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Miele da intenditori

Vi sarà capitato, almeno una volta, di ritrovarvi alle prese con un barattolo di miele dal contenuto solido quanto un pezzo di sapone da bucato. Per il sapone, non ci sarebbero grandi problemi: un po’ d’acqua, e il tutto si ammorbidirebbe in un attimo. Trattandosi di miele, però, a nessuno verrebbe mai in mente di diluirlo con l’acqua. Neanche fosse acqua zuccherata! 

Ecco, una bella mattina di fine maggio, all’ora di colazione, la Risolartista e il suo babbo ingegnere si trovavano proprio in quella situazione. Entrambi golosissimi di nettare dorato, entrambi a fare pasticci sulla tavola, a causa di quel miele duro come il marmo. E meno male che la mamma era già uscita di casa… altrimenti si sarebbe fatta sentire! 

… Perché, vi state forse chiedendo? Vi basti questa breve descrizione della scena. Per primo il babbo, con l’intento di spalmare un po’ di miele sulla sua fetta biscottata, era riuscito nell’impresa (degna di un ingegnere) di romperla in almeno cinque pezzi. Cinque pezzi tutti precipitati a gran velocità nella tazza di caffellatte. L’effetto, come facilmente si può immaginare, fu quello di un tuffo in piscina dal trampolino: gocce marroni disperse per tutta la cucina. Pareti comprese. Non solo: un dispettoso pezzetto di fetta biscottata (con tanto di blocco di miele appiccicato) era finito anche sul pavimento. E non c’è bisogno di svelarvi il punto esatto di quel suddetto pavimento su cui il babbo appoggiò la sua ciabatta nell’atto di alzarsi e rimediare al disastro. Doppio disastro! Anzi, triplo, perché con quella ciabatta fece almeno altri due passi, prima di accorgersi delle orme “mielose” che lasciava sul pavimento lucido. 

E non vi ho ancora detto nulla della Risolartista. Anche lei, dal lato opposto della tavola, aveva provato ad affrontare il miele roccioso. Era solita affondare il cucchiaino nel barattolo, per poi estrarre l’esatta quantità di nettare (pesata al grammo dal suo occhio d’artista) con cui addolcire il suo risolatte mattutino. Per chi non la conoscesse ancora bene, il risolatte era (ed è) non solo la sua colazione irrinunciabile, ma la vera fonte della sua creatività del giorno. Per questo motivo, doveva essere preparato per bene, con tanti sapori e colori di stagione. Ma non dilunghiamoci ulteriormente sull’argomento, non è questo il momento…

Dicevamo, che anche lei aveva provato ad aggiungere un cucchiaio di miele nella sua ciotola. Ci aveva provato. E riprovato. Ma nulla: nemmeno una scalfittura in quella massa giallo-dorata, che tanto era stata invitante al momento dell’acquisto. Era stata proprio lei, il giorno prima, a comprare quel vasetto di miele nel negozio sotto casa. Le era sembrato perfetto a vedersi: da fuori, infatti, nulla faceva intuire il solido contenuto. Bisogna anche dire che la ragazzina non aveva avuto altre alternative: il miele era finito in dispensa, e tanto lei, quanto il babbo ingegnere, per far funzionare le loro menti “ingegnose”, ne avevano bisogno per la loro colazione. Dunque, era andata a cercarlo, e quello era l’unico esemplare che era riuscita a rimediare. Sembrava che in quei giorni tutti avessero fatto scorte di miele, lasciando solo qualche rimasuglio apparentemente normale (ma non nei fatti concreti…). 

Abitando in città, un normale consumatore di miele avrebbe semplicemente cambiato supermercato. Ovvio. Svegliandosi la mattina nella piazza principale (il che è tutto dire!) di San Feliciano, però, la questione era un po’ diversa. Se non si trovava qualcosa nel proprio (e unico!) supermercatino di fiducia, non si poteva bussare alla porta accanto. O meglio, lo si sarebbe potuto anche fare, ma con il risultato di bussare al macellaio… e i macellai, di norma, non vendono miele!

La faccenda sembrava non avere soluzione. Babbo e figlia si guardavano preoccupati: quanto avrebbero dovuto aspettare, prima di poter tornare ad addolcire le loro colazioni con il miele (cremoso), tanto necessario per le loro testoline creative? Facendo i calcoli, almeno tre giorni. Solo il venerdì, infatti, la contadina del mercato sarebbe giunta portando con sé qualche vasetto. Tre colazioni senza miele. Sarebbe stata dura! Occorreva trovare una soluzione. 

Se avessero saputo che l’edicola del paese (proprio l’edicola!) vendeva qualche raro esemplare del miele di cui a breve sentirete raccontare, avrebbero risolto in poco tempo. Peccato che, allora, ancora non erano troppo esperti dei segreti del posto…

Per fortuna, quella mattina, il Gatto Grifolatte aveva deciso di presenziare alla colazione della famiglia. 

… Intento benevolo di fare compagnia ai due umani, e “scaldare” un angolo del tavolo? Non proprio. O meglio, non solo. Colazione, voleva dire latte tiepido. Latte tiepido, voleva dire, per il Gatto Grifolatte, ghiottoneria da leccarsi i baffi. Purché fosse della sua marca preferita, che ben intuirete dal suo stesso nome (GRIFOlatte!). Su quello, però, non c’era pericolo: solo due erano le aziende che rifornivano di latte il negozio sotto casa, e la famigliola ne sceglieva da sempre una sola. Quella giusta!

Dunque, anche il gatto aveva assistito alla scena del babbo, senza staccare la lingua dalla sua ciotola di latte. E avrebbe continuato ad assistere immobile come una statua, se non si fosse ritrovato il suo latte “macchiato” dagli schizzi di caffè. E, a lui, il caffè proprio non piaceva. Per non rischiare di vedere il suo latte tiepido rovinato anche l’indomani (perché sicuramente il babbo, da buon ingegnere testardo, avrebbe ritentato di spalmare il miele roccioso sulla fetta), decise di fare qualcosa. 

… Acacia la Beccaccia. Perché non farle visita proprio quel pomeriggio? L’idea proposta dal gatto sembrò incuriosire la Risolartista, che decise di seguire il consiglio, e andare alla ricerca del miele nel bosco. Dopo tutto, aveva sentito parlare di lei, e l’aveva anche intravista più volte, durante le sue passeggiate, mentre se ne stava appollaiata tra le fronde. Mai, però, le era venuto in mente di andare a trovarla nel suo laboratorio di apicoltrice.

Verso l’ora di merenda, l’artista si mise in cammino in direzione del bosco. Grifolatte al fianco (arruolato come guida, con la promessa di una cena a base di polenta e latte tiepido) miagolava la strada giusta da seguire. Fino al sentiero battuto non c’erano problemi; poi, invece, se si voleva bussare alla porta di Acacia Beccaccia, bisognava sapere dove andare. Non fu facilissimo, a causa di tutti quei cespugli insidiosi, che un gatto (anche se non campione di agilità) sapeva evitare, ma non una ragazzina ben più ingombrante. E dalle gambe scoperte, per giunta. Quel giorno, approfittando del sole, si era messa un bel vestitino corto, con tanto di calzini alla caviglia. Non l’avesse mai fatto! Immaginate voi i graffi causati dai rametti sporgenti… Meglio sorvolare, e parlare di cose più “dolci”.

Dolci, come la casetta che presto i due amici si trovarono davanti, in cima a un grande albero di acacia. Eccola lì, la dimora della Beccaccia apicoltrice. Ed ecco anche la Beccaccia apicoltrice, che, appena li vide arrivare, si tolse il cappello da lavoro (stava raccogliendo un po’ di miele fresco fresco) e andò loro incontro. Che uccellino pittoresco! Dal becco lunghissimo e sottile, perfetto per succhiare il nettare dorato… quasi fosse lei stessa un’ape! Quel giorno, indossava un simpatico scialle variopinto, tutto fiori e foglie. Doveva essere proprio una vista piacevole per le sue amiche apine operaie…

Volete sapere qualcosa della casetta? In effetti, vale la pena descriverla. Non capita tutti i giorni di vedere un laboratorio di una beccaccia apicoltrice. E nemmeno la sua casa. L’interno rimane per ora un mistero; non era a misura di Risolartista, ma adatto a un uccellino di ben diverse dimensioni. L’esterno, però, compensava la mancanza. 

Due erano le casette arroccate tra i rami dell’albero: quella inferiore era l’abitazione vera e propria, mentre l’altra faceva da negozio e laboratorio sul retro. Il comignolo fumava: il miele era in piena produzione e invasettamento. Fu la stessa Acacia a raccontare che tutti i suoi macchinari erano, in quel momento, in funzione, continuamente a purificare e lavorare il miele appena prelevato dalle arnie. In quei giorni di primavera i fiori abbondavano, e le api lavoravano di continuo. La produzione era nella sua piena “fioritura” (è proprio il caso di dirlo!). Che macchinari? Chi lo sa! Dicono assomiglino agli strumenti di un’industria conserviera, quanto a quelli di un chimico. Meglio arrenderci al mistero, e continuare a gustare quella visione dolce dolce della casetta di Acacia. 

Infatti, proprio sotto al ramo su cui sorgeva il laboratorio, era appesa una serie ordinata di barattoli di miele appena confezionati. Tutti in vendita, con tanto di cartellino con il prezzo. E, meglio ancora (per noi umani) a misura di cucchiaio! Si trattava proprio di prodotti destinati ai clienti di dimensioni “giganti” (per una beccaccia), che sarebbero presto giunti ad assaggiare il miele del nuovo raccolto. Compariva l’acacia, svettante al centro, ma accanto anche altre varietà interessanti: girasole, corposo e brunito; tarassaco, giallo canarino e ben compatto; castagno, scurissimo e cristallino. E poi altri, che non vi sto a elencare.

Passiamo alla casa, molto curata, con tendine ricamate a punto croce, e circondata di lanterne di carta. Perché, mi chiedete? Risponde la Beccaccia: le api adoravano sentirsi in compagnia dei fiori anche la notte; dunque, quelle lanterne dalla carta a motivi fioriti soddisfavano il loro desiderio. 

Infine, ecco le dimore delle suddette operaie a strisce. Non normali arnie, ma qualcosa di molto simile a delle teiere di porcellana (c’è chi dice che lo fossero proprio). In questo modo, le api, cariche di nettare, si divertivano a scivolare dentro casa passando dal beccuccio; allo stesso tempo, bastava sollevare il coperchio, e il miele si estraeva con grande facilità. Invenzione degna del babbo ingegnere!

Finita l’esplorazione del luogo, la Risolartista assunse l’atteggiamento di “cliente” in cerca di miele, e si rivolse alla Beccaccia. In breve, le raccontò i pasticci che un vasetto un po’ troppo solido aveva provocato durante la colazione del mattino. Certo, non l’aveva acquistato da lei: nessuno degli esemplari esposti sembrava avere quel problema! Non conoscendo ancora la sua produzione deliziosa, però, si era dovuta arrangiare con quello che offriva il negozio sotto casa. Loro umani si dovevano adattare “all’offerta di mercato”, come dicono in gergo commerciale. 

Immaginatevi la sorpresa dell’artista, quando Acacia le rispose cinguettando (stava ancora ridendo per la scena del babbo che aveva sentito…) che anche in paese era possibile trovare il suo miele. Bastava sapere dove cercare.

… dove? So che siete curiosi. Fate un giretto all’edicola, e non rimarrete delusi. Ebbene sì: tra le riviste, c’era anche spazio per qualche pregiato vasetto di miele proveniente dal laboratorio della Beccaccia. Occorreva chiederlo espressamente, in quanto la fornitura non era particolarmente abbondante… ma, i buongustai, se vogliono soddisfare il loro palato, sanno faticare alla ricerca dei sapori migliori!

Dopo questa scoperta, finalmente, si giunse al punto. L’artista voleva fare il suo acquisto. Tuttavia, era molto indecisa su quale varietà scegliere. L’acacia la intrigava, ma anche il girasole, e il castagno, e il tarassaco. Quale prendere? Aveva solo una decina di euro. E il miele buono, si sa, ha il giusto prezzo. Risolse il dilemma l’uccellino apicoltore: non solo le fece lo sconto sull’acacia (il cartellino aveva scritto 12 euro al chilo!), ma le regalò come “campione di prova” un vasetto di millefiori appena uscito dal laboratorio. Millefiori che, in quanto “millefiori”, comprendeva tutti gli altri sapori tra cui la ragazzina era indecisa. Non avrebbe potuto portare a casa di meglio.

E così, con lo zainetto di cuoio carico di miele finalmente cremoso, se ne tornò a casa. Giusta giusta per merenda. Già diceva al babbo di portare sul tavolo il pacchetto delle fette biscottate, così da inaugurare subito il nuovo barattolo di nettare…

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