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La Faina Vinaccia

Tranquilli… non mordo! Sono una faina, certo, ma non rispetto esattamente le vostre solite credenze su quelli come me. Toglietevi subito dalla mente l’idea di una faina che si diverte a spaventare le galline mentre dormono tranquille nel pollaio (per non dire di peggio…). Dimenticatevi anche di tutti i pregiudizi sulla mia specie, che viene spesso associata a comportamenti ingannevoli e poco carini. 

Spero di avervi “purificato la mente”, oltre che avervi un po’ tranquillizzato. Ora posso presentarmi come si deve. Mi chiamo Vinaccia, e sono una faina gentile (e molto carina). Il mio difetto? Ve lo dico subito, così siamo a posto anche con quello. Mi piace il vino. Molto. Troppo. 

… ma non sono un’ubriacona (non sia mai!). Mi piace il vino nel vero spirito della parola: dal grappolo d’uva, al calice servito in tavola. Il momento della “degustazione” (e non della “bevuta”, chiaro?!) è solo uno degli attimi sublimi che caratterizzano questa pregiata bevanda. Ve lo dice una faina che, di professione, imbottiglia vino DOC del Trasimeno. Ma procediamo con ordine; non vorrei avervi già inebriato troppo con le mie parole, così da non farvi capire più nulla…

Comincio con il dirvi dove abito; il che, già da solo, la dice lunga sul vino. Per trovare la mia tana, dovete spingervi su fino a Montalcino, superare il ristorante (che resti tra noi, ma vi consiglio di farci una puntatina per pranzo!), e prendere il sentiero sulla destra. Non lasciatevi intimorire dal suo aspetto selvaggio e misterioso: è chiamato il “Sentiero delle Fiabe” con un buon motivo. Avrete letto la Favola della Bella Addormentata… no?! Ecco. Immaginatevi il bosco in cui la principessa se ne stava nascosta. Sinistro e poco amichevole in apparenza, ma dal cuore incantevole. Così mi viene da descrivere il territorio attorno alla mia dimora. Prima vedrete rovi spinosi, rami selvaggi che sembrano volervi solo sbarrare la strada; poi, però, il tutto passerà, lasciando il posto a qualcosa di molto diverso. Vi anticipo qualche dettaglio (se siete curiosi, dovete solo venire a farmi visita!): cespugli fioriti e profumati, che si alternano a roveti di frutti succosi. E ancora, macchie variopinte, attorno a cui ronzano api operose e farfalline allegre. Senza dimenticare le piccole radure incantate, in cui mancano solo un tavolino e qualche seggiola, per prendere il tè delle cinque. Insomma, fatevi coraggio, e sarete ricompensati.

Proprio lì, scavata nella terra di una piccola collinetta, sorge la mia casetta. La riconoscerete facilmente: è quasi totalmente ricoperta da uno splendido garbuglio di rovi. 

… rovi di rose selvatiche, more e lamponi! Molto diversi dai soliti “rovi” a cui a voi umani verrebbe da pensare. Sono cespugli profumati in primavera, e carichi di bacche gustose per tutta la stagione estiva. Solo in inverno si spogliano delle loro vesti… ma non è un grande problema. L’inverno, in fin dei conti, è fatto per dormirsela in letargo, e non per andare a passeggio e farsi spaventare dai rametti secchi! 

Tutti quei rovi, tra l’altro, hanno anche una funzione particolare. Servono ad aromatizzare il terreno e l’atmosfera di ciò che si trova sotto la superficie del suolo. Intanto, sono molto utili a profumare la mia casa: così, non ho bisogno di comperare nessun intruglio chimico, se voglio avere un buon odorino nella mia stanza. E, poi, sono fondamentali per il mio vino. Ve l’eravate dimenticata, dico, la mia passione per il vino? Spero di no. Proprio le rose e i frutti di bosco in questione contribuiscono a dare al vino che invecchia nelle botti (depositate nella cantina della mia tana) un sapore unico. È merito loro, se, nell’assaggiarlo, la gente dice di percepire “sentori di frutta e di petali floreali”. Ora capite come anche i rovi possano rivelarsi simpatici e utili (come spero abbiate capito possa esserlo anche una faina!).

È giunto il momento di parlarvi del mio mestiere di vignaiola. Il nome Vinaccia mi calza a pennello: sono una faina vignaiola.

Come prima cosa, faccio da guardiana delle vigne di Montalcino. Non so se vi sia mai capitato di giungere fin quassù, ma, se ci siete stati, avrete notato la distesa di tralci di vite sulla sinistra. Tutta la cima della collina, a fianco del ristorante (in cui vi ricordo ancora di fermarvi, visto che servono anche il mio vino…) è ricoperta dalle mie adorate piante. Si tratta di uva Sangiovese e Ciliegiolo: due varietà caratteristiche della zona con cui produrre il vino rosso DOC del Trasimeno. Come vi avevo anticipato, infatti, qui imbottiglio solo vino di altissima qualità, che si merita simili riconoscimenti internazionali. Se non siete grandi esperti (e soprattutto se siete anche astemi!), fidatevi. Se, invece, siete intenditori, allora vi consiglio di cercare una bottiglia che abbia il nome del Lago Trasimeno ben in vista, e di assaggiare, giudicando da voi.

Da brava vignaiola, sono esperta di uva… dalla coltivazione, all’imbottigliamento. Mi occupo io stessa della potatura delle piantine, cosicché ogni anno la resa sia perfetta. Non è affatto facile individuare i tralci giusti da tagliuzzare.

Poi, sorveglio la pigiatura, che qui nel bosco si fa ancora con il metodo tradizionale del “salto nella tinozza”, e tutte la altre fasi successive. Infine, metto il vino giovane a invecchiare nelle mie botti di legno (fatte con gli ulivi della zona, che danno un gusto ancora più speciale), e me ne prendo cura fino alla fine. Dove? Nella cantina costruita sotto la mia tana, in cui penetrano tutti gli aromi dei rovi di cui vi ho appena parlato. 

Immagino che ora sarete curiosi di “degustare” un bicchierino del mio vinello rosso squisito. Spero proprio di avervi convinto! Per stuzzicarvi il palato ancora di più, concludo  dicendovi che, quest’anno, il mio vino di Ciliegiolo ha un dolcissimo retrogusto di ciliegia, frutti rossi e petali di rosa… un vero nettare di bosco!

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