Prendete un agrume. A voi la scelta del frutto di partenza. Arance dello Zar, arance Vaniglia, bergamotti, cedri, o limoni. Le scorze variopinte fanno girotondo, in equilibrio precario sul bordo della ciotola.
Svetta il giallo del cedro, modellato in quella sua forma allungata, iconica e insolita. Insolita… in quella compagnia di corpuscoli tondi, al massimo un po’ schiacciati. Ad accomunarli la scorza: ruvida, porosa, un piacere che passa sotto le dita.
E, poi, l’essenza. L’aroma. Intensissimo. Inebriante. Un’immersione negli agrumeti calabresi, loro terra natia, che rinfresca l’animo intorpidito dall’inverno. Laggiù, probabilmente, già saluta da lontano l’estate.
Qui, invece, ancora il campo fatica a risvegliarsi. Qui c’è il bruno della terra silente, che non vuole abbandonare il suo letargo invernale.
Ed è così che si ha una scorza dal profumo del sole, e un cuore di spicchi di segale scura. Caldo e freddo, allegria e silenzio: due opposti che, a guardarli bene, si completano l’un l’altro.
Se gli agrumi annunciano l’estate, la segale saluta l’inverno. Il contatto genera equilibrio. quell’equilibrio della natura che avvicina l’uomo al vero, all’essenza della natura, alla sua propria completezza. E ci si perde in una ciotola piena di frutta, con qualche fetta di pane accanto.
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