La prima mozzarella non si scorda mai. E la prima ricotta al forno, nemmeno. E neanche la prima scamorza… soprattutto se è una scamorza mai vista, con il cuore ancora liquido di latte. Come fosse appena fatta. Effettivamente, al Centro della Mozzarella, ogni cosa si …
Tranquilli… non mordo! Sono una faina, certo, ma non rispetto esattamente le vostre solite credenze su quelli come me. Toglietevi subito dalla mente l’idea di una faina che si diverte a spaventare le galline mentre dormono tranquille nel pollaio (per non dire di peggio…). Dimenticatevi …
Il nome di questo vitigno tipico dell’Umbria sembra subito richiamare la Grecia… chissà perché! Eppure, tra i colli perugini è anche conosciuto con certi curiosi nomignoli,, come “Strozzavolpe”, in ricordo di una storiella bucolica locale. Si racconta, infatti, di una volpe furba e golosa di uva Grechetto, che riusciva sempre a scampare ai cacciatori. Ci pensò un principe a coglierla in fallo, tendendole un agguato notturno in cui rimase “strozzata”. Da qui il nome del vitigno in questione.
Tornando all’etimologia che guarda al Mar Egeo, questa potrebbe essere davvero memoria di un’antichissima importazione dalla Grecia di quest’uva. Occorre risalire ai tempi in cui Orvieto (allora città etrusca chiamata Velzna) era un fiorente polo commerciale e artistico umbro, dove sorgeva il Santuario delle dodici città etrusche federate. Ogni anno, presso questo luogo si teneva una festa religiosa, che richiamava avventori da ogni dove, attirati dai mercati e dalle fiere organizzati per l’occasione. È assai probabile che, tra i mercanti desiderosi di fare affari, qualcuno portasse anche prodotti agricoli, vino e… tralci di vite. Tralci che attecchirono ottimamente sul suolo locale, trovando una nuova dimora favorevole, e dando origine alla coltivazione del Grechetto anche in Italia.
A ulteriore riprova della parentela stretta tra il nostro Grechetto e il vino greco, possiamo dire che entrambi sono caratterizzati da un’elevata dolcezza zuccherina. Gli Antichi Greci, infatti, erano soliti bere un vino molto dolce: il Nettare degli Dei (chiamato anche Ambrosia), che le fonti ci descrivono come qualcosa di assai simile al miele. Di più: il termine “Ambrosia” contiene la radice semitica “mbr”, che richiama l’ambra… esattamente il colore del vino passito, tutt’ora fatto con l’uva in questione.
Oggi, dunque, uva “greca” (con le varianti del caso) è sinonimo di gusto molto zuccherino, predisposizione per l’appassimento (anche se il Grechetto è più propenso al diventare secco) e buccia piuttosto spessa.
Partendo proprio dalla buccia degli acini di Grechetto, la descriviamo di colore giallo-verdognolo, e molto pruinosa. La si raccoglie a partire da metà settembre, in un’area geografica che ha il suo cuore pulsante nell’Umbria, per poi estendersi attorno in Toscana e Marche.
Il vino trattiene in sé le tinte paglierine e intense dei frutti, che accompagnano il bouquet di profumi tipicamente mediterranei. Si sentono note di pesca, e frutta estiva, con accordi di zenzero e miele d’acacia. Tutti sorsi assai zuccherini, di tanto in tanto interrotti da fiori di biancospino e mandorle dolci. Ne deriva un’Ambrosia calda, piena e fruttata, che ben si abbina alla cucina del Mare Nostrum, come alla cacciagione orvietana.
… calore destinato a lasciare un amabile finale pungente in gola: tutta colpa dell’eccesso di nettare zuccherino.
Abbinamenti
Zuppa di pesce e pesce bianco di lago
Con la sua anima dolce e fruttata non può che accompagnare le carni lacustri e delicate del pesce di lago: si valorizzano l’un l’altro.
Coniglio all’orvietana
Una versione più sapida e dell’accesa mineralità si abbina bene al coniglio e al suo aroma selvatico.
Formaggi morbidi ed erborinati
Dolce si sposa con dolce: vino zuccherino e latte cagliato, dalla consistenza cremosa e stagionata. Il fresco ripulisce la bocca dopo ogni boccone, lasciando il finale al sapore di frutta.
Etichette degustate dalla Risolartista
Arnaldo Caprai 2019 – Grecante Colli Martani DOC
Il Colore
Giallo pallido, con una punta di verde. Pensate alla scorza di limone, non ancora completamente matura: qui si declina in una versione trasparente e cristallina.
Il Profumo
La pesca noce gialla è la prima a emergere da quel liquido che pare un po’ tinto del suo succo. Poco dopo, il primato aromatico è conteso con il kiwi e il maracuja, che completano la macedonia esotica. Qualche nota floreale, ricca di polline odoroso, campeggia di tanto in tanto, accompagnando il sentore finale di zenzero piccante.
Il Gusto
Da buon parente stretto dell’Ambrosia divina, questo vino si caratterizza per una dolcezza intensa e fruttata, che permane lungo tutto il sorso. Finché il sapore è trattenuto in bocca, la pesca gialla, unita ad albicocche asprigne, domina il gusto. Poi, quando il tutto scivola in gola, il ricordo è pungente e piccantino quanto lo zenzero grattugiato di fresco. Ne deriva un ensemble di dolcezza estrema, piacevolmente energizzata dal tocco aspro e quasi bruciante del tubero esotico in questione.
Finalmente, Toppolo bussò alla porta. Era giunta l’ora tanto attesa di andare alla ricerca degli asparagi di bosco. La Risolartista si era vista promettere quella passeggiata almeno un paio di settimane prima; poi, però, i troppi impegni del leprotto avevano rinviato più volte l’appuntamento. … …
Toc. … Toc toc. Qualcosa aveva improvvisamente rimbalzato sulla testolina piumata della Gallina Deruta. Cosa poteva essere stato? Certo, niente di extraterrestre: non vi erano simili stranezze nel suo bel giardinetto sicuro e accogliente. Sappiate subito che si trattava di una ciliegia; e di una …
Vino gioioso, allegro, morbidamente fruttato. Un compagno di viaggio per la ghiotta cucina emiliana, capace di rinfrescare anche il ragù più ricco e saporito. Spumoso nel momento in cui si adagia nel calice, corposo e rotondo fino alla fine. Un inno all’estate godereccia e contadina della campagna padana, insomma.
Il Lambrusco di oggi conta ben otto varietà, almeno dieci denominazioni e un area geografica di vigneti che va dall’Emilia al limitare della Lombardia. C’è ampio spazio di scelta tra varianti diverse l’una dall’altra. Modena e Reggio sono i luoghi principali di produzione, ma i vitigni che hanno il nome di “Lambrusco” sono tredici. Curioso è il vero e proprio “miscuglio” di varietà presenti in questi, dovuto a una passata contaminazione tra uve diverse, che usava farsi per favorire la collaborazione nella vinificazione. Un po’ di una, un po’ dell’altra: si combinavano e si completavano l’una con l’altra. In breve: vigneti misti.
La fermentazione del Lambrusco è particolare, a causa della mancanza di azoto dei terreni di coltivazione, che non fa trasformare completamente gli zuccheri in alcol. In questo modo, il processo termina nella bottiglia, conservando la caratteristica “spuma” dalla fragranza fruttata, che spunterà al contatto col bicchiere.
L’invecchiamento è di circa due anni, fino a un massimo di sette. Si beve frizzante, a non meno di 10°: con le temperature elevate, i toni intensi e gli aromi dolci e morbidi si esibiscono a dovere. Il sapore è secco, ma con quel ricordo di frutta campestre che riemerge nella spuma.
Abbinamenti
Ragù di carne
Si associa a quegli elementi che rendono il ragù speciale, valorizzando gli aromi, e rinfrescando gli eccessi di grassezza. Merito della sua caratteristica effervescenza rotonda.
Torte di verdure, come l’erbazzone emiliano
Le versioni leggiadre del Lambrusco si sposano con la delicata mineralità di spinaci ed erbette fresche di campo.
Piatti vegetariani, con erbe e legumi
Il ricordo di terra e di campagna permette di valorizzare le componenti vegetali, soprattutto i legumi corposi e le foglie ricche di minerali.
Etichette degustate dalla Risolartista
Folicello 2020 – L’Amabile Lambrusco
Il colore
Ciliegie mature, di metà giugno: i “duroni” succosi, con sfumature dal porpora al violaceo. Liquido trasparente, ma non troppo: spremete una ciliegia e ne avrete un’idea.
Il profumo
Subito si sentono le fragole, mature, ma con una nota aspra e pungente. Poi, sopraggiunge l’arancia tardiva, quella rossa sanguinella, di fine stagione: anche lei acidula di buon grado. La macedonia continua con la ciliegia profonda e intensa, seppur smorzata dal resto. Una punta di melagrana emerge in fondo, assieme a un che di violetta e, forse, un ricordo di scarpe di cuoio.
Il gusto
La ciliegia domina gli aromi, confermando il colore purpureo. Note terrose e mediamente tanniche contornano il fruttato, alternandosi al succo di arancia tarocco, particolarmente matura e pungente. Amabile, ma grintoso, come quei frutti portati al culmine della maturazione, che già sono pronti a degradare verso l’eccesso…
Non era quella la prima volta in cui la Risolartista si aggirava per i sentieri del Toppo: il posto le era abbastanza familiare. Tuttavia, non aveva mai fatto troppa attenzione a quel grande prato che costeggiava la salita principale. Colpa della fretta? Forse. Oppure, semplicemente, …