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L’Avvento del Caravaggio: i pittori bresciani e bergamaschi del primo ‘500

Il tempo di Avvento è un’occasione di preparazione all’arrivo di Cristo. È un tempo in cui disporre la propria anima al Natale, e alla venuta del Salvatore atteso da secoli. Allo stesso modo, artisticamente parlando, i pittori di Bergamo e Brescia attivi nella prima metà del Cinquecento fanno da “Avvento” di un grande personaggio: il Caravaggio. La sua maestria straordinaria non sarebbe mai esistita, se questi non ne avessero tracciato il cammino di apprendimento. 

Continuando con la nostra metafora sacro-pittorica, se la venuta di Gesù fu più volte annunciata da figure bibliche, qui il profeta è uno storico dell’arte acuto e lungimirante: Roberto Longhi. Ed è dalle sue parole che possiamo cominciare questa preparazione al “Natale caravaggesco”, facilitata a noi Milanesi dalle quattro opere esposte a Palazzo Marino in questo periodo…

“La preparazione del naturalismo seicentesco quale si manifesta in Caravaggio è data da una forte corrente naturalistica che permea tutto il territorio Lombardo-Veneto per due terzi del secolo XVI. Tale tendenza si manifesta più pregnante di risultati futuri in […] grandi artisti, che distribuiscono la loro operosità nel Bresciano e nella Bergamasca.”

… Chi sono, dunque, questi grandi artisti? E che cosa insegnarono al Caravaggio?

Cominciamo con i nomi: Lorenzo Lotto, Savoldo, Moretto e Moroni. Quattro personaggi curiosi, ciascuno con le sue uniche caratteristiche, che vi invito ad approfondire ulteriormente. Se volessimo parlarne per bene, non finiremmo più! Dunque, è meglio fare un sunto di quanto ci può interessare di loro in questo Avvento, aiutandoci con le opere offerteci dalla mostra milanese.

Partiamo dal primo: Lorenzo Lotto. Pittore veneziano, dall’animo sensibile come pochi, capace di raccontare il vero carattere e la personalità umana con delle semplici pennellate. Guardate qualcuno dei suoi volti, e potrete fare conoscenza di persona con i protagonisti. Occhi parlanti, incarnati estremamente realistici, ed espressioni più che eloquenti. Una naturalezza che il Caravaggio cercherà di riprendere in ognuna delle sue opere. 

Nelle “Nozze Mistiche di Santa Caterina e Niccolò Bonghi”, che vedete esposte, vi è un esempio dei suddetti volti più che umani. Non c’è n’è uno che abbia l’espressione uguale all’altra: i giochi di sguardi si rincorrono sulla tela, mentre qualcuno si rivolge direttamente a noi spettatori. 

Bellissimo, poi, è l’intreccio di mani che vedete al centro, e che ci porta l’attenzione sul Bambinello, intento a mettere l’anello al dito di Santa Caterina (come l’iconografia dello sposalizio richiedeva). Le pose, come è facile intendere, sono molto particolari: il Lotto amava cimentarsi in composizioni umane “pittoresche”!

Altro dettaglio sono… i dettagli. Dettagli minuziosi, di precisione fiamminga, che ci riportano vesti aristocratiche contemporanee al pittore (e non certo all’epoca della santa!), ricordandoci che Caterina era una donna nobile. I colori intensi e sgargianti, ripresi dal tonalismo di Tiziano e Giorgione, saranno un altro elemento apprezzato dal Caravaggio. 

Infine, vi invito a soffermarvi su quella campitura grigia che vedete in alto: è quanto si è dovuto fare per riparare il buco lasciato da qualche soldato che, a quanto si dice, apprezzò a tal punto ciò che era dipinto lì, da portarselo a casa come souvenir. Le fonti ci raccontano di una finestra (di cui abbiamo solo il davanzale con i tappeti) che si apriva su uno splendido paesaggio lombardo; così bello, da poter essere tagliato via per costituire un’opera a sé. Per quella barbara azione di un ignoto, oggi possiamo solo ammirare metà di questo dipinto; ma tanto ci basta per innamorarcene…

Nozze mistiche di Santa Caterina, Lotto

Passiamo al secondo protagonista dell’Avvento, ossia il Moroni. Anche di lui, abbiamo uno “Sposalizio di Santa Caterina con offerente”, gentilmente prestato dalla Pinacoteca di Brera. 

L’artista in questione è veramente lombardo, originario di Albino; il precedente, poteva dirsi un lombardo “acquisito”, in quanto lavorò a lungo tra queste terre. 

Giovan Battista Moroni era celebre soprattutto per i suoi “ritratti borghesi”: il “ritratto di stato” formale di Tiziano, declinato in una versione più quotidiana e provinciale. Niente pose impalate, bensì gesti naturali e volti estremamente umani. 

Qui, l’umanità la ritroviamo in ciascuno dei protagonisti: dall’offerente inginocchiato (non ben identificato), al San Francesco che ci osserva, alle due donne e al Bambino. Curioso il fatto che, in questo caso, egli non stia offrendo a Caterina il solito anello, bensì una rosa. Potrebbe essere un rimando a quello che già sarà il suo destino di martire, che capiamo anche dal suo attributo (la ruota dentata), rappresentato in basso a sinistra. Se voleste fare un bel confronto pittorico “colto”, vi invito ad andare al Museo Poldi Pezzoli, e chiedere di vedere la “Sacra Famiglia con San Giovannino” del Moretto: noterete un bel po’ di somiglianze!

Sposalizio mistico di Santa Caterina e offerente, Moroni

Già che abbiamo citato il Moretto, continuiamo con la sua opera in mostra, ossia la celebre “Pala Rovellio”. Si tratta di un dipinto pieno di curiosità interessantissime, che il Caravaggio non poté che ammirare con riguardo.

In quanto a origini, il Moretto era proprio bresciano: siamo nel cuore della nostra provincia di interesse. Inoltre, possiamo dire che egli sia tra le fonti più apprezzate dal nostro Merisi, che ne riprese tanto i panneggi dagli effetti luministici esemplari, quanto certe pose dei soggetti. Se volete un esempio che esula dalle quattro opere esposte, cercate della “Madonna di Paitone”, e confrontatela con la “Madonna dei Pellegrini” caravaggesca. Rivedrete lo stesso atteggiamento della Vergine.

Ma non divaghiamo, e concentriamoci sulla nostra pala. Si chiama “Rovellio”, in quanto fu commissionata dal signor Rovellio: un maestro di scuola (che qualcuno dice sia ritratto nell’opera) elementare, che volle un quadro per invocare la benedizione della Madonna sui suoi allievi. 

Colpisce subito la commistione di sacro e di contemporaneo che si ritrova nei dettagli. Guardate ai bimbi e al vecchio in primo piano. Egli è San Nicola di Bari, santo protettori dei bambini, che furono da lui salvati in numerose occasioni. Ad esempio, sottrasse le tre figlie di un nobile decaduto da un destino di prostituzione, donando un sacchetto di monete d’oro a ciascuna. In questo modo, avrebbero avuto una dote sufficiente per potersi sposare. Tali sacchetti (in forma di palle) sono raffigurati in mano a uno degli scolaretti. Ancora, il San Nicola riportò in vita i bimbi di un macellaio, che li aveva bolliti e messi sotto sale, per poterne vendere la carne. Insomma, capite bene come quest’uomo sia stato un grandissimo benefattore. Il Moretto non manca di ricordarcelo in più punti della sua pala (le palle d’oro, la mitria, il bastone con appese le monete, e i bambini stessi), collegandosi, però, alla realtà del tempo. Infatti, quelli che sono i fanciulli che fanno da “attributo” del santo, sono anche gli scolari del maestro Rovellio, con tanto di libretti sotto il braccio, e vesti ricche e contemporanee. Proprio queste vesti sono un dettaglio esemplare dell’opera, così definite e rese luministicamente bene, da sembrar vere! Possiamo goderne almeno quanto doveva averne goduto il Caravaggio, che si impegnò in prima persona, per dipingere al pari gli abiti dei suoi capolavori.

Pala Rovellio, Moroni

Giungiamo all’ultimo protagonista: il Savoldo. Anche lui lombardo, e attivo nel bresciano e bergamasco. Anche lui modello esemplare per il nostro artista, e, forse, quello da cui più di tutti riprese l’uso della luce. Gian Girolamo Savoldo, infatti, era capace di creare spettacolari contrasti di ombre e chiarori, giocando con le superfici e i dettagli.

Qui abbiamo un’ “Adorazione dei Pastori” molto particolare (anche se un po’ rovinata), in cui subito vediamo la suddetta bravura nella luce. Al contempo, c’è da sottolineare la naturalezza dell’ambiente e delle figure che sono protagoniste di questo notturno illuminato non dalla luna, ma dall’angelo annunciante. Le vesti sembrano “liquide”, e i volti intensamente espressivi. Per non parlare, poi, di quella capanna diroccata, con un giovane fico che vi si arrampica coraggioso. Ultima nota: l’iconografia ripresa dai Fiamminghi dei pastori che si “affacciano” sulla scena della nascita. Una composizione curiosa, insolita, che ci regala un ulteriore spunto di riflessione. 

Adorazione dei pastori, Savoldo

E, con il quarto artista lombardo, abbiamo concluso il nostro Avvento. Ora siamo pronti ad accogliere la venuta del Caravaggio (e di Cristo), sapendo qualcosa di più sull’origine della sua pittura. Ora siamo anche pronti per rivolgerci con curiosità a Bergamo e Brescia, future capitali della cultura nel 2023, che si meritano tutto il nostro riguardo. Grazie all’intuizione lungimirante di Roberto Longhi, questi artisti così unici, rimasti in secondo piano per anni, sono tornati a splendere di luce e interesse. Non resta che approfondirli ancor più, e riconoscerne il valore… cogliendo l’occasione per far sentire l’orgoglio patriottico della nostra Italia (e soprattutto della Lombardia!).

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