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L’immobile realtà di un Novecento quattrocentesco

Parlare di un “Novecento quattrocentesco” potrebbe sembrare una contraddizione, per non dire un bisticcio di parole. Tuttavia, se si sa dove andare a cercare nel panorama artistico del XX secolo, questo ossimoro acquista un senso improvviso. Si tratta del cosiddetto “Realismo Magico”: non era una corrente vera e propria, bensì l’intento di un gruppo di pittori degli anni ’20, che vollero “ritornare all’ordine” del Rinascimento. Dopo un periodo di eccessi futuristi, comparve la voglia di riprendere quei caratteri classicheggianti e realistici che tanto erano piaciuti alle corti medicee del Quattrocento. Caratteri reinterpretati in chiave contemporanea, ovviamente. 

Per avere un’idea di quali siano le opere da ricondurre a questo curioso e unico movimento (anche se “movimento” non è, noi lo chiameremo così), possiamo sfruttare il percorso proposto da Palazzo Reale sull’argomento. Dopo trent’anni dall’ultima volta in cui Milano aveva visto qualche esposizione del genere, si è deciso di riportare luce sul Realismo Magico, tanto affascinante, quanto di difficile comprensione. Vediamo di inoltrarci un po’ più nelle sue atmosfere così particolari…

La prima cosa da fare è rispolverare le nostre conoscenze sul Rinascimento. Non spaventatevi: non ci interessa tutto, ma solo qualche autore e carattere emblematico, che vale la pena avere in mente per poter apprezzare l’argomento.

L’arte rinascimentale si distingue per la rinnovata attenzione all’uomo, messo al centro della riflessione pittorica. Un uomo protagonista del presente, abitante delle “Città Ideali” che sbocciano dalle penne degli architetti dell’epoca. Il Quattrocento è tempo di grandi fioriture culturali, che vanno dalla pittura, alla letteratura, spaziando in tutte le discipline dell’intelletto. È tempo di ricerca di perfezione, di rappresentazione fedele della realtà, e di studio di prospettiva ed effetti luministici rigorosi.

Come artisti, i nostri realisti magici riprendono soprattutto Piero della Francesca, Antonio Pollaiolo, e Masaccio. 

Del primo dobbiamo ricordare quelle atmosfere intellettuali di equilibrio e immobilità, in cui la luce è così chiara e pacata da sembrare liquida. Pensate alla “Pala di Brera”, con la Madonna circondata dai santi nel mezzo di un’architettura candida e classica, con la conchiglia che la sormonta nell’abside. Pensate a quei colori dolci e accesi, con i giochi di luce della “lumettatura” sull’armatura del committente inginocchiato. Ecco: questa atmosfera di perfezione realistica, di prospettiva geometrica e di chiarore diffuso è quanto piace molto agli artisti novecenteschi. 

Passiamo al Pollaiolo. Di lui, solo un’opera emblematica ci serve: la celeberrima “Dama” esposta al Poldi Pezzoli. Figuratevi in mente quel profilo ineccepibile e raffinato, quei capelli acconciati ad arte con tanto di retina, e i gioielli che le adornano la scollatura. Una delizia di fanciulla, insomma.

Infine, c’è Masaccio, con le sue figure plastiche e solide, che paiono sculture dipinte. Negli affreschi della Cappella Brancacci, si notano certi volti scolpiti con vigore, molto espressivi, dagli occhi penetranti, e dalle fattezze che paio modellate con la creta. Questa pastosità è un ulteriore elemento chiave che ritorna secoli e secoli dopo.

Concluso il ripasso rinascimentale, entriamo nel cuore della mostra di Palazzo Reale. Vale la pena soffermarsi sulla prima parte del percorso, piuttosto che annoiarsi fino in fondo. Se scorrete i quadri dall’inizio alla fine, noterete come le tele iniziali siano interessanti e rappresentative di cosa sia il Realismo Magico in questione. A poco a poco, però, il filo rosso si perde. Mentre in principio il Rinascimento reinterpretato in chiave modernista balza all’occhio a ogni passo, dopo la metà, ci si dimentica quasi il tema della mostra. Sarà perché gli artisti stessi, con il passare degli anni, hanno abbandonato l’intento chiave del movimento, sarà (più probabilmente) per la volontà di infarcire troppo il percorso mostra. Tant’è, che se volete apprezzare questa arte particolarissima (e ne vale la pena davvero!), il consiglio è quello di gustarsi l’inizio, e di passare oltre rapidamente il resto.

Poche chiacchiere, abbiamo tentennato abbastanza…

Cominciamo con l’opera simbolo della mostra: la signora Silvana Cenni (chi sia non è dato a sapersi). Preciso subito che i curatori della mostra si sono “dimenticati” di includere delle didascalie parlanti, che insegnino qualcosa al visitatore desideroso di leggere (e non di ascoltare). Pazienza: gustiamoci l’abito della donna, con tutte le sue piegoline minuziosamente definite, in perfetto stile rinascimentale. Gustiamoci il tessuto damascato su cui è appoggiata, che richiama estremamente quei broccati popolari presso le corti medicee.  

Ritratto di Silvana Cenni, Casorati

Continuiamo con le dame, concentrandoci sulla “Terra” di Achille Funi. Qui si nota anche nel titolo la volontà di rievocare il mondo classico, e la mitologia (come avveniva nel Rinascimento). La Terra è metafora per una fanciulla con un vassoio di frutta e verdura ben ricco, con elementi vegetali resi in modo realistico e definito. Peccato per la luce della sala (pessima…), che ci impedisce di apprezzarne a pieno i colori. Consoliamoci con il paesaggio che si scorge dalla finestra, con tanto di casette e colline dorate.

Terra, Funi

Giunge ora la figura femminile che più mi sembra rappresentativa del “Rinascimento novecentesco” o del “Novecento quattrocentesco”, come preferite chiamarlo. Si tratta della “Giovane Sposa” di Ubaldo Oppi. È questa una giovane donna, di età indefinita, dalla pelle così candida e luminosa, da rievocare nello stesso tempo la Madonna di Piero della Francesca e la Dama del Pollaiolo. Aggiungeteci la spilla che adorna la scollatura del vestito, e vi ricorderà ancor più la fanciulla del Poldi Pezzoli. Concentratevi, invece, sullo sfondo, e coglierete la “Città Ideale” reinterpretata in chiave contemporanea. Se, nel Quattrocento, il modello di città perfetta era rappresentato con una serie di architetture classiche, poste in perfetta prospettiva geometrica, qui abbiamo lo stesso stile, ma edifici diversi. Trovandoci nel Novecento, non abbiamo più chiese e palazzi principeschi, ma un lussuoso “Eden Hotel” che mostra la sua insegna sulla sinistra. Costanti, però, sono la prospettiva, e il gusto per le pavimentazioni a marmi policromi, che ci ricollegano subito all’antico. 

La Giovane Sposa, Oppi

Vista quest’opera, si può dire di aver visto tutto, o quasi, della mostra. 

Voglio, però, accompagnarvi ancora per un paio di tappe significative. La prima è una tappa “riposante”, una sosta insomma. È il “Pomeriggio a Fiesole” di Baccio Maria Bacci (nome curioso…). Ecco una tavola apparecchiata per merenda, a cui stanno seduti due uomini e una donna, colti nell’atto di passare mollemente il tempo, in attesa di chissà quale evento. Un’altra fanciulla sta alla finestra, con occhi bassi, senza neppure accorgersi del bellissimo paesaggio di campagna che si scorge fuori. Malgrado il contesto bucolico, c’è più serietà che piacere e giovialità. Il motivo è oscuro; tuttavia, se pensiamo ancora all’arte quattrocentesca, sono innumerevoli gli esempi di figure “imbambolate” e serie, anche in contesti di festa…

Pomeriggio a Fiesole, Bacci

L’ultimo quadro è di De Chirico, anche se, per chi si aspetta i suoi soliti figurini geometrici, non sembra quasi suo. È l’ “Ottobrata”: una scena notturna, che è a metà tra l’Allegoria del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, e una serata immersa nel pieno dell’autunno. 

A proposito, credo di non aver richiamato il suddetto Lorenzetti fino ad ora. Ebbene, di lui ci interessano gli “Effetti del Buon Governo” del Palazzo Pubblico di Siena. Si tratta di quella città in cui tutto è armonico e produttivo; in cui si scorgono cittadini allegri e festosi, intenti a lavorare, o a divertirsi. Quello che sembra di rivedere qui, in De Chirico, è la stessa atmosfera gioviale e serena, indorata di colori ocra e arancioni, che modellano architetture non molto distanti dall’opera senese. Ulteriore particolare è quel putto volante sulla destra: c’è un analoga creatura alata anche nell’affresco di Lorenzetti. 

Ottobrata, De Chirico

Cercando di capire il senso di questa curiosa opera, possiamo dire conclusa la scoperta del Realismo Magico novecentesco. Lo dice anche il nome: è “magico”; dunque, troppa razionalità è bandita. L’intento di questi artisti era quello di farci riflettere sulla realtà che rappresentavano, così da trasmettere la complessità della loro riflessione. Una complessità che rimane spesso misteriosa, ma è anche questo il bello di un simile movimento. Un movimento curioso e unico nel suo genere, che ha un piede nel passato rinascimentale, e un piede nel presente. Un movimento che si impone un ritorno all’ordine dei grandi maestri, ma non sa resistere alla tentazione di aggiungere del contemporaneo all’altrimenti troppo perfetta Città Ideale. Tale “ideale”, infatti, si è visto con gli anni che non si è ancora realizzato…

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