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Al cospetto della Pietà Rondanini

Dal maggio 2015, anno ricordato dai milanesi come quello della grande Esposizione Universale dedicata al mangiare, nel Castello Sforzesco c’è un undicesimo museo ad aggiungersi al restante ricco repertorio. 

Si tratta del Museo della Pietà Rondanini, finalmente esposta dignitosamente in tutto il suo fascino di non-finito. 

Ci sono voluti anni (quasi sessanta), prima che il visitatore medio (milanese o straniero che sia) potesse ammirarla interamente: tanto davanti, quanto dietro. 

… Che bisogno c’era? Che necessità impellente di cambiamento poteva essere ritrovata nel precedente allestimento? Era davvero così inadatto? Inadatto, no; no, di certo. Ma limitante sì. E avere limiti nel fare conoscenza con l’ultima opera scalfita dallo scalpello di Michelangelo è qualcosa che può molto inficiare sulla nostra comprensione…

È inutile dire che la Pietà Rondanini sia un’opera non facile da capire e da apprezzare. Se la si guarda superficialmente, si rischia di seguire il consiglio che Virgilio diede a Dante davanti agli Ignavi peccatori, ossia di non curarci della scultura, ma guardare e passare oltre. Ci sono così tante altre cose da vedere nel Castello, che potremmo ritenere sufficiente uno sguardo veloce, risparmiando tempo prezioso per altro. Eppure, non ci sarebbe  perdita di valore più grande in cui incorrere. La sosta davanti alla Pietà si merita tutta la nostra attenzione. 

Fino al 2015, peccare di superficialità sarebbe stato ammesso: l’opera era esposta in una nicchia, all’interno della sala degli Scarlioni, assieme a molte altre compagne più imponenti e, sopratutto, finite. Leggendo il nome di Michelangelo, i visitatori non particolarmente eruditi, né curiosi, offrivano una rapida occhiata a quell’ambiguo blocco di marmo, e niente di più. Chissà che non si domandassero persino se fosse davvero stato il grande Michelangelo ad abbozzare quella scultura…

In aggiunta, la nicchia impediva di vedere il retro del complesso, limitando decisamente la già poca attenzione che il pubblico era solito concedergli. 

La Pietà michelangiolesca, dopo tutto, aveva avuto una storia travagliata, complessa e misteriosa, al contempo. Nulla che aiutasse a regalarle visibilità e comprensione presso i Milanesi, impegnati in ben altre occupazioni. Potremmo dire che faceva fatica a raccontarsi da sé: aveva bisogno di un ambiente che le facesse onore, e le permettesse di far sentire la sua voce. Con una spintarella, sarebbe certo riuscita ad affascinare visitatori provenienti da ogni dove; in quanto a biografia, non aveva simili di cui fossero già state narrate le gesta.

Prima di collocarci con il pensiero dinnanzi alla Pietà nel suo rinnovato allestimento, è proprio alla sua storia che è bene guardare. Quel poco che se ne sa, infatti, dà un gusto speciale alla materia marmorea. 

Siamo negli anni ’50 del Cinquecento, quando Michelangelo prese in mano (chissà come mai… forse per passatempo, o per farne un monumento per il suo sepolcro) un primo blocco di marmo apuano. A giudicare da quella che è oggi la Pietà Bandini (attenzione: non la Rondanini!), non doveva trattarsi del miglior blocco marmoreo per derivarne una scultura. Infatti, la pietra era così dura, da creare notevoli impedimenti anche per lo scalpello esperto (sebbene anziano) di Michelangelo. Lo era a tal punto, da spingerlo, in uno scoppio d’ira, a fare a pezzi l’opera inconclusa. Pezzi che, successivamente, furono “raccolti” dal banchiere fiorentino Francesco Bandini, il quale incaricò un allievo dell’artista di rimettere insieme le parti e terminare il gruppo. Da qui capirete che l’odierna Pietà Bandini non è completamente michelangiolesca… a voi le conclusioni sui pregi e sui difetti.

A questo punto, giunge il momento di passare alla Pietà in discussione, ossia alla Rondanini. Anch’essa ebbe la sua primissima genesi nello stesso decennio del 1500, e fu scolpita in un secondo blocco di marmo ancora una volta apuano (ecco il legame con la sorella). L’anziano maestro, ormai ottantenne, doveva aver voluto fare un secondo tentativo…

Né dell’intento, né della storia di quest’opera, si hanno molti dettagli, come già annunciato. Ci sono alcuni disegni, che testimoniano come, tra gli anni cinquanta e sessanta, fino alla morte (1564), Michelangelo abbia cambiato idea sulla composizione, mutando il progetto originale in un’insolita posizione che vedeva la Madonna in piedi, intenta a reggere un Cristo altrettanto eretto. Rispetto alle massicce figure con cui aveva iniziato (se ne può vedere un rimasuglio nel braccio isolato a sinistra della scultura), le ultime risultanti divennero molto più sottili… quasi flessibili come fuscelli vegetali. I motivi del cambio sono ignoti. Sappiamo che l’artista vi lavorò persino negli ultimi giorni di vita, e che questa inconclusa Pietà fu inventariata nel suo studio, all’indomani delle esequie. Nel 1561, quando ancora era in lavorazione, egli la intestò al suo servitore; il perché è mistero. 

Per molto tempo, poi, non se ne seppe più nulla… finché non riemerse in casa del marchese Giuseppe Rondinini (morto nel 1801), come le letterine incise sulla scultura rimarcano. Dopo essere rimasta nel suo palazzo per anni, esposta come scultura da giardino, la Pietà è stata acquistata dal Comune di Milano nel 1956, evitando di cadere in mani straniere. 

Fine della storia; questo vi basti per guardarla d’ora in poi con un occhio diverso…

Avvolta nel mistero della sua genesi e metamorfosi mai portata a termine, la Pietà Rondanini dovrebbe lasciare senza parole qualsivoglia visitatore. Finalmente, nella sua nuova dimora dell’ex Ospedale Spagnolo, completamente ristrutturato per ospitarla, è possibile apprezzare nella sua completezza il suo fascino unico. Pensate a dove si trova oggi: in un luogo che ricoverò gli ammalati di peste durante la famosa epidemia di San Carlo. Non ci potrebbe essere luogo più sensibilmente vicino al significato di sofferenza e compassione che il soggetto vuole esprimere. 

Il pregio maggiore, però, è l’entrare al suo cospetto cogliendola di spalle, mentre la Madonna ci rivolge quel suo mantello solo abbozzato, che cela in sé l’idea mai completamente espressa dell’anziano Michelangelo. Girando attorno alla scultura, si può davvero cogliere l’unicità della mente del maestro, capace di estrarre la vita da un freddo blocco di marmo. È solo nella Pietà Rondanini che si riflettono i suoi ultimi pensieri di artista tormentato, che, a dir suo, aveva fallito nell’ottenere l’assoluta perfezione. Ma è anche in essa che, a dispetto delle sue insoddisfazioni, emerge il genio di chi, fin dal primo abbozzo scalpellato, già vedeva tutta l’opera conclusa. 

2 risposte a “Al cospetto della Pietà Rondanini”

  1. Avatar Anto
    Anto

    Descrizione acuta, da cui traspare vera passione e sensibilità artistica oltre ad una profonda conoscenza del tema.

  2. Avatar Sergio
    Sergio

    Bella descrizione è piena di significati. Brava

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