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Avvento, Natale e Presentazione al Tempio al di sotto della Pala degli Oddi

Milano, 26 dicembre 2022

C’è una storia, un racconto, forse una fiaba, che non passa mai di moda. Ricorre sempre nelle pagine dei libri: libri di qualsivoglia genere o tematica. Un fondo di questa storia, quando si parla di noi, uomini che abitano la terra senza sapere da quanto, per quanto e perché, non manca mai. 

È la storia che sta alla base del Mistero della vita che ci accomuna e ci tormenta, giorno dopo giorno. C’è chi la chiama nascita di Gesù, chi la riconduce sotto le spoglie del fiorire di qualche altra divinità. Non importa: alla base di ogni elucubrazione che le menti hanno sfornato nel corso dei secoli c’è il medesimo interrogativo. Le spiegazioni possono differire, ma la radice rimane la stessa. 

Senza il Mistero che ci tormenta, non avremmo qui, oggi, una simile ricchezza di narrazioni che popolano la nostra esistenza quotidiana. A seconda del luogo e del tempo, ognuno produce la sua versione. Di “religioni”, ce ne sono tantissime. Di “filosofie”, altrettante. Di esempi di vita di chi dice di non credere in nulla (ma in realtà sa benissimo come dirottare i propri passi), se ne sentono a iosa. Ciascuno, nel proprio piccolo, se ci si fa attenzione, produce una sua propria “versione” delle prediche e delle credenze a cui fa più fede. 

Quando arriva il momento del Natale, di quell’ultimo mese in cui la climax della storia dovrebbe avvenire, ecco che si vedono ovunque chiare manifestazioni dei nostri modi di narrare il Mistero. Ghirlande, alberi, pacchetti e presepi; e questi per citare solamente le tradizioni occidentali. Dovessimo esplorare ciò che accade in tutto il mondo, non finiremmo più…

E, tra le tante rappresentazioni, della storia, l’arte (in ogni sua forma) fa da locomotiva alla lunghissima fila di vagoni. Anche qui, se ci si riflette, si vede come, senza il Mistero, non ci sarebbe gran parte della storia dell’arte che arricchisce le chiese e le collezioni dei musei di tutto il mondo. La fonte di ispirazione di questo “ignoto” è inarrestabile: ciascun uomo è chiamato a interrogarsi su di esso, producendo inevitabilmente un qualcosa di creativo. Come sempre accade in ogni attività manuale e intellettuale (l’arte è entrambe le cose!), c’è chi è molto bravo, e chi un po’ meno. 

Raffaello, in quanto a bravura, ai suoi tempi non aveva eguali.

Partiti da una piccola scossa a fare attenzione al Mistero alla base del Natale, posizionatevi, ora (con la mente e un’immagine alla mano), di fronte alla Predella della Pala degli Oddi. Capolavoro (poco conosciuto) dell’appena citato pittore originario di Urbino. 

C’è chi, ora, si chiederà perché. Perché proprio davanti a lei, e perché ci tocchi scegliere, tra le tante rappresentazioni della nascita di Gesù, una semplice “predella”, al posto di qualcosa di più trionfale.

Primo motivo: perché nell’attuale (presto passato) Natale tale opera è esposta in bella mostra, e fresca di restauro, al Museo Diocesano di Milano. Dunque, da buoni Milanesi (veraci o adottivi), non la si può non andare a vedere…

Secondo: perché le predelle sanno essere ricche e interessanti al pari delle tele maggiori a cui fanno da umile contorno. A proposito, se qualcuno avesse estraneo il termine, sappia d’ora in poi che si riferisce a quelle scene secondarie, dipinte nella parte inferiore delle pale d’altare rinascimentali. Le “scenette di contorno”, insomma. Quelle che, di solito, pochi guardano; ma, i pochi che guardano, molto le apprezzano.

Ed è questo il caso, posto che si sappia vedere ciò che si sta vedendo. Intanto, si tratta di un dipinto di Raffaello, che gli esperti datano attorno al 1504, realizzato in origine per la Cappella della famiglia Oddi (potente casato perugino) nella Chiesa del capoluogo umbro di San Francesco al Prato. La storia della Pala degli Oddi (predella compresa) è piuttosto travagliata: nel 1797, le truppe di Napoleone la confiscarono, portandola in patria, dove fu esposta nel (prossimo a divenire) museo del Louvre. Poi, grazie allo scultore, in veste di diplomatico, Antonio Canova, nel 1816 fu riportata in Italia, e poi entrò a far parte delle collezioni papali. Morale della favola: la povera Perugia fu privata del suo capolavoro, oggi ammirabile (predella compresa) nella Pinacoteca Vaticana. Giusto o sbagliato che sia (ci sono opinioni divergenti che si divertono a punzecchiarsi su dove debbano stare le opere d’arte…), così andò la storia. Tuttavia, a interessarci, qui, è un’altra storia

Parlando ancora un attimo dei meriti stilistici (impossibile non elogiare almeno un pochetto l’esimio divin Pittore), si tratta di una delle opere di Raffaello che più si definiscono peruginesche, nel loro rifarsi molto al (forse) maestro Pietro Perugino. In effetti, quando fu realizzata, l’autore era a Perugia; per forza di cose, un occhio alle pale del collega doveva averlo buttato… la città ne era piena!

Tuttavia, come la storia dell’arte non dimentica mai di sottolineare (c’è una curiosa damnatio memoriae avvinghiata al povero Perugino…), Raffaello non si fermò a imitare il modello, ma lo sublimò, lo superò per bravura di tecnica, di colori, di prospettiva e di naturalezza. Insomma: apprese i fondamenti della casa, e li utilizzò per costruire un castello. Questo è vero e ben visibile in opere celebri come lo “Sposalizio della Vergine” (la cui versione raffaellita è oggi a Brera), ma anche qui, in questa secondaria predella. 

Molti la definiscono ispirata fedelmente alla predella che il perugino dipinse poco prima per la Pala di Fano. Le somiglianze ci sono, ma altrettante sono le differenze e i miglioramenti. Nelle tele di Raffaello si percepisce una nuova concezione di spazio: è uno spazio unitario, innovativo, in cui le geometrie delle architetture giocano con la profondità, creando un effetto incredibile. Si vedono le invenzioni prospettiche di Piero della Francesca (il maestro della prospettiva ai tempi!); si notano volti e pose molto più realistiche, dolci e varie. Insomma: leggendo la storia narrata dal pittore di Urbino, la vicenda sembra molto più ricca e interessante… è il momento di andare a scoprirla. 

Cominciamo con la prima scena: l’Annunciazione. Al posto di descriverla in modo canonico (che l’Arcangelo Gabriele abbia portato l’annuncio a Maria, lo sappiamo già),vale la pena di scavare oltre la superficie, lasciandosi guidare dalle dolci pennellate raffaellite. E qui, va detto, il merito delle interpretazioni illuminanti che seguiranno va a un tale Padre R. Pasolini, di cui lessi a suo tempo un commento. 

Dunque, l’Annunciazione va letta dal nostro punto di vista di uomini che si preparano a vivere l’episodio del Natale: una delle chiavi del grande racconto del Mistero della vita. Si tratta di un momento in cui siamo chiamati a “interrogarci”. Fare domande non è un segno di stupidità, anzi: è il primo passo per conoscere la verità. La Vergine è l’esempio di questo: lei stessa, non credendo troppo alle parole dell’Angelo, si chiede come potrà avvenire quanto detto. E Raffaello, nell’immortalarla con quella sol manina sollevata, voleva descrivere proprio questa interrogazione. 

Ricevuta la risposta, come Maria poté decidere di accettare e rendersi parte del progetto divino, anche noi abbiamo la possibilità di scelta. Prima di tutto però, sempre avere chiaro il contesto e la situazione! 

Per coloro che hanno scelto di rispondere all’annuncio (si spera anche voi lettori), giunge poi il secondo capitolo della storia: la Natività. Natività, da leggere come un “incamminarsi verso il Mistero”… percorrere la stradina sterrata che porta alla capanna di Betlemme. È là che si compirà la Rivelazione; è là che, forse, troveremo qualche risposta ai nostri dubbi esistenziali. 

In questo caso, Raffaello si fece illustratore di ambe due i Vangeli che parlano della nascita del Bambin Gesù: Luca e Matteo. Interessante è vedere come, ciascuno, segnò sulla carta due messaggi diversi da dare a noi posteri lettori. Ci sono due versioni alternative della storia, insomma! La prima, quella di Luca, mette in luce la predilezione di Dio per i “piccoli” e per i poveri. Ad adorare il nuovo nato nella mangiatoia, l’evangelista fa accorrere i pastori. Persone più umili e di basso rilievo, ai tempi, non c’erano: non li si riteneva neppure capaci di fare da testimoni a un processo. Eppure, Dio li scelse per fare da testimoni all’evento più importante. 

La seconda versione, firmata da Matteo, ci comunica come la salvezza sia un dono universale, offerto a tutte le genti, di qualsiasi Paese. Sono i Magi, questa volta, a rappresentare l’universalità dei popoli, nelle loro carnagioni e fisionomie più variegate. 

Raffaello, da attento lettore, decise di portare sulla predella entrambe le storie: i pastori con l’agnellino a destra, e i Re che vengono da lontano al centro. Si percepisce un’ispirazione peruginesca in quei fastosi principi; gli altri “semplici” campagnoli sono invece un’aggiunta inedita quanto insolita da trovare assieme. Entrambi, però, hanno una cosa comune: tanto i rozzi uomini qualunque, quanto i fastosi re orientali, si sono dovuti alzare e hanno dovuto desiderare davvero incontrare il nuovo nato. Il messaggio che se ne può cogliere è questo: vivere il Natale è una nostra scelta… si può partire in direzione di quella piccola capanna in cui si è compiuto il Mistero, oppure rimanere a casa, accanto a un albero addobbato con chissà quale significato. 

Ultima scena: la Presentazione di Gesù al Tempio, da leggere come l’attesa che trova soddisfazione

In quell’architettura prospetticamente definita, sopra all’altare ligneo finemente intagliato, ecco il Bambinello che viene posto sotto gli occhi del sacerdote. Si tratta dell’anziano Simeone: emblema di colui che seppe attendere per tutta la vita, prima di poter contemplare “il Cristo”, come lo Spirito Santo gli aveva a suo tempo annunciato. È ancora Luca, l’evangelista della Natività dei poverelli, a raccontarci tutto ciò. Si tratta di una dinamica curiosa, assurda, se ci pensate bene. Maria e Giuseppe vanno al tempio, per presentare a Dio il loro bambino… come se Dio non conoscesse quello che è suo figlio! In realtà, andrebbe letta in modo un po’ diverso; quel bimbo che Raffaello ha dipinto con tanta dolcezza rappresenta tutti gli uomini, bisognosi di salvezza. E sarà proprio con questo gesto che tutti, tanto Simeone, quanto noi, vedremo compiersi la nostra attesa. Attesa di vedere, e attesa di essere redenti

Così, il racconto si conclude. La storia cominciata con l’Annuncio termina sull’altare del tempio, passando attraverso il momento clou del Natale. Tante domande sono ancora aperte, ma, forse, un barlume di luce in più è acceso in direzione del Mistero. Senza dubbio, se la si sa leggere, la predella che vi siete (almeno si spera) figurati davanti è una buona illustrazione di qualcosa di impossibile da rappresentare davvero. Un aiuto, lo darà di certo. Un aiuto a capire, ma, soprattutto, un aiuto ad apprezzare quella storia che intreccia il venticinque dicembre da secoli e secoli, e che nessuno si stancherà mai di raccontare. Raccontare in mille modi diversi, secondo la propria fede, ma ispirandosi alla medesima trama. 

Una risposta a “Avvento, Natale e Presentazione al Tempio al di sotto della Pala degli Oddi”

  1. Avatar Anto
    Anto

    Profonda analisi … e sintesi illuminante … di conforto in quei momenti oscuri che nella nostra vita potremmo attraversare … prima di ritornare a vedere la “Luce”

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