconta che il pittore fosse scappato là con Vittoria, per poter fare qualche schizzo in vista dell’opera finale. Opera, che era stata commissionata dalla madre stessa, per poter avere la figlia “vicina”, anche quando era così “lontana”.
L’amore materno si ritrova tanto nell’intento del ritratto, quanto nel busto dipinto accanto a Cristina. Si tratta dell’immagine di Vittoria, che doveva servire a ricordare all’osservatore che, malgrado la posizione politica difficile, Cristina era pur sempre apparente alla potente famiglia dei Trivulzio. Una “protezione” nascosta tra le pennellate del dipinto.
Il lato più intellettuale e spirituale della patriota, però, compare nell’altra opera, realizzata da Henri Lehmann (vedi sopra). È in questa che si percepisce la sua mente superiore, fervente di cultura e idee rivoluzionarie. È nei suoi occhi neri, che emergono dall’incarnato candido, che possiamo apprezzare la sua forza interiore.
Queste poche immagini forse non bastano a capire la grandezza di Cristina Trivulzio di Belgojoso; tuttavia, sono già qualcosa. Certamente, prendere parte a uno dei suoi veri salotti, sentendola parlare dal vivo, era un’altra esperienza. A noi contemporanei solo questo è concesso. Ma vale la pena cogliere questi spunti, e fissarli nella nostra memoria, cosicché il ricordo di questa grande donna del Risorgimento acquisisca il posto che si merita nella cultura della nostra Italia. Italia, di cui lei stessa è stata artefice in prima persona.
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