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In un campo di Zucche Hokkaido

Illustrazione campo Zucche Hokkaido

Non so se avete ma sentito parlare delle Zucche Hokkaido. Probabilmente no.

Non siete i soli, non vi preoccupate; le Zucche Hokkaido non si trovano tutti i giorni al supermercato. 

Magari, invece, le avete viste (e persino mangiate!) senza mai sapere di esservi trovati davanti a una Zucca Hokkaido. Se non c’è un’artista appassionata di zucche e ortaggi a presentarla come si deve, dopo tutto, è difficile farsi amica da sé una Zucca Hokkaido. Vedremo di rimediare subito a questa mancanza di “orticultura”

La Zucca Hokkaido è una zucca di antica origine giapponese, come ben si può intendere dal suo nomignolo orientaleggiante. Qui da noi, se non la volete chiamare così, potete rivolgervi a lei con Zucca Castagna, o Zucca Potimarron, per dirla alla francese. 

Perché proprio Castagna? Qualcuno se lo chiederà… 

Il motivo è la forma, che alcuni dicono ricordi una castagna, e il sapore, che gli stessi sostengono sia simile a quello della suddetta castagna. 

Se chiedete all’artista il suo parere, vi darà una versione differente…

Per l’artista, la Zucca si chiama Hokkaido, prima di tutto. Poche storie. Privatela del suo appellativo giapponese, e perderà tutto il suo fascino del Sol Levante. Solo pronunciando quelle armoniche sillabe che compongono la parola Hokkaido, infatti, è possibile far viaggiare la mente fino a quei paesaggi fiabeschi evocati nelle stampe giapponesi. Se la volete inserire in un boschetto dipinto a china dal maestro Hokusai (…maestro di stampe giapponesi), dovete chiamarla così!

L’arringa sul nome originario è finita, tranquilli.

Passiamo alla forma. Più che a castagna, è a cipolla. O, ancor meglio, è come una di quelle cupole della Cattedrale di San Basilio di Mosca. Paragonare una zucca a un simile capolavoro d’arte architettonica le dà un tocco unico e speciale.

Unica e speciale, in fondo, la Zucca Hokkaido lo è. Non solo è l’unica di cui si può mangiare anche tutta la buccia (di un bell’arancio vivo), ma ha anche una consistenza e un sapore che non hanno rivali. Corposa, compatta, ma per niente secca. In una parola: deliziosamente perfetta. Non è uno di quei “simpatici” esemplari che, appena aperti, rivelano il loro contenuto scarso di polpa… e pieno solo di semi e lanugine! Al contrario: è ricca di polpa, e con certi semi prelibati, che buttarli sarebbe un vero peccato. 

E il gusto? Pittoresco. Soddisfa il palato dell’artista con la sua dolcezza, che esplode anche solo se accostata a un rametto di rosmarino e a una fogliolina d’alloro. Non serve nient’altro per apprezzarla.

Per quanto la Zucca Hokkaido sia speciale e deliziosa, non è facile poterne gustare il sapore, né tantomeno il colore. Cercatela al supermercato sotto casa, e non la troverete. Cercatela in qualche curioso negozietto biologico di città, e (forse) avrete qualche possibilità in più. 

Se reperire la suddetta “cupola di San Basilio” arancione tra le vie milanesi era arduo, pensare di vederla nei dintorni del Trasimeno era più che assurdo. Le venerande matrone perugine non erano spiriti curiosi, né cacciatrici di novità. Piuttosto, erano fedeli acquirenti degli stessi prodotti ormai standardizzati nella loro mente, senza possibilità (anche minima) di variazione. Già per loro prendere il pomodoro datterino (e non il San Marzano) per fare la salsa era un’eccezione alla regola che non andava giù; figuriamoci una Zucca Hokkaido…

Una Zucca Hokkaido ad agosto (e non a ottobre, quando la zucca è di stagione) ancora peggio.

Motivo per cui la Risolartista, che pur aveva voglia di Zucca Hokkaido anche in estate, non si immaginava affatto di poterla trovare laggiù. Sapeva della loro esistenza, e sapeva anche della loro stagionalità precoce. Avrebbe anche saputo dove poterle (forse) acquistare in un angolino di Milano, e anche in un paesone umbro relativamente vicino, ma non sulla riva lacustre.

Finché non fece una scoperta decisamente pittoresca.

Scoprì che c’era un posticino in cui cresceva una bella compagnia di Zucche Hokkaido dall’inconfondibile forma a guglia di San Basilio. Scoprì che c’era un posticino in cui poter andare a cogliere direttamente la sua zucchetta arancio vivo dal nome orientaleggiante.

Quel posticino era proprio un angolo di verde (a macchie arancione vivo, di conseguenza) dei Verdi Orizzonti in riva al Trasimeno. Era proprio un angolo dell’orto delle sue nuove amiche contadine più che contadine del vicino paese di Montebuono. 

Quando ricevette da loro l’invito a partecipare di persona alla raccolta della Zucca Hokkaido che avrebbe poi portato a casa, non se lo fece ripetere due volte. Anzi, estese l’invito al Gatto Cappelletto, che era rimasto al pari soddisfatto delle nuove conoscenze di ortaggi.

Alle sei di sera più che passate, quando la temperatura poteva dirsi quasi accettabile, la Risolartista e Cappelletto si decisero a mettere il naso fuori di casa, in direzione dei Verdi Orizzonti. Per l’occasione (malgrado il caldo), l’artista si vestì tutta di verde, con tanto di cappello di paglia da contadino, e stivali di gomma verde. Per andare a raccogliere zucche nel campo dei Verdi orizzonti, non si poteva che essere in verde, e in tenuta campestre!

Spinta la biciclettina fragolosa fino alla riva nei pressi di Montebuono, si avventurarono alla ricerca delle loro due amiche contadine più che contadine. Come al solito, erano tutte affaccendate sistemare le cassette di verdura appena giunte dal campo. Quel giorno era tutto un arcobaleno di pomodori, peperoni e cocomeri. In quel periodo di metà agosto, era quanto andava per la maggiore. 

Di Zucche Hokkaido già raccolte neppure l’ombra. Gli unici aspiranti clienti interessati ad averle parevano essere proprio la Risolartista e il Gatto Cappelletto…

Tanto meglio: avrebbero avuto la possibilità di raccogliere direttamente con le loro manine!

I due aspiranti raccoglitori di Zucche Hokkaido furono presto condotti nell’angolo-casa delle zucche dei Verdi Orizzonti. Malgrado fosse di fatto un pezzetto di terra non molto diverso da quello dei meloni (che erano lì accanto), o delle melanzane, allo spirito d’artista parve molto di più.

Mentre scrutava tra le ampie foglie verde-giallo, in cerca della zucca perfetta, la sua mente cominciò a viaggiare lontano…

Lontanissimo.

Arrivò fino a uno di quei giardinetti dell’Estremo Oriente, che il maestro Hokusai aveva immortalato nelle sue stampe giapponesi. 

Quello che era il sole rovente di una serata d’agosto divenne ben presto la sfera visibile nelle albe di fuoco del paese del Sol Levante. 

Quello che era il Trasimeno divenne un laghetto attraversato da un ponticello di legno, e tutto popolato da uno stuolo di ninfee.

Quello che era l’orto delle sue amiche contadine divenne un campo di Zucche Hokkaido, circondato dalla tipica vegetazione orientale. Non più ettari di girasoli sfioriti, ma canneti, cedri e querce; il tutto completato da graziosi bonsai disseminati qua e là.

Nell’avvicinarsi alla sua Zucca Hokkaido pronta all’abbandono della pianta, la Risolartista si sentiva una vera raccoglitrice giapponese. Si immaginava lì, in quel giardinetto orientaleggiante, con il tipico cappellino di paglia appuntito che tante volte Hokusai aveva dipinto. Si immaginava con gli occhi a mandorla (sempre azzurri), dietro i suoi occhialini rossi tondi tondi, attenti a scegliere il miglior esemplare.

Con un colpo secco, la zucca si staccò. 

E il sogno del Sol Levante finì.

Un altro rumore netto, e anche la cupola di San Basilio per il Gatto Cappelletto (un po’ più piccola dell’altra) fu pronta a partire.

Partire… per dove? Partire per la cucina del gatto cuoco, ossia nel retrobottega del Ristorante Da Settimio di San Feliciano. Giusto laggiù, appena rincasato, lo chef felino ne avrebbe fatto il ripieno di una montagna di cappelletti! Quella sera la comunità dei gatti sanfelicianesi avrebbe avuto una cenetta da leccarsi i baffi: cappelletti ripieni di Zucca Hokkaido. Neanche Mantova poteva vantare una simile specialità…

La Risolartista, invece, aveva altri progetti per la sua zucca.

Prima di tutto, voleva dipingerla nel suo quadernetto di acquerelli, come il maestro Hokusai avrebbe fatto se solo si fosse trovato al suo posto.

Eseguito ciò, curandosi di fissare sulla trama della carta ogni sfumatura di quell’arancio vivace, ne avrebbe messa da parte una fetta per la tavolozza di verdure (o minestrina) domenicale. Il resto l’avrebbe gustato così: in purezza, per sentirne a pieno la fragranza. L’avrebbe cotto al vapore, con una foglia d’alloro, e un rametto di rosmarino. L’avrebbe poi completato con un filo d’olio d’oliva del Trasimeno. Niente di più: l’essenziale per sprigionare lo spirito unico della Zucca Hokkaido.

A dir la verità, c’era un’altra idea nella sua mente d’artista. Idea che riguardava i semi. Semi troppo preziosi per essere buttati e dimenticati. 

Li avrebbe tenuti, e fatti seccare fino al suo ritorno a Milano. Allora, poi, li avrebbe consegnati al loro nuovo padrone: il Nonno Sergio. Certo lui avrebbe saputo come curarli al meglio, per far sì che l’anno successivo ci fosse un orticello di Zucche Hokkaido anche sul tetto del suo grattacielo milanese…

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