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Arcobaleni foppeschi: le Storie di San Pietro nella Cappella Portinari

Che sia primavera, autunno, o inverno, c’è un arcobaleno perpetuo che si nasconde nella cupola di una cappella milanese: la Cappella Portinari. Non solo, si tratta di un’arcobaleno dipinto non dalle goccioline d’acqua sospese nel cielo, bensì dalla mano di un pittore. Un pittore importante nel panorama della nostra città, malgrado non così tanto conosciuto. Motivo in più per andare alla scoperta della “pentola d’oro” che si dice si trovi alla fine di ogni arcobaleno…

Per fare il nostro ingresso in questo paradiso di colori, occorre varcare la soglia della Basilica di Sant’Eustorgio, e dirigersi verso quella cappella che fu costruita oltre l’altare. La Cappella Portinari.

Insolita ubicazione, per una cappella… non vi pare? In effetti, fu aggiunta ben più tardi del primo impianto della chiesa. A voler ripercorrere la storia, dovremmo risalire fin all’epoca paleocristiana, quando qui sorgeva un cimitero (i cui resti, che comprendono moltissime arche e sarcofagi, sono ancora visibili). Poi, venne costruita una prima basilica, risistemata in periodo romanico, e poi ancora dopo, quando giunsero i Domenicani. Infine, le cappelle fecero la loro comparsa intorno al 1400, quando, tra le nobili famiglie meneghine del tempo, divenne “di moda” farsi fare la propria “cappellina devozionale” in uno dei tanti edifici religiosi della città. I motivi, come spesso accade, potevano essere religiosi, ma anche politici (e utilitaristici); confidando nel buon animo dei committenti, noi possiamo solo ringraziarli per averci lasciato una simile meraviglia…

Il signor Pigello Portinari (il nostro committente in questione), finanziò una cappella che è ancora oggi un vero capolavoro di architettura e pittura rinascimentale. Per quel che riguarda l’edificio in sé, è un cubo, con curiosa cupola “ombrelliforme”, sormontata da pennacchi a cono. Ciò che ha di speciale, però, è quell’arcobaleno di pitture che vi avevo accennato.

Ed è il momento di svelare il nome dell’artista: Vincenzo Foppa.

Egli si può considerare il padre dell’arte rinascimentale milanese; non un “rivoluzionario”, ma un “riformista”. Non travolse completamente la tradizione, ma se ne distaccò, rinnovandola e ispirandosi a nuovi modelli, quali Mantegna (per la prospettiva), e Donatello (per la “plasticità”).

Dovete pensarlo come uno che si formò in un contesto in cui ancora il Gotico di Gentile da Fabriano era prevalente. Per chi non ce l’ha in mente, ci riferiamo a sfondi oro a profusione, a scene fiabesche, a personaggi rivestiti di stoffe e gioielli preziosissimi. Ambienti da sogno, insomma; ambienti ben poco realistici…

Il nostro Foppa, invece, decise di avvicinarsi ben più alla natura. Nelle sue Storie di San Pietro (che vedete alzando gli occhi nella Cappella), si possono notare paesaggi verosimili, e figure in consueti abiti del tempo. Non solo: c’è anche una certa ispirazione che viene dai pittori fiamminghi; ispirazione che si ritrova nell’attenzione ai particolari, e a quel gusto di rappresentare scene tratte dalla quotidianità. A mio giudizio, poi, anche i visetti dei personaggi, dalle fronti ampie e rotondette, sono un elemento che si ritrova in certe opere delle Fiandre. 

Una domanda potrebbe ora giungere spontanea: dove andò, il Foppa, per ammirare le pitture fiamminghe? Direttamente in Olanda, forse? No… fu l’amico e maestro Donato de’Bardi, che gli fece conoscere questi maestri nordici.

Ancora, parlando dello stile, possiamo dire del suo intento didascalico (volto a insegnare con le storie che rappresentava), e della semplicità minuziosa che lo caratterizzava. Tutte cose ben apprezzate dai Domenicani che risiedevano nel convento di Sant’Eustorgio. 

E sono proprio i Domenicani, a spiegare il motivo dei soggetti che il Foppa si impegnò a rappresentare nella Cappella. Troviamo due tematiche sulla Madonna (Annunciazione e Ascensione); e una serie di curiosi aneddoti sulla vita, morte e miracoli di San Pietro Martire. I suddetti frati, infatti, erano molto devoti a Maria; per giustificare la presenza di San Pietro, sappiate che egli stesso fu frate, e soggiornò a Sant’Eustorgio. 

Il San Pietro in questione non è l’apostolo, bensì un fervente oppositore degli eretici catari, che fu inviato come inquisitore proprio in questo convento. Qui operò, fece miracoli, e fu poi assassinato da alcuni sicari in una foresta poco distante. 

Non possiamo che osservare le storie che il Foppa ci dipinse, cercando di imparare qualcosa della vita del santo. Abbiamo il Miracolo della Madonna con le Corna: San Pietro che innalza l’ostia consacrata in direzione di quella falsa Madonna, che gli eretici catari avevano fatto venerare ai poveri fedeli (ingenui).

Abbiamo il Miracolo del Piede Risanato: San Pietro che riattacca quel piedino che un giovane si era mozzato, per aver tirato un calcio a sua madre. 

Miracolo della Madonna con le corna
Miracolo del piede risanato

C’è, poi, il martirio, avvenuto in una foresta, con i sicari che lo uccisero. Tuttavia, prima di morire, si dice fosse riuscito a scrivere a terra con il suo sangue la parola “credo”. Il nostro artista non mancò di esplicitarlo.

Martirio

Infine, l’ultimo miracolo, quello della Nube, che riguarda proprio la Basilica. Potete vedere San Pietro, che predica dal pulpito di Sant’Eustorgio, in direzione dei fedeli in piazza. Doveva essere una giornata molto calda, in quanto, per donare loro refrigerio, fece comparire una grande nube di pioggia, che alleviò la sofferenza di un’estate… piuttosto torrida. Evidentemente, il “caldo africano” era già un problema nel ‘200…!

Miracolo della nube

Mentre impariamo le Storie del santo, l’arcobaleno di colori foppeschi riluce a ogni angolo. C’è un verde pastello che spicca su numerose vesti, accompagnato da rossi mattone, e azzurri delicati. Poi, c’è il grigio: un grigio perla, che pare fosse una caratteristica dfell’artista. Tale grigio era capace di dare valore ed eleganza anche a particolari umili, nobilitando gli aspetti più comuni della realtà. 

E, se gli affreschi ci ammaliano di tinte, svolgendo allo stesso tempo il loro compito “didascalico”, la cupola ci acceca con il suo arcobaleno. Un arcobaleno splendente a ogni ora del giorno, in ogni stagione e con ogni tempo. Un arcobaleno che ci fa innamorare della cappella, e forse, ci fa anche sorgere una domanda irrisolta. Chissà se, finita la pioggia del Miracolo della Nube, il San Pietro concesse anche ai suoi fedeli ascoltatori di ammirare un simile splendore di colori? Se così fosse, anche la volta della Cappella Portinari avrebbe una sua spiegazione “realistica”…

Una risposta a “Arcobaleni foppeschi: le Storie di San Pietro nella Cappella Portinari”

  1. Avatar Sergio
    Sergio

    Molto interessante e pieno di bei dipinti.

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