Tutte le sfumature dell’ocra e dell’arancio in estate, il bruno verdastro dell’autunno, e la candida neve color latte dei grandi freddi. Poi, si ricomincia con una primavera di colli verde brillante, macchiati di papaveri e denti di leone. Non c’è nero a spegnere la gioia, …
Tra tutti i borghi umbri in cui dimorano botti di vino buono, uno svetta in particolare. Dalla cima della sua montagnola domina le colline circostanti, come fosse il re dinnanzi alla sua corte. Una corte di vigneti, di tralci verde brillante che tirano righe dritte …
L’impressione che si ha del lavoro di uno storico dell’arte, come era Federico Zeri, è quella di un cercatore di tesori. Di più, è quella di uno Sherlock Holmes dell’arte, che ha un sesto senso sopra l’ordinario, e un occhio più acuto di una lince. Ricostruire la storia dei dipinti è un’impresa ardua, quanto affasciante: si tratta di raccogliere indizi, confrontare prove, voci e testimonianze. A sentire così, sembra proprio di avere a che fare con delitti e misteri. In effetti, non siamo poi così lontani: se l’investigatore inglese aveva a che fare con morti e scomparse di persone, qui, analogamente, abbiamo morti e scomparse… di quadri! Volendo nobilitare ancor più la figura dello storico dell’arte, possiamo dire che il suo compito ha un ostacolo ulteriore: non ci sono “vivi” da interrogare, ma solo documenti dispersi chissà dove, e tele dipinte che compaiono di tanto in tanto in qualche soffitta ammuffita e dimenticata. Dunque, il nostro Federico Zeri era uno Sherlock Holmes al quadrato…
Dopo questo breve elogio agli studiosi di arte, vi sarà venuta voglia di sapere qualcosa di più sul suddetto personaggio in questione. Chi era costui?
Federico Zeri è stato un grandissimo storico dell’arte del ‘900. Il secolo scorso lo ha visto protagonista di innumerevoli ritrovamenti e attribuzioni di opere, che spaziano dal gotico, alla ritrattistica di corte, fino alle correnti del Cinquecento. Il suo contributo più grande (e, a mio avviso, più affascinante) è stato quello di essere il primo a raccontare al mondo qualcosa di più sul misterioso artista Johannes Hispanicus. Tenete le domande pronte su quest’ultimo, perché ne saprete di più a breve.
Cogliendo l’occasione offerta dal Museo Poldi Pezzoli, che ha raccolto in una piccola mostra alcune opere frutto delle ricerche dello Zeri, possiamo apprezzare anche noi il suo contributo alla storia dell’arte. Malgrado esse siano una selezione ristretta di quelle che devono essere state oggetto dei suoi studi e delle sue identificazioni, bastano a farci dire un “grazie” spontaneo nei suoi confronti. Pensate che, senza il signor Federico Zeri, oggi quei dipinti non sarebbero appesi alle pareti di un museo, non avrebbero un autore, né una collocazione, e neppure una storia. Per fortuna, c’è chi, come lui, si impegna quotidianamente per ricostruire l’arte del passato, così da permettere anche a noi poveri contemporanei di goderne e di imparare qualcosa di nuovo.
Con questi buoni pensieri nella mente, è ora di fare un giretto alla mostra, e soffermarsi su qualche curioso ritrovato del nostro grande storico.
Cominciamo dall’opera con cui apre la mostra: il “Trittico ad ante mobili” di un pittoresco artista umbro (esattamente di Foligno), ossia Giovanni di Corraduccio.
Sono le parole dello Zeri a introdurci nel dipinto: “”Curiosissima è la distribuzione delle storie nella tavola centrale. […] Imperizia grossolana del pittore? O piuttosto, riflesso di un rielaborato, a sfondo misticheggiante, del testo evangelico […]?”
Ecco. Persino lui ce ne parla in modo affascinante, invitandoci a fantasticare sul motivo per cui l’autore abbia voluto disporre le scenette in modo così strano. In effetti, se guardate bene il trittico, vedrete come non ci sia logica nella sequenza di quelle scene che dovrebbero cominciare dall’Ultima Cena (in basso a sinistra), per poi finire con la Resurrezione e l’Apparizione fuori dal sepolcro (accanto a destra). Il racconto si aggroviglia inspiegabilmente, conferendo un carattere misterioso, che ben richiama la terra di provenienza del dipinto.
Trittico con Ali, Giovanni di Corraduccio
Giovanni di Corraduccio era umbro. “Umbro”, soprattutto nel Quattrocento, era sinonimo di personaggi appartenenti a una cerchia curiosa, in cui le storie evangeliche circolavano in modo altrettanto curioso. “Umbro” dà l’idea di “ombra” nella sua stessa radice; inevitabile una nota oscura nell’interpretazione dei prodotti artistici dell’entroterra dell’Italia Centrale.
Malgrado tutta questa oscurità, Federico Zeri riuscì a scoprire questo piccolo tesoro di Trittico che ci è regalato oggi alla vista. Vi consiglio di perdervi nelle storie evangeliche, soffermandovi sui dettagli degli abiti, delle aureole indorate, e di quelle folle di personaggi, che hanno un effetto tanto estetico, quanto didascalico. Didascalico, perché, pur nella confusione sequenziale degli episodi, istruiscono perfettamente sulle storie che vogliono raccontare. Anzi, con quel mistero di logica, regalano un gusto ancor più particolare.
La seconda tappa coinvolge due ritratti: uno del Moroni, che raffigura Fra Michele da Brescia, e uno di Ercole de’ Roberti, di ignoto soggetto. È interessante vedere la differenza di stile, e l’emozione che ciascun autore ci trasmette. Da una parte c’è grande naturalezza ed espressività: il Moroni, da buon ritrattista lombardo pre-caravaggesco, ci riporta di fronte al fraticello del passato. Dall’altra, invece, il pittore ferrarese è molto più rigido, e rimane su uno stile rinascimentale naturale, ma inespressivo. Quest’ultimo è il tipico ritratto di profilo, che più e più volte ricorre nelle collezioni in giro per l’Italia: belle opere, ma che poco ci trasmettono in quanto a umanità.
Ritratto di Fra’ Michele, MoroniRitratto di Giovane, Ercole de’ Roberti
Passiamo a un tripudio di realismo e volti emotivi: la Madonna con il Bambino e i Santi di Antonio Previtali.
Anche questo nome, molto probabilmente, giungerà ignoto a molte orecchie. Vi basti sapere che era un pittore cinquecentesco, qui molto ispirato dal lombardo Lorenzo Lotto. In effetti, ritroviamo proprio le espressioni umane e dolci del Lotto in ognuno dei soggetti: la Vergine illuminata al centro; il San Sebastiano trafitto, con un volto che pare quello di un putto dai capelli ricciuti; il Sant’Antonio Abate con il campanello; il San Rocco; e persino il “donatore”. Quest’ultimo, immortalato in preghiera a destra, potrebbe essere un probabile committente (di solito si facevano sempre raffigurare nei quadri); anche lui si rivolge con espressività “lottesca” verso il Bambinello.
Madonna col Bambino e Santi, Previtali
Vi risparmio la serie di nature morte che hanno più del “tentativo mal riuscito di fare una natura morta”, che altro. Siamo abituati a pensare al prototipo di natura morta quale la “Canestra” del Caravaggio: l’emblema del realismo e della naturalezza degli oggetti inanimati. Se la utilizzassimo come metro di paragone (visto che le opere in mostra dovrebbero esserne ispirate), nessuno dei dipinti reggerebbe il confronto! Basta dare uno sguardo ai colori e ai soggetti: tutte tinte fredde e artificiali, che modellano frutta e fiori troppo perfetti e “standard” per essere veri. E non c’è neppure quel gusto per i minimi dettagli fiamminghi che emoziona tanto…
Come diceva Dante “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”.
Vaso di fiori con mazzo di fragole, Gavarozzi
E passiamo, dunque, all’ultimo gruppo di opere su cui vale la pena fermarsi. Le tele del misteriosissimo Johannes Hispanicus. È questo il cuore della mostra, in quanto è grazie a Federico Zeri, se oggi è possibile vedere e sapere qualcosa sul suddetto artista. Poco si conosce ancora della sua vita, ma possiamo dire che fosse di origine spagnola, ma che formatosi in Italia, prima a Firenze e Roma, poi a Venezia, Milano, Ferrara e nelle Marche.
Guardando alle opere esposte, una serie su Efigenia e Cimone, e una sul tema della Deposizione, possiamo apprezzare innumerevoli influssi che il nostro Johannes colse in terra italica. Il Perugino fu il suo primo maestro: lo ritroviamo nei paesaggi e nei volti. Poi, quando si trasferì a Venezia, entrò certo in contatto con Giovanni Bellini, che si può cogliere ancora in quegli sfondi campestri molto naturali, con macchie di fronde dai tronchi lunghi e sottili, e foglioline indorate. Infine, oserei dire che c’è una punta “fiamminga” in certi dettagli; la conoscenza di Albrecht Dürer (che proveniva dal Nord) servì certo a caratterizzare le pennellate dell’artista con simili minuzie.
Cimone e Ifigenia, Hispanus
Ed è perdendosi in quelle collinette che stanno alle spalle dei protagonisti, che possiamo apprezzare fino in fondo il contributo di Federico Zeri. Facendo scorrere lo sguardo nei passaggi di colore della prospettiva aerea, che fa sfumare tutto all’orizzonte, viene spontaneo un ringraziamento. Un ringraziamento al lavoro di questo storico dell’arte, come agli altri suoi colleghi, che hanno contribuito ad aprirci mondi di colori e di storie sepolte, investigando come Sherlock Holmes tra soffitte e archivi persi nel passato.
Dopo un mese di sole pressoché ininterrotto, finalmente giunse la pioggia. E non furono le solite “due gocce” d’acqua… Tuttavia, prima che le secchiate di pioggia ricoprissero i colli lacustri, il pomeriggio sembrava presagire soltanto una lieve acquerugiola, più rinfrescante che altro. Confidando nella suddetta …
Mentre la Risolartista era nel bel mezzo delle sue compere quotidiane, il suo occhio attento cadde su una dicitura curiosa di una certa etichetta. “Prodotto lavorato a zampette con amore” Da questa curiosa dicitura, risalì, poi, alle zampette citate, che la condussero fino alle radici …
San Feliciano è quel piccolo angolo di Trasimeno noto per essere borgo di pescatori e di gatti. Senza dimenticare i tramonti: dicono siano tra i più belli del mondo intero…
Finché lo si visita da turisti, però, se ne perdono molte cose. Il San Feliciano degli stranieri è fatto di cenette di pesce con il rosso della sera sullo sfondo, di gite all’Isola Polvese, e biciclettate attorno alle rive. I più interessati al panorama enogastronomico, poi, potrebbero andare alla ricerca del pregiato olio d’oliva prodotto qui attorno, o del pesce di lago cucinato come vuole la tradizione.
Tuttavia, San Feliciano, per lo spirito pittoresco di un’artista, è molto di più. E il suo valore si accresce ulteriormente, nel momento in cui quest’artista è legata indissolubilmente ai suoi viottoli, a motivo di antiche discendenze di famiglia.
San Feliciano, per la Risolartista, era ed è la sua seconda casa. Una casa di vacanza, estiva, ma non solo. Una casa in cui abbandonare la frenesia cittadina, per rigenerare il suo animo pittoresco immergendolo nella natura selvaggia dei colli, e nella vita quotidiana che si sussegue tra i viottoli. Una casa da cui partire per avventure a metà tra realtà e incanto, tra contemporaneità e fiaba.
Tutti motivi che rendono questo paesino di pescatori (e di gatti) lo sfondo perfetto per racconti squisitamente pittoreschi.
Perché si possano apprezzare di più certe sue macchie di colori (e di vita) impresse sulla carta dall’artista, è bene conoscerne meglio qualche dettaglio.
Cominciamo da un punto di vista “esterno”. Cominciamo dall’ammirare San Feliciano a distanza, dall’alto, fermando i passi in cima al colle da cui parte la salita per Montalcino.
Visto da lì, il borghetto di pescatori assume i connotati perfetti per diventare un “paesaggio da cartolina”. Da lontano, le casette si confondono l’un l’altra, formando un grumolo di tetti e pareti dai colori pastello, tra cui spicca alto il campanile della chiesa. Il tutto è incorniciato da rami di ulivo carichi di frutti e di foglie, che, con le loro tinte argentee, contornano a meraviglia quel grazioso paesino.
Poi, ovviamente, c’è il lago. Il Lago Trasimeno, con la sua Isola Polvese che fa da macchia scura al centro, proprio di fronte alla riva sanfelicianese. Il Lago Trasimeno dalle tinte cangianti a seconda dell’estro del pittore che si è messo a dipingerlo. Il Lago Trasimeno, il cui profilo è rimarcato dalla lontana sponda opposta, su cui sorge il ben noto Castiglione. Nei giorni di aria pura, completa il tutto il Monte Subasio, che sorveglia gli abitanti lacustri dalla sua vetta brunita…
Manca solo il cielo. Difficile descriverlo con esattezza, in quanto le parole di oggi non andrebbero già più bene domani. E neppure tra un’ora, a dir la verità. Al mattino è azzurro, al pomeriggio guizza verso il latte se arriva qualche nube, e alla sera esplode come un fuoco d’artificio. Ecco il suo splendido tramonto…
Qualche volta è giallo, qualche volta arancione, molte volte rosso e rosato. Anche il verde, a dir la verità, non è estraneo alla sua tavolozza. Insomma, per potersi immaginare un tramonto sul Trasimeno a dovere, è necessario vederlo con i propri occhi.
Dopo aver colto il paese nel suo insieme, ci si può inoltrare più a fondo nei viottoli, cogliendo colori, suoni e profumi curiosi.
I colori variano dal rosa pesca, all’azzurro turchino, passando per le screziature naturali della pietra arenaria, che ancora spicca sulle pareti più antiche. Queste sono le tinte delle case e casette di cui San Feliciano si compone; tinte dolci, tranquille, qua e là accese da vasi da fiori appesi alle finestre.
I suoni sono quelli di tutti i giorni, con il valore aggiunto delle paroline scambiate in dialetto perugino. Il profumo inconfondibile, invece, è uno solo: quello della “cannuccia” lacustre che brucia allegra in chissà quale focolare…
Parlando di edifici nello specifico, non dovete aspettarvi grandi cose. Non è uno di quei borghetti fatti apposta per attrarre turisti con ristoranti e negozi a profusione.
Tutt’altro. A San Feliciano, la gente del luogo è semplice, e sembra spesso rimasta ferma a più di un secolo fa. Andando al di là delle apparenze (poche, ma necessarie per soddisfare minimamente gli stranieri), ci si può immergere in un’atmosfera antica. Atmosfera pittoresca, come quella delle campagne di un tempo, in cui si imparava a cavarsela da sé, e a fare quasi tutto in casa. La modernità, a San Feliciano, si è fermata alle soglie della maggior parte delle case: l’aura verace e quasi “fiabesca” di certi loro abitanti le ha impedito di entrare.
Il supermercato c’è, ma è pittoresco quanto i suoi clienti. Ed è trattato in modo altrettanto pittoresco, con un disinteresse verso certi comuni comfort cittadini che stupirebbe qualsiasi “metropolitano”.
A proposito del supermercato, vale la pena di partire da lui, per delineare la (brevissima) serie di negozi paesani.
Si tratta di un supermercatino di un pugno di metri quadrati, che ha nome Bussolini (dalla storica famiglia che lo fondò). Dire che è pieno di contraddizioni tra passato e presente è riduttivo. Se analizzaste ogni suo scaffale, trovereste materiale con cui divertirvi all’infinito. Vi basti sapere che ci sono prodotti tradizionali umbri che fanno la guerra con il mondo industriale. Trovate pecorini, ricotte di pecora e legumi tipici, accanto alle confezioni così sfacciatamente “da supermercato”, che non si vedono più neanche nei supermercati cittadini. Gli anni del boom economico e delle grandi marche oltremodo diffuse sono penetrati tra gli scaffali di Bussolini, senza abbandonarli mai. Il biologico, e tutte le mode contemporanee, non hanno spazio nelle borse della spesa delle signore sanfelicianesi. Al loro posto, compaiono i prodotti tipici e quelli anche troppo “da supermercato”, accompagnati da certi prodotti di “industria locale”, con nomi di marche che potete trovare solo qui. Dalla pasta Fabianelli, al latte Grifo. Dai biscotti Lago, all’Ovo Fresco San Martino che riempie un intero reparto con uova di ogni tipo e dimensione. E si potrebbe andare avanti a citare nomi più che curiosi all’infinito…
Va da sé, che tutte le “matrone” (così mi piace chiamare le signore attempate) del paese di una certa età vadano da Bussolini tutti giorni. Ci vanno a fare la spesa, ma soprattutto a fare quattro chiacchiere allegre con le proprie vicine di casa. Per non parlare, poi, delle battutine in dialetto che si scambiano con le commesse del negozio!
Passando agli altri negozi, non c’è molto da dire. Una panetteria non c’è più, sostituita dal caro Bussolini, che si fa consegnare tutte le mattine il pane fresco da due fornai del paese di Magione.
È rimasto invece il macellaio, il Signor Scarchini. Da storico protagonista dello shopping delle matrone in materia di carne, continua tutt’oggi a offrire i suoi ottimi servigi. Una colonna di San Feliciano, ma mai quanto il supermercato.
Poi, c’è l’Altra Edicola. Un’edicola che vende roba da edicola… e altro. Molto altro: dai cosmetici, ai tè, ai barattoli di miele e alle bottiglie di olio d’oliva. A pensarci bene, non si allontana poi tanto dal concetto di “drogheria” tanto caro ai nostri nonni; l’unica differenza è che ci si possono comprare prevalentemente giornali e quotidiani.
Completa la serie di negozi affacciati sulla piazza principale la farmacia. Fine della (brevissima) lista!
Come ultimo luogo di shopping si può ancora citare quel buchetto molto grazioso (ma pur sempre un “buchetto”), costituito dal punto vendita della Cooperativa dei Pescatori del Trasimeno. Da buon borgo di pescatori, non potrebbe mancare un posto in cui comprare il pesce di lago appena pescato.
Se volete, aggiungo anche il mercato che si tiene sulla piazza ogni venerdì. Non immaginatevi file e file di bancarelle affollate… non è uno spettacolo a cui i Sanfelicianesi siano abituati. Il mercato del venerdì non raggiunge neppure la doppia cifra per numero di banchetti; nondimeno, si tratta di banchetti a cui vale la pena fermarsi. Se le matrone paesane hanno bisogno di rinnovare le loro livree da lavoro (ossia i grembiuli) troveranno sempre un’ampia offerta. Come non rimarranno a bocca asciutta neppure in materia di calze, biancheria e pigiamini.
Gli uomini di casa, invece, è probabile preferiscano avvicinarsi al furgoncino della porchetta, che vende anche salumi e formaggi locali, oppure andare dal fiorista. Fiorista, che tanto fiorista poi non è. Di fiori quasi non se ne vedono; piuttosto ha un’incredibile varietà di ortaggi e piantine da seminare nell’orto. È questo che vuole la sua clientela.
Le suddette erano le bancarelle fisse. Poi, a seconda dell’estro della settimana, compaiono curiosi e pittoreschi venditori. Talvolta potreste trovare olio d’oliva purissimo del Trasimeno, oppure miele delle più strane varietà. O, ancora, montagne su montagne di mele, prodotte da un’azienda a due passi dal lago.
Con cosa si tornerà a casa il prossimo venerdì? Solo lo spirito del mercato sanfelicianese lo sa…
A questo punto, è probabile che vi siano sorte due domande riguardo le abitudini dei Sanfelicianesi.
La prima, è dove prendano la frutta e la verdura. Un ortolano vero e proprio non c’è… tuttavia, c’è il Signor Sergio, ortolano ambulante, che tre volte la settimana mette giù il suo camioncino in piazza.
E, poi, ci sono gli orti del Trasimeno. Basta abbandonare il caseggiato, per rendersi conto di come le colline circostanti siano tutte macchiate di fazzoletti di orto pieni di ortaggi di ogni tipo. Se chiedete a qualche abitante, vi dirà sicuramente dove ha il suo bell’orticello di famiglia. Chissà che non ve lo faccia persino visitare…
La seconda questione, invece, riguarda quella parte di abitanti “normali”, estranei a questa vita rimasta intrappolata a un bel po’ di tempo fa. Che vita faranno mai i “giovani”, e tutti i paesani “cittadini” (che passano più tempo in città che sul lago)? … Fanno la vita che probabilmente fate anche voi. Fanno acquisti in città, hanno amici in città, e lavorano in città. Solamente, ci mettono una mezz’ora di macchina in più anche solo per andare a fare la spesa. Per il resto, sono gente contemporanea come chiunque altro, troppo impegnata per entrare in profondità in queste dinamiche pittoresche di paese.
Il lato speciale e fiabesco di San Feliciano, infatti, richiede una certa sensibilità e attenzione per essere colto. Motivo per cui i soggetti di cui sentirete parlare non sono i canonici pendolari…
Eccoci, dunque. Eccoci a dire qualcosa di questi pittoreschi abitanti di San Feliciano.
Per conoscerli davvero, dovreste parlarci. Anche parlandoci, però, non capireste tanto (vi avviso). Non capireste i “non detti” che si riferiscono a chissà quale storia locale, non capireste neppure le parole in dialetto, che si divertono a cancellare da ogni frase il numero più grande possibile di lettere. Se volessi mettere per iscritto un normale chiacchiericcio da bar in riva al lago, dovrei mettere più apostrofi che vocali…
Per avere un’idea di massima di chi affolla i viottoli sanfelicianesi, potete prendere spunto da questi pochi indizi.
Pensate a matrone che si affaccendano tutto il giorno in cucina, dopo aver passato buona parte della mattinata a chiacchierare tra bar e supermercato.
Pensate a uomini di un’altra epoca, che la sanno lunga sulla vita, e si sono ritirati a curare il loro orticello come fosse un secondo figlio.
Pensate ai pescatori di ieri, che pescano tutt’oggi, e sempre con le stesse reti riparate anno dopo anno.
Pensate a un miscuglio di abitanti più giovani, che fanno da ponte tra il paese più fiabesco, e la realtà contemporanea. Sono loro a passare allegramente i prodotti alla cassa, o a servirvi il caffè con un sorriso.
Questo vi basti, il resto sarà vostro piacere approfondirlo…
Concludiamo il tour di San Feliciano con qualche altro accenno di contesto.
Tutti i vicoletti si snocciolano dalla strada principale (l’unica con il semaforo!), in senso perpendicolare al lago. Se vogliamo identificare il “cuore” del paese, non può che essere la piazza dei negozi, su cui svetta la torretta dell’orologio. Orologio squisitamente in ritardo; e in ritardo variabile a seconda di chissà quale logica balzana.
Per quel che riguarda i ristoranti e i caffè, ce ne sono disseminati qua e là. Uno vale la pena di citarlo: lo storico “Ristorante da Settimio”, rinomato per la cucina di pesce di lago. In quanto borgo di pescatori, come c’è il negozio del pesce, ci deve pur essere anche una tavola calda in cui chi non ha voglia di cucinare lo possa comunque gustare!
Non che ci sia bisogno di dirlo, ma San Feliciano ha anche un bel porto. Anzi, due porti. Entrambi piene di barchette, motoscafi e vele, che nelle giornate di bel tempo punteggiano le acque con le loro presenze.
Ora il quadretto dovrebbe essere abbastanza chiaro. Volendo, si potrebbe continuare ad aggiungere sempre più pennellate di particolari alla tela, ma (perdonate la finezza della metafora) non sono una pittrice fiamminga. Troppi dettagli sono difficili da ricordare tutti… si rischierebbe di non apprezzare i pochi di valore.
Vi ho parlato della veduta di San Feliciano dai colli, e dei suoi scorci di piccola quotidianità che si avvicenda nei viottoli. Vi ho parlato dei negozi, dei ristoranti, e del porto.
Gli spiritelli umani che animano la vita qui, lo avrete intuito, sono impossibili da immortalare per intero. Basta sapere che ci sono, e che è grazie a loro che certe scenette pittoresche continuano a succedere.
Mancherebbero solo i gatti.
Mancherebbe solo la seconda anima di San Feliciano, senza la quale il paese non è completo. Tuttavia, una coda di testo non basta a descriverne nemmeno un baffo… meglio rimandare a un’altra pagina inchiostrata.
Concludo la descrizione con quella che è la quotidiana fine di ogni giornata sanfelicianese. Concludo ricordandovi che si tratta del paese dei tramonti. Dunque, concludo consigliandovi di dipingere nella vostra mente ogni tinta di cielo al tramonto che siete capaci di immaginare. Appena l’avrete fatto, ricordatevi di rievocare tali colori ogni volta che pensate alla sera che arriva sul Trasimeno. Solo così, potrete apprezzare a pieno le storie di cui questo magico lago si trova a essere testimone…
Ogni mattina, nel viottolo che conduceva dalla piazza al lungolago, avveniva un evento curioso. Ogni mattina, se vi fosse capitato di percorrere tale viottolo, vi sareste ritrovati spettatori di una storia d’amore felino. Il primo protagonista, o meglio “la protagonista”, era la Gatta Ittica. Tutti …
L’orto vista lago del Signor Carlo regalava ogni volta ai suoi visitatori qualche curiosa sorpresa. Sempre che questi ultimi fossero in grado di vederla… Proprio così: quell’orto era un luogo speciale, che, a quanto pare, era molto gradito ai più pittoreschi personaggini che si potessero …
In quel fresco (strano, ma vero!) pomeriggio agostano, il sesto senso d’arista era stato stuzzicato dalla voglia di melone. E, quando era il senso d’artista a parlare, significava sempre che c’era qualcosa di pittoresco in vista…
Per sapere cosa le rive del Trasimeno avevano in serbo per la Risolartista quella volta, occorreva seguire l’intuito, e fare ciò che questo suggeriva.
Dunque, se era giunto il desiderio di un bel melone fresco e profumato, era bene adoperarsi per recuperarlo.
… Dove andare? Le alternative che offrivano meloni erano numerose.
C’era prima di tutto il caro Bussolini sotto casa, che non mancava mai di avere una cassetta piena di meloni nel suo reparto ortofrutta. Tuttavia, erano meloni troppo convenzionalmente da supermercato per poter soddisfare il suo sesto senso d’artista. Quel giorno ci voleva altro…
Essendo giovedì, un’altra possibilità era il furgoncino del Signor Sergio, che svettava con l’ombrellone aperto in mezzo alla piazza. Anche lì, di meloni ce n’erano a profusione. Tanti i meloni, quanta anche la fila di persone in attesa di essere servite. E alla Risolartista non piaceva aspettare…
Di conseguenza, nemmeno il Signor Sergio faceva al caso suo.
Perciò, prese la sua biciclettina fragolosa, e si avviò in direzione degli orti in riva al lago. Fuori dal paese, lontano dai meloni troppo comuni e dozzinali, avrebbe certo trovato qualche esemplare sufficientemente pittoresco per lei. Dopo tutto, il senso d’artista aveva bisogno di frutta d’eccezione, per poter soddisfare il suo appetito di colori…
Mentre pedalava allegramente poco oltre la brughiera paludosa, appena superata la casetta del Signor Sauro, il suo occhio si illuminò, inducendo la biciclettina a fermarsi.
L’orto del Signor Carlo, situato di fronte alla suddetta casa, l’aveva chiamata.
Era certa che avrebbe trovato un melone soddisfacente proprio laggiù…
Decisa a terminare lì la sua ricerca, accostò la biciclettina fragolosa al ciglio della strada, e la abbandonò lì, diretta all’orto in questione.
Era la prima volta, quell’anno, che ci metteva piede. Tra una cosa e l’altra, aveva sempre dirottato i suoi giretti pomeridiani altrove.
Il caso (dispettoso) sembrava non volesse mai farle incontrare il proprietario di quell’orticello, ossia il Signor Carlo. Ogni volta che aveva intenzione di fargli visita, non lo trovava mai. Quando, invece, aveva un mucchio di altre faccende da sbrigare, e passava lì di fronte, lo vedeva intento a lavorare. In tali occasioni, non poteva che salutarlo, promettendogli che si sarebbe fermata da lui la prossima volta…
E, così, era arrivata fino agli ultimi giorni di agosto, senza essere ancora riuscita a fare visita all’orto del Signor Carlo. E la cosa le era assai dispiaciuta.
Le era dispiaciuta non soltanto per il piacere di far visita al suo amico agronomo-agricoltore (il Signor Carlo, specifico, era un vero esperto di piante, con tanto di laurea in agraria!), ma anche per il paesaggio che si perdeva.
Le sue coltivazioni, infatti, erano in un punto della riva del Trasimeno davvero incantevole. Passeggiando tra le piante di fragole (il Signor Carlo era universalmente famoso per la sua grande produzione di fragole), si poteva godere della vista sul lago, gustandosi a pieno i colori del tramonto. Non solo: sullo sfondo non mancava di comparire anche la brughiera paludosa, al cui centro sorgeva la curiosa dimora del Signor Sauro, l’amico e cugino del Babbo Antonello. E tale brughiera paludosa era un luogo squisitamente pittoresco, che qualcuno definiva anche incantato. Era di un verde pisello brillantissimo, continuamente animato dal volo degli uccelli lacustri di ogni razza e varietà. Sembrava quasi un terreno adatto a esibizioni aerostatiche di mongolfiere e dirigibili. Se avessero mai organizzato una fiera in cui far volare quei palloni pieni di aria calda, certamente l’avrebbero fatta laggiù…
Quando la Risolartista ebbe ammirato a sufficienza il paesaggio che gli orti offrivano quel giorno, si inoltrò nel verde alla ricerca del Signor Carlo.
E, finalmente, lo trovò.
Eccolo là, il suo amico agronomo-agricoltore, tutto intento a piantare giovani virgulti di broccoli e cavolfiori. Essendo ormai fine agosto, erano quelle le nuove varietà da “mettere a dimora”, così da poterle raccogliere in inverno.
In realtà, non si stava occupando solo di quelle. Poco distanti, si vedevano anche file e file di piantine di fragole, che attendevano di essere sistemate a dovere. Evidentemente, gli ultimi giorni d’estate erano anche il momento adatto per trovare una casa a quei mucchi di foglioline frastagliate, che in primavera sarebbero stati carichi di corpuscoli rossi dal sapore dolcissimo. La Risolartista si ricordava molto bene le squisite fragole del Signor Carlo; ogni risolatte mattutino dell’aprile appena trascorso, infatti, era stato dipinto dal loro colore vermiglio. Non vedeva l’ora di poterle assaggiare di nuovo…
Quel giorno, però, era giunta nell’orto del Signor Carlo per cercare un melone.
E un melone fu ciò che chiese, non appena l’ebbe allegramente salutato.
Melone, dunque, doveva essere. Purtroppo, però, per averlo, avrebbe dovuto aspettare un po’. L’agronomo-agricoltore, non appena ebbe sentito la richiesta, abbandonò le sue piante di cavolfiore, e si diresse verso il campo dei meloni. Essendo fine agosto, di frutti buoni ce n’erano ormai pochi: per trovarne uno che potesse soddisfare il suo palato d’artista, si doveva impegnare. Tuttavia, per la sua piccola amica appassionata di ortaggi, avrebbe tastato anche l’angolo più remoto del campo, alla ricerca del melone migliore! L’unico problema, appunto, era che ci avrebbe messo un po’.
Nel frattempo, la invitò a farsi un giro nel resto dei campi. Avrebbe trovato qualcosa con cui intrattenersi…
La Risolartista non se lo fece ripetere due volte: lasciò il Signor Carlo alla sua caccia al melone, e si diresse altrove.
Pochi passi, e un curioso manifesto la colse di sorpresa: che cosa ci faceva un manifesto tutto colorato appeso nel bel mezzo di un orto?
Avvicinandosi, lesse meglio di cosa si trattava. Era un manifesto che pubblicizzava il “Raduno delle Melonfiere”. Raduno che si sarebbe tenuto proprio la sera successiva, e proprio lì di fronte… lì, dove sorgeva la brughiera paludosa.
Ma che cosa poteva essere mai una “melonfiera”? La Risolartista, come credo anche voi, se lo chiedeva con molta curiosità. Il disegno raffigurato sul cartellone aiutava a trovare una risposta.
Dovete immaginarvi una melonfiera come qualcosa a metà tra una mongolfiera e un melone. La forma era quella del melone, ma la funzione era quella della mongolfiera. Insomma, con una melonfiera si poteva volare, stando a bordo di un cestello a forma di tazza da tè appeso appena sotto.
E non era finita lì.
Per aiutare la melonfiera ad andare nella direzione giusta, non mancava una libellula gigante a trascinarla da davanti. Una trovata brillante, per risolvere il classico problema del vento che voleva sempre decidere dove trascinarla. In questo modo, la scelta della via era affidata al solo guidatore.
A proposito, chi poteva essere quel guidatore, così coraggioso da levarsi in aria sospeso sotto una melonfiera? Il disegno sul manifesto, purtroppo, non dava indizi al riguardo. La melonfiera era raffigurata… vuota! Per scoprire chi fossero i passeggeri di quei curiosi mezzi di trasporto, era necessario prendere parte al raduno.
La lettura del cartellone fu improvvisamente interrotta dall’arrivo del Signor Carlo: aveva trovato un melone!
A guardarlo bene, non era proprio il migliore dei meloni che si potessero desiderare. Era piccolino, e non completamente maturo. Tuttavia, il profumo che si liberava dall’attaccatura era buono, e anche il colore della buccia offriva una squisita varietà di sfumature verdoline. La Risolartista lo avrebbe comunque saputo apprezzare…
In fin dei conti, era il meno peggio che l’agronomo-agricoltore era riuscito a rimediare. Tutti gli esemplari migliori erano inspiegabilmente scomparsi nel giro di pochissimi giorni.
Come le raccontò, un paio di settimane prima il suo orto era pienissimo di meloni di ogni forma e dimensione. Ne aveva così tanti, da non sapere più a chi venderli!
Improvvisamente, poi, una mattina di qualche giorno prima, si era reso conto di aver finito tutti i meloni. Lì per lì, non si era posto grandi domande, pensando che semplicemente fosse riuscito a darli via tutti la sera precedente. Gli era capitato altre volte che, per la stanchezza di fine lavoro, quasi non si accorgesse di quello che stava facendo…
Eppure, quella razzia di meloni era decisamente strana. Inspiegabile… erano troppi per essere stati venduti tutti insieme!
La Risolartista, che aveva appena finito di leggere il manifesto del Raduno delle Melonfiere, cominciò a farsi un’idea della possibile spiegazione. Tuttavia, era presto per trarre le conclusioni.
Quel che le sembrava chiaro, era il fatto che il Signor Carlo non avesse affatto letto il manifesto. Altrimenti si sarebbe accorto della probabile fine dei suoi meloni…
Quel che invece non le sembrava affatto chiaro, era come mai non lo avesse letto. Lavorando tutto il giorno in quell’orto, un’occhiata in quella direzione doveva pur essergli scappata!
Quando era sul punto di mostrarglielo, però, fu costretta a rinunciare al tentativo: proprio mentre finivano di parlare, una folata di vento aveva strappato il foglio, portandolo lontano chissà dove.
Pazienza: la sera successiva, il Signor Carlo avrebbe assistito a un evento a sorpresa.
Fu così che, ventiquattr’ore dopo, la RIsolartista si ripresentò puntuale all’orto del suo amico agronomo-agricoltore, trovandolo nuovamente al lavoro. Più che al lavoro: era così concentrato sulle sue piantine di broccolo che stava interrando, da non essersi accorto di tutto quello che gli stava accadendo accanto.
Non solo non fece caso all’arrivo della ragazzina, ma neppure a quei grandi preparativi che dovevano avere luogo lì già da qualche ora.
Preparativi, che, proprio in quel momento, erano sul finire.
Il grande Raduno delle Melonfiere era pronto per cominciare. Gli animaletti lacustri avevano quasi concluso il montaggio di tutto il necessario.
La rampa di lancio era pronta. Rampa di lancio, che era costituita dal vialetto sterrato che separava l’orto delle fragole da quello dei meloni. Dovete immaginarvi un rettilineo adatto a far decollare una melonfiera (pensate a un aeroplano, se vi viene più semplice), ai cui lati erano state disposte delle bellissime ghirlande di edera e grappoli d’uva. Gli spettatori comparivano attorno, ed erano al momento più interessati alle ghirlande (colme di acini d’uva maturi!), che ad altro. Come biasimarli… l’evento doveva ancora iniziare, e loro stavano solo “ingannando l’attesa” mangiucchiandosi nel mentre qualcosina!
Ancora non ve l’ho detto: chi erano questi spettatori?
Erano gli stessi soggetti che si stavano preparando, qualche metro più in là, a volare in cielo.
Erano topolini delle risaie. Deliziosi topolini delle risaie. Si trattava di quei piccoli roditori caratteristici del Trasimeno, che si nascondevano tra i cespugli delle colline, sempre intenti a sgranocchiare qualche frutto di bosco, o qualche acino d’uva. Come stavano giusto facendo in quell’occasione…
Se i topolini spettatori ingannavano “gustosamente” l’attesa, i topolini piloti di melonfiere, invece, erano pronti al lancio. Gli ultimi aggiustamenti furono fatti, le ultime corde strette per benino, e le libellule accarezzate per l’ultima volta dai rispettivi proprietari.
Il Raduno delle Melonfiere poteva cominciare.
Mentre tutto questo avveniva, la Risolartista guardava, più curiosa che mai. Il Signor Carlo, invece, lavorava tranquillo, ignaro di quanto si stesse perdendo.
Finalmente, la prima melonfiera fu posta al limitare della rampa di lancio, e, dopo una buona rincorsa da parte della libellula trasportatrice, prese il volo in direzione del lago. Ecco che il melone-pallone aerostatico si gonfiò misteriosamente d’aria, riuscendo a sostenere tutta la macchina volante.
Il topolino pilota che aveva avuto l’onore di cominciare l’evento era molto orgoglioso della cosa, e incitava la sua libellula ad andare più veloce, puntando dritto alla brughiera paludosa. Da quel che si poteva intuire dal resto della folla di topolini, doveva essere proprio la brughiera paludosa il terreno sopra cui tutte le melonfiere avrebbero volato. Altrimenti non ci si sarebbe potuto spiegare quel gran numero di animaletti che se ne stavano laggiù nell’erba verde brillante, in attesa che il primo velivolo comparisse sopra le loro testoline.
Dopo la prima melonfiera, si alzò la seconda, poi la terza e così via. Erano tantissime: almeno una cinquantina. Ognuna di esse, ovviamente, aveva il suo melone-pallone aerostatico a tenerla in aria. Il che, tirando le somme, spiegava la probabile fine che avevano fatto i misteriosi meloni del Signor Carlo.
A proposito del Signor Carlo… era arrivato il momento di interrompere il suo lavoro, invitandolo a unirsi ad ammirare uno spettacolo così insolito. Quando gli sarebbe più capitato di vedere i propri meloni volare per aria, trascinati da una libellula, e guidati da un topolino delle risaie a bordo di una tazzina da tè? Quel Raduno delle Melonfiere era molto più interessante dello stare a piantare i broccoletti…
La RIsolartista, quando si fu decisa ad abbandonare per un attimo la visione dell’evento, corse dall’agronomo-agricoltore, scuotendolo dal suo mondo dei sogni fatto di piante, e facendolo precipitare in un mondo altrettanto di sogni, ma fatto di melonfiere.
La sua reazione, come è facile intuire, fu un composto esplosivo di incredulità e stupore. Descriverla sarebbe riduttivo. Vi basti sapere che si convinse ad alzarsi dall’orto, e a raggiungere l’artista nel mezzo della brughiera paludosa, per poter ammirare lo spettacolo dalla migliore prospettiva.
Eccoli lì, i suoi meloni scomparsi.
Eccoli lì, i suoi meloni più fragranti e variopinti.
Eccoli lì, trasformati in melonfiere a misura di topolino.
Eccoli lì, a galleggiare nel tramonto del Trasimeno, con l’Isola Polvese sullo sfondo, e il verde della brughiera attorno.
Eccoli lì, i suoi meloni. A pensarci bene, avevano fatto la fine più dolce e pittoresca che si potesse immaginare!
Sul finire di agosto, il 27 per la precisione, arrivava anche l’onomastico della Mamma Monica. Il che significava farle prima di tutto gli auguri (impegnandosi a ricordarselo già dal mattino), e poi anche un regalino. Si sa che gli onomastici sono un’occasione ottima per fare …