Tag: arte contemporanea

Al di là della parete. “Mimesis”: i graffiti metafisici di Doze Green

Al di là della parete. “Mimesis”: i graffiti metafisici di Doze Green

Dalla street art a una filosofica riflessione sull’infinito È nato Jeff, si è firmato Doze sui muri delle strade del Bronx, ed è oggi un filosofo contemporaneo. Questa è l’evoluzione, biografica quanto artistica, di Jeff Green: protagonista della scena newyorkese degli anni Ottanta. Cresciuto nei 

I colori della mia terra. Le grandi tele di Sally Gabori ricordano la storia degli Aborigeni australiani

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Una storia di natura, duro allontanamento, e ritorno a casa  Per comprendere il significato delle opere astratte di Sally Gabori, occorre prima fare un viaggio lontano, tanto nel tempo quanto in termini geografici. Occorre risalire circa al 1924, posizionando la propria mente sull’isola Bentinck, nel 

L’effimero scorre davanti alle lacrime della Madonna. “Aperçues” di Nina Carini nella Basilica di San Celso

L’effimero scorre davanti alle lacrime della Madonna. “Aperçues” di Nina Carini nella Basilica di San Celso

Un contesto inaspettato per l’arte contemporanea

Quando si dice che Milano ha mille volti e luoghi nascosti, solitamente sepolti nella frenesia quotidiana, si intende questo. La Basilica di San Celso, quel piccolo edificio anticheggiante sulla destra della chiesa di Santa Maria dei Miracoli (in Corso Italia) è un esempio di tesoro da riscoprire. 

Si tratta di un tempio romanico-lombardo, costruito lì prima dell’Anno Mille, che fu più volte rimaneggiato e ridotto nelle dimensioni, fino a diventare l’attuale piccolo santuario. A questo posto, è legato un miracolo. Il cosiddetto “Miracolo della Madonna delle Lacrime”. La storia religiosa narra che, nel 1485 (anno segnato da una profonda epidemia di peste), un affresco della Madonna situato in loco si mise a lacrimare, allontanando la malattia dalla città. Da quel momento, i Milanesi furono immensamente grati alla Vergine che li aveva sollevati dalla peste, cominciando a venerarne l’immagine. Non vi confondete: l’affresco che oggi è conservato nella basilica non è quello miracoloso; quest’ultimo si trova oggi nella chiesa maggiore a fianco. 

Ed è in questo contesto di miracoli e spiritualità, che trova posto l’arte contemporanea. Non è la prima volta: è ormai qualche anno che, di tanto in tanto, le porte del piccolo santuario si trovano insolitamente spalancate, invitando l’animo dei visitatori a immergersi in un’esperienza coinvolgente.

Gli “scorci” di Nina Carini

Questa primavera, San Celso ospita sei opere dell’artista Nina Carini, molte delle quali “site-specific” ossia ispirate e realizzate in stretto dialogo con questo posto unico. Il titolo, ripreso dal critico e filosofo francese Didi Hubermann, può essere tradotto con “scorci”. Scorci, che esprimono il concetto di ciò che è effimero: di una visione e una conoscenza che si “scorge”, cogliendola nella sua precaria vulnerabilità. Per capire, pensate a un’immagine che vi rimane sugli occhi mentre fissate scorrere la galleria sulla metropolitana. Oppure pensate all’acqua di un torrente che vi scorre tra le dita: afferrarla è cosa di breve durata. 

È con questa idea di effimero, effimero che affascina e che al contempo va protetto per la sua estrema fragilità, che si possono leggere tutte le opere della mostra. Qui un breve sentiero interpretativo per godersi l’esperienza. 

Le opere in mostra

Tutto comincia sul sentiero acciottolato che conduce verso il santuario. Nascoste tra i bassi cespugli, spuntano voci di bambini che parlano lingue incomprensibili. Incomprensibili… o meglio, “poco note”. Sono nomi, luoghi geografici e parole ormai desueti, che sono lì lì per scomparire. Precari. Nondimeno, di valore.

Entrati nella chiesa, l’occhio è subito catturato da un cerchio di vasi di cristallo che contorna una delle colonne. In ciascuno, con precisione meticolosa, compaiono quattro fiori. Veri. E, nella loro veridicità, effimeri, necessitanti di una frequente sostituzione. Per tutta la durata della mostra, esse verranno tutti rinfrescati (cambiati), tranne uno: quest’ultimo segnerà il passaggio inesorabile del tempo. L’opera completa, però, comprende anche nove sfere di alabastro, ciascuno con una lettera che compone il dittico “per sempre”. È la promessa che che il pianeta Venere fece al Sole: di girare per sempre attorno a lui; tuttavia, anche questo girotondo è vulnerabile e finito. Prima o poi, quando il Sole scoppierà, anche Venere lo abbandonerà.

Venere Bugiarda

Il percorso continua con due sottili mani di bronzo che tendono al cielo, posizionate nell’abside, esattamente al posto delle due colonnine “mancanti” della basilica. I loro resti sulla parate sono state proprio la fonte di ispirazione dell’artista. 

Mani come rami che toccano cielo

Ed è sempre all’antico che rimandano quei frammenti di pietruzze che si vedono a terra, accumulate casualmente su dischi di vetro cristallino. Dovrebbero farci pensare ai reperti archeologici, studiati in laboratorio sopra vetrini analoghi. Un inno a fare attenzione a quei resti che rischiano di essere dimenticati nell’oblio. 

Lingue di Cielo

Le ultime due opere sono un intenso dialogo con lo spazio del santuario: non potrebbero essere più inserite nell’ambiente. “Senza Voce”, una scultura di alabastro che materializza il movimento della voce umana, diffonde il suo chiarore luminescente dal profondo di un vecchio confessionale. Le parole del penitente rivivono nel presente. Infine, “Occhi in Lacrime” richiama sottilmente il luogo miracoloso della Basilica di San Celso. Di fronte a un affresco della Madonna (malgrado non sia quello miracoloso), una cascata di gocce piangono dal soffitto. Si tratta di fili di cristalli, ispirati da una colonna della Basilica Cisterna di Istanbul. Cristalli… che diventano lacrime. Lacrime… che scorrono via precarie ed effimere. 

Solo il nostro ricordo potrà preservarne l’esistenza. Questo è vero per i miracoli divini, quanto per quelli piccoli, e quotidiani, umani. 

(In)utili incontri? Un giro ad (Un)fair

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“Come tutte le fiere abbiamo obiettivi che si traducono in target e numeri, ma quello che vogliamo vedere nei prossimi giorni sono galleristi e collezionisti felici.” Emanuela Porcu e Laura Gabellotto Un contro-concetto di fiera dell’arte Con queste parole, le direttrici Emanuela Porcu e Laura 

Cercasi risposte

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“Who is Who-dimensional?” alla Galleria Giò Marconi Who the Baer. Un orsett* in cerca di identità Una delle poche certezze di questo personaggio è la sua genesi artistica. Durante il primo lockdown del 2020, quando tutti ci trovavamo rinchiusi nelle nostre case, l’artista britannico Simon 

Il “bello e buono” dei numeri – “Numerismi” in mostra a Banca Cesare Ponti

Il “bello e buono” dei numeri – “Numerismi” in mostra a Banca Cesare Ponti

Per qualche mese ancora, tutti coloro che temono i numeri fin dalle prime ore di matematica a scuola, hanno un’occasione per riscattarsi. E il posto in cui essere testimoni di questa rivalutazione del mondo numerico è inaspettato quanto una simile premessa.

Si tratta di una banca. Una banca storica di Milano, che, fin dal lontano 1871, ha fornito e continua tutt’oggi a fornire servizi di cambiavalute (e non solo!) a cittadini e stranieri. Il suo nome? Banca Cesare Ponti. L’indirizzo non è difficile: recatevi in piazza del Duomo, e fatevi strada tra la folla (e piccioni) fino all’angolo sinistro del Portico Settentrionale.

Qui, da ormai sei mesi a questa parte, l’arredo ligneo che ricorda i tempi d’oro della Belle Époque è contrastato da colori sgargianti e forme geometricamente intricate. Sono le opere parte della mostra “Numerismi”, che la banca ospita con l’obiettivo di avvicinare l’arido (almeno secondo i luoghi comuni) ambiente finanziario all’arte contemporanea. La firma è quella di Adriano Attus, direttore creativo del Sole24Ore, nonché artista sanremese dalla mente affollata di giochi matematici. Con le sue composizioni diabolicamente studiate con calcoli e spunti riflessivi, è capace di far emergere la bellezza del mondo numerico anche agli occhi di chi, la matematica, proprio non la può soffrire. Per dare almeno un’ultima chance di redenzione a questa materia “ostica” vale la pena dare un’occhiata più da vicino…

La prima sezione della mostra raccoglie i lavori cronologicamente più arretrati (2014-2015) ed è incentrata sulla trasposizione del numero sulle pagine dei giornali. A quei tempi, l’artista, alle prese con l’universo della carta stampata, aveva notato come la sovrabbondanza di cifre e dati numerici non facesse altro che confondere i lettori. Un controsenso che, però, ci capita tutt’oggi di vedere confermato nel nostro quotidiano. Pensate al Covid, e a quanto i numeri ci abbiano annebbiato la mente (per non dire ingannato!), anziché aiutare a capire. Ecco: questo essere spaesati è proprio il sentimento che emerge nelle serie di numeri da 1 a 9 delle tre opere al di là delle scrivanie (notare come banca e arte si intrecciano anche nella disposizione!). Per non parlare, poi, dei “Mandala Interrotti”: una serie di frammenti di serie numeriche disposte a cerchi perfetti. Sta a voi osservatori il ricostruire le figure, fidandovi del fatto che, come si nota dal piccolo solco sulla superficie, i numeri siano davvero stati disposti in un cerchio fatto a compasso! L’intento di Attus è quello di far esperire l’atto di “ricostruzione del contesto” che si è soliti fare con le notizie della stampa. Dalle varie fonti si ottengono dei pezzi, ma sta al lettore il rimetterli insieme per ottenere un’immagine d’insieme. Così come si ha generalmente fiducia nei giornalisti che scrivono gli articoli di cronaca, così si deve avere anche nell’artista… che ha usato addirittura il compasso per fare i suoi cerchi. Qualche dubbio rimane… chi ci assicura che le parole dei quotidiani siano sempre la verità?!

Entrando all’interno (o uscendo) della banca, ricordatevi di fare attenzione e alle vetrine. Queste, infatti, ospitano tre opere della collezione dedicata alle figure geometriche (2016-2017), le “Neometrie”. In esse, il numero si fa matrice di giochi di forme e colori, composti da tante tessere ricombinabili a piacimento dell’artista. In “Checks”, ognuno degli 81 quadrati è suddivisa in quattro pezzi assemblati in modi diversi; in “Labirint” i quadrati policromi creano un pattern che ricorda i soffitti delle moschee. Infine, c’è “Lens” (riprodotta in plexiglass anche all’interno) con triangoli di tre dimensioni e tre tinte, che possono essere spostati in modo sempre nuovo, con un quantitativo totale di combinazioni che è una cifra con 120 zeri… quasi infinito, insomma.

Spostandosi all’interno, l’occhio non si farà sfuggire “Circles”, l’ultima Neometria fissa, costruita con 64 quarti di cerchio. Lungo le diagonali, il colore è uniforme, malgrado ci si illuda del contrario mentre si è intenti a non perdersi tra una curva e l’altra…

È il momento del pezzo forte della mostra; quello che inaugura il terzo ciclo produttivo di Attus, fresco fresco di esperienza pandemica. 

… sentite un certo suono armonico e melodioso? È proprio lui, “Planet”. La stessa opera che accoglie in vetrina accanto alla porta d’ingresso è digitalizzata in un angolo del salone, rivelando la sua doppia natura di dipinto ed NFT. L’artista, infatti, dopo averla creata con il pennello (ogni puntino è tracciato dalla sua mano inverosimilmente precisa), ha deciso di trasferirla nell’universo digitale, suddividendola in tanti singoli NFT acquistabili come cripto-opere d’arte.

In questo complesso di forme rotanti dai mille colori si può pienamente apprezzare il messaggio che un po’ tutta l’arte di Adriano Attus cerca di evocare: la bellezza di ciò che è numero. Tanto più, visto che l’opera è stata realizzata in piena pandemia, quando il nostro rapporto con i numeri era diventato particolarmente conflittuale e negativo. La matematica, al contrario dell’opinione comune, può essere variopinta e splendidamente affascinante… basta guardarla dal punto giusto. Qui, le figure ideate secondo una logica complessissima (e matematicamente perfetta) vi faranno davvero apprezzare il suo lato “creativo”. 

Come intuire (anche solo da lontano) il pensiero costruttivo che vi è dietro? Tutto parte dal punto, quale più semplice e puro tra i protagonisti del piano cartesiano. Poi, se unite due punti, otterrete un segmento (se lo cercate, c’è anche lui!). E con questo segmento potrete mettere insieme ognuna di queste forme poligonali, che rappresentano ciascuna un numero da 1 a…100!

Prima di incantarvi in trance davanti ai moti rotanti di “Planet”, dedicate l’ultimo momento di lucidità all’installazione conclusiva della mostra: quel totem che troneggia al centro del salone. Con un po’ di fantasia, riconoscerete su ogni tessera una delle cifre che compongono il numero “150”… come le candeline che Banca Ponti ha da poco soffiato sulla sua torta di compleanno. Dal 1871, il suo banco di cambio offre i suoi servigi ai milanesi (e non solo); quest’opera vuole celebrarne l’evento, quanto lo spirito unico che la guida. Quando si sente parlare di “banca di famiglia”, intesa come una banca che è attenta al cliente, e cerca di creare un’atmosfera familiare pur negli automatici servizi finanziari, potete citarla come esempio. E i tre numeri del totem rappresentano bene il concetto: l’uno è il cliente, lo zero è la banca, e il cinque (che fonde le forme degli altri due) è l’incontro che avviene quotidianamente allo sportello di quell’ormai plurisecolare bancone di mogano intarsiato. 

A Banca Ponti, anche i numeri hanno una certa bellezza.

Il paradiso metafisico dei colli assisani

Il paradiso metafisico dei colli assisani

Tutte le sfumature dell’ocra e dell’arancio in estate, il bruno verdastro dell’autunno, e la candida neve color latte dei grandi freddi. Poi, si ricomincia con una primavera di colli verde brillante, macchiati di papaveri e denti di leone. Non c’è nero a spegnere la gioia,