Che sia agosto o novembre, l’estro pittorico della Risolartista non può rinunciare alla sua tavolozza di verdure della domenica sera.
La minestrina con i colori di stagione è una costante dell’ultima cena della settimana, che fa da fonte cromatica indispensabile per i sette giorni a venire. Cambiando il periodo (e la temperatura), cambiano l’aspetto (e il calore) di quella mistura di sapori dell’orto. Se l’inverno vede verze, zucche mantovane, e broccoletti, l’estate apre alle zucchine, ai piselli e alle carotine col ciuffo. Ci sono così tanti colori che spuntano di settimana in settimana, che ogni minestrina della domenica ha un gusto e un aspetto diverso. Non c’è una tavolozza di ortaggi che sia esattamente uguale all’altra…
Il merito, bisogna dirlo, va in primo luogo alla cuoca-pittrice del suddetto potage (come si dice nella haute-cuisine parigina). Ossia, alla Mamma Monica. È lei che ogni domenica di ogni mese di ogni stagione dell’anno prende in mano il coltello e comincia a tagliuzzare i pigmenti in forma di verdura.
La Risolartista si occupa di reperire questi pigmenti. Pigmenti che sono raccolti qua e là durante tutta la settimana, trepidanti di entrare a far parte della tavolozza di minestrina. Nessuno dei due, sia chiaro, è un mestiere facile; in entrambi occorre una mano pittoresca che scelga le tinte, o le sminuzzi ad arte. Se si mettono tutti gli ingredienti giusti in pentola, però, il risultato non potrà che essere un capolavoro.
E un capolavoro di minestrina era quello che, anche in quella prima settimana di agosto, si voleva preparare nella casetta lacustre. Per poterlo realizzare a dovere, prima di tutto bisognava recuperare l’occorrente.
Ogni verdura aveva una sua storia e un suo posto particolare in cui essere trovata. Pensare di andare al supermercato, e prendere lì qualche banale carota o patata, non era nemmeno da prendere in considerazione. Ancor peggio era l’idea di riscaldare uno quegli intrugli già precotti e surgelati, che popolavano sempre più numerosi il reparto dei congelatori. La minestrina della domenica doveva essere creativa e adatta al palato esigente dell’artista; per ispirare le sue opere settimanali, era necessario che contenesse pigmenti variopinti e di qualità. Piuttosto che ridursi a una zuppetta industriale, era meglio farne a meno…
Capite bene come, anche in quei (caldissimi) giorni agostani, si procedette alla ricerca degli ingredienti più squisiti e adatti all’opera vegetale…
Il primo componente che varcò la soglia della cucina fu la zucca. L’insolita, quanto dolcissima, Zucca Hokkaido. Una varietà giapponese (come si intuisce dal nome), dalla forma a cipolla, che sale a punta verso l’alto. Ricorda un po’ una lanterna arancio vivo, oppure la cupola di uno di quei palazzi dei sultani che si vedono nelle fiabe. Ciò che conta, è che è una zucca precoce. Dunque, trovarla in pieno agosto, voleva dire portare a casa una verdura di stagione, adatta a tingere d’arancione la futura minestrina.
Sempre rimanendo sull’arancione, c’erano le carote. Quelle con il ciuffo ben rigoglioso e verdolino, che la Mamma Monica a volte infilava tutto insieme al resto della preparazione. Provare per credere: il ciuffo delle carote dà un saporino curioso, un saporino che si fa notare.
Terzo ingrediente: il cavolo rapa. Non è un cavolo, né una rapa. È un cavolo rapa (e non è nemmeno il sedano rapa). Ce ne sono di bianchi, e di violetti; tutti con quella curiosa forma di rapa (ma non sono rape), con un ciuffo di foglie che schizzano verso l’alto, come fossero i tentacoli di una medusa! Il cavolo rapa è un personaggino simpatico, che è meravigliosamente gustoso nella minestrina, quanto carino da vedere (e da disegnare). Non lo si trova ovunque: la maggior parte della gente neppure sa che esiste. Nondimeno, vale la pena andarne alla ricerca.
Motivo per cui, per poter recuperare un cavolo rapa, una Zucca Hokkaido (altra cosa piuttosto rara) e delle belle carote con ciuffo, la Risolartista se ne andò in gita fino al negozietto biologico del paesone di Corciano. Non era esattamente a due passi dal lago, ma, dopo curve e salite tra i colli, era raggiungibile con una mezz’ora di macchina. Mezz’ora di andata (e di ritorno) ben spesi.
La raccolta dell’occorrente proseguiva dal Signor Sergio (l’ortolano ambulante del paese, per chi non lo conoscesse). Dato che il Signor Sergio fermava in piazza il suo furgoncino tre volte la settimana, il giorno ideale per la minestrina era il sabato. Così, le verdure che si prendevano da lui, rimanevano belle fresche per l’indomani.
E si trattava di verdure davvero fresche: le sue zucchine, colte poche ore prima dal suo orticello di Mantignana (altro paesello dei dintorni), avevano ancora il profumo della terra appena abbandonata. Zucchine chiare, corte, un po’ tozze talvolta. Zucchine dolci e tenere, che facevano da protagoniste nelle minestrine d’artista.
Altra cosa che forniva il Signor Sergio era il sedano. Quello era necessario in ogni stagione, e non ne si poteva fare a meno. Certe volte, però, a vedere come era ridotto il “migliore” che era riuscito a recuperare, non se ne si sarebbe sentita troppo la mancanza…
Poche storie. Un gambo di sedano era sempre doveroso. Qualsiasi fosse il suo aspetto!
Infine, gli ingredienti restanti erano raccolti tra gli scaffali del caro Bussolini. Irrinunciabile il suo contributo anche nella minestrina.
Era merito proprio del suddetto supermercatino, se, anche in quella prima settimana d’agosto, la Risolartista era riuscita a portare in cucina una bella metà di cavolo cappuccio viola.
Ed era anche molto soddisfatta di quella conquista. Come mai? Lecita domanda.
Sappiate che il cavolo viola era un pigmento fondamentale (anche più del sedano) nella tavolozza della domenica. Era quell’elemento che contribuiva a dipingere di violetto il brodino, amalgamando gli altri sapori per benino.
Il problema, era che il cavolo viola è un prodotto invernale. A novembre ve li propinano in tutte le salse e in tutti i mercati, ad agosto, invece, non ve n’è traccia.
Tuttavia, il Trasimeno ha i suoi lati pittoreschi anche in materia di cavoli viola. Ci doveva essere (non si sa bene dove) un campo in cui il contadino si divertiva a piantare cavoli viola fuori stagione. Il perché era oscuro; tant’è, che erano ormai tre anni che continuava a perseverare nella sua fuori stagionalità. E la Risolartista ne era molto contenta: la sua minestrina agostana poteva così tingersi di violetto proprio come in inverno…
Il posto in cui reperire il suddetto prodotto pittoresco, non poteva che essere Bussolini. Solo lì compariva anche in piena estate l’etichetta “cavolo cappuccio viola”, con scritto anche “prodotto locale”. Dunque, si aveva persino la certezza che non venisse dall’altra parte del pianeta…
Messo il cavolo purpureo nel carrello, si procedeva con la ricerca dei piselli. Piselli surgelati, ovviamente. In casa della Risolartista, da che ne aveva memoria, i piselli freschi non avevano mai fatto la loro comparsa. C’erano sempre stati quelli in formato blocco di ghiaccio: così buoni (e sempre buoni), così comodi, e veloci da cuocere. In quel caso, la versione del congelatore era più che ammessa. Tanto più, visto che per anni la piccola artista era stata convinta che i piselli crescessero solo nel freezer della cucina. Un’illusione infantile troppo tenera per poter essere spezzata e sostituita con dei baccelli freschi, che buona parte delle volte erano anche duri e stopposi…
Piselli surgelati più che approvati, dunque.
Mancava solo il burro, ma già si sapeva la marca su cui indirizzare la scelta. In quanto derivato del latte, e in quanto latte in territorio perugino voleva dire Grifo, il burro non poteva che avere un grifone sulla confezione. Anche troppo facile come valutazione di mercato.
E con la spesa da Bussolini nella borsa, c’era finalmente tutto.
Ogni pigmento era pronto in cucina; ogni ortaggio pittorescamente conquistato attendeva il taglio della Mamma Monica.
E taglio fu.
Più che semplice taglio: uno sminuzzare che aveva un qualcosa di carnevalesco… quasi fosse una procedura per fabbricare coriandoli e stelle filanti. Bisogna ammettere che la Mamma Monica aveva una spiccata passione per il tagliuzzare ogni verdurina in minuscoli segmentini perfettamente geometrici. Passione non tanto diversa da quanto faceva ogni mattina la Risolartista con la frutta per il suo risolatte…
Tant’è, che da quel tagliuzzìo veniva sempre fuori un’opera d’arte ancor prima di metterla a cuocere. Già il tagliere tutto popolato dai pezzetti di verdura avrebbe fatto gola a un collezionista di quadri impressionisti. Ogni zucchina, ogni carota, ogni fogliai di cavolo cappuccio, si era trasformata in una piccola macchiolina di colore pronta a tingere il brodo.
Finita la preparazione a crudo, il tutto fu trasferito in pentola. E che pentola: un bel pentolone alto e capiente, adatto a far amalgamare a pieno i sapori.
Un po’ d’acqua, tre foglie d’alloro, qualche fiocchetto di burro Grifo sulla sommità, e via a far borbottare la futura minestrina per un paio d’ore.
Se vi foste affacciati in cucina durante quel lasso di tempo, avreste visto una cosa assai curiosa. Dopo tutto, una minestra d’artista era soggetta a una preparazione d’artista.
Avreste visto il suddetto enorme pentolone tutto intento a far sobbollire il suo contenuto, coperto da un coperchio-non coperchio.
In effetti, ai tempi dell’acquisto di quell’enorme pentolone, pareva che la Mamma Monica si fosse dimenticata di comperarne anche il coperchio. Aveva forse pensato che quell’enorme pentolone, così enorme appunto, le sarebbe servito un paio di volte l’anno al massimo (ancora non si immaginava le minestrine domenicali…). Riempire un cassetto della cucina per un coperchio che non avrebbe mai usato le era sembrata una follia.
Motivo per cui in quella domenica mattina di agosto (la minestra si faceva di mattina, quando era meno caldo) il pentolone era coperto da un piatto. Un piatto di porcellana del servizio normalissimo; un piatto che, al borbottio vivace sottostante, tremolava in continuazione, rischiando precariamente di cadere…
Meno male che l’occhio vigile (e l’orecchio) della Mamma Monica era sempre all’erta, pronto a comandare l’abbassamento del fuoco.
Tra aromi fragranti e rumoreggi di curiosa provenienza (colpa del piatto-coperchio), passavano le canoniche due ore di cottura. Al termine, tutta la casa era avvolta in un delizioso miscuglio di profumi, che facevano ben intuire le varie verdure impiegate. Il cavolo viola spiccava sempre, modulato sulle note dell’inconfondibile alloro. Guai a dimenticarsi l’alloro! Pena la mancanza di quel tocco speciale d’artista nella minestrina serale…
Come ultime aggiunte, c’era sempre il sale, e qualche erba aromatica, fresca o secca che fosse. In quella domenica d’agosto, in cucina compariva un bel ciuffo di prezzemolo, dell’origano, e persino un rametto di basilico, appena preso dalla piantina del balcone. Avrebbero completato il capolavoro.
La minestrina era pronta: non restava che far calare il sole dietro i colli del Trasimeno, e darle una riscaldatina appena prima di gustarla.
Ed ecco il momento tanto atteso. L’ora di cena. L’ora di cena di quella domenica di inizio agosto, dipinta come di consueto dagli ortaggi di stagione. La Risolartista era pronta all’assaggio, con cucchiaio in una mano, e grattugia nell’altra.
… Grattugia per cosa? Per il tocco dei tocchi d’artista; per il suo zampino pittoresco alla ricetta (già pittoresca) della Mamma.
Una grattugia per la radice di zenzero fresco, che avrebbe illuminato ancor più di sapore quella splendida tavolozza di verdure. Chiamarla solo minestrina (ora concorderete anche voi) era senz’altro riduttivo…
Lascia un commento