Tag: cucina

Gastronomia braidense: le quattro tele mangerecce di Vincenzo Campi

Gastronomia braidense: le quattro tele mangerecce di Vincenzo Campi

Se passaste tra le sale della Pinacoteca di Brera all’ora di pranzo, o poc’anzi la cena, potreste sentire un certo profumino invitante… Seguitelo, e vi troverete in quell’ampia area centrale, in cui sono esposte quattro tele dal contenuto “gourmet”, che ben giustificano quel suddetto odore 

Altorilievo su gnocchi di patate rosse

Altorilievo su gnocchi di patate rosse

Lo spirito d’artista voleva fare “i gnocchi”. Lo spirito d’artista voleva rivivere il piacere di sporcarsi le mani di patate schiacciate e farina, più e più volte vissuto nei suoi lontani agosti montani. Lo spirito d’artista voleva cimentarsi di nuovo nello scolpire e cesellare ad 

Un tramonto color polpa di fico

Un tramonto color polpa di fico

Acquerelli fichi frutta

Era quella la sera più calda di tutta l’estate. 

Così, almeno, non si stancavano mai di ripetere a ogni telegiornale che facesse capolino alla TV. 

“State in casa”, dicevano.

“Uscite solo se necessario”, proseguivano.

“Non mettete il naso fuori dalla porta durante le ore più calde”, proseguivano ancora. E con un fare a metà tra il preoccupato e il divertito. In fondo in fondo, e lo sapevano bene anche i giornalisti ( o giornalai, come li definiva il Babbo), i servizi sul caldo erano il tappabuchi dei notiziari agostani. 

Quando non c’era nient’altro di più interessante di cui parlare, salvo argomenti troppo “caldi” per essere trattati in modo approfondito (e ce n’erano di “caldi” davvero allora…), si passava al caldo.

Ecco che il caldo torrido diventava l’incipit di ogni telegiornale quotidiano. Ecco che compariva in prima pagina a ogni ora del giorno: mattino, pranzo, e sera. Anche la notte (quando l’aria era un po’ meno calda) non ci si privava mai del piacere di ricordare alla gente quanto facesse caldo. 

I rischi per certe persone c’erano davvero. Tuttavia, le regole d’oro di bere tanto, non andare a comprare il latte alle due del pomeriggio, ed evitare grigliate miste di cinghiale a pranzo, erano piuttosto risapute. Non a caso, ogni anno erano sempre le stesse…

La Risolartista, da brava cittadina lacustre villeggiante in una delle regioni “più calde” della penisola (ditemi voi quali erano quelle “fresche”), seguiva (quasi) alla lettera i consigli dei giornalai del TG.

Se ne stava in casa a sonnecchiare tranquilla tutta la notte, si alzava presto al mattino, e finiva la spesa entro le dieci. Poi, un po’ di acquerelli e cappuccino a un tavolino del bar, e per le unici era al sicuro tra le mura domestiche. Specifichiamo: il tavolino del bar era persino all’ombra, così si evitavano anche i raggi UV diretti. E anche i dermatologi erano soddisfatti.

Pranzo e pomeriggio trascorrevano al fresco, tra cucina, cameretta e soggiorno.

Finché non giungeva la sera.

La sera, ossia le sei passate, si poteva considerare al di fuori dalle cosiddette “ore più calde”. Dunque, mettere il naso fuori di casa era ammesso anche dai giornalai. Tanto più, visto che quello che si doveva fare era una commissione più che necessaria.

La Risolartista, alle sei di sera del giorno più caldo di agosto, doveva andare ad assaporare i colori del tramonto.

Era un dovere artistico di massima importanza. E doveva essere fatto per bene. 

Tutte le sere precedenti (già parte integrante del “periodo più infuocato dell’anno”), il Babbo Antonello aveva continuato a citare un certo “tramonto africano”. Così definiva il calar del sole in quelle sere roventi, non molto distante da ciò che doveva avvenire in piena savana. 

Il tramonto africano, da quel che la Risolartista aveva capito dalla descrizione, era un tramonto dai colori intensi, brillanti e decisamente caldi. Colori, che in fondo, rientravano nella sua palette cromatica preferita. 

Se le sere precedenti si era persa ogni volta quello spettacolo, quel giorno voleva vederlo. Vederlo davvero, con i suoi fanali blu dietro gli occhialetti rossi. Vederlo dalla riva di Monte del Lago, proprio a due passi dal pontile. Quella sarebbe stata la posizione perfetta per ammirare i colori del tramonto africano in tutto il loro (rovente) splendore.

In realtà, c’era anche un altro motivo (molto gustoso) per ritenere necessaria quell’uscita serale. 

Giusto il giorno prima, il Cane Leccino le aveva fatto sapere che i fichi di Monte del Lago erano quasi maturi. 

In quei giorni, il Bassetto aveva pensato bene di rifugiarsi al fresco nello scantinato del frantoio (furbo, lui!). Le sue necessarie (davvero) passeggiatine quotidiane avevano luogo di conseguenza lungo la riva del suddetto promontorio roccioso. 

Avanti e indietro, indietro e avanti sotto gli immensi alberi di fichi che popolavano il limitare del Monte. Così lui passava le ore più fresche del giorno, come, del resto, facevano anche gli altri colleghi cani con relativi padroni. 

In tali occasioni, non aveva mancato di osservare attentamente la maturazione dei frutti, che, con il caldo africano degli ultimi giorni, era proceduta a ritmo ben sostenuto. 

Da Cane Bassetto che era, non poteva sperare di toccarne con zampa il grado di morbidezza; tuttavia, i padroni a spasso facevano tale lavoro per lui. Li scrutava attento mentre si avvicinavano all’albero, alla ricerca di qualche esemplare maturo. 

I primi tentativi che aveva visto erano stati tutti vani: scoraggiati, i padroni si allontanavano presto, commentando che c’era poco da sperare di mangiare. 

Finalmente, il giorno prima dell’uscita della Risolartista, un fico era stato staccato, assaggiato, e ripetutamente complimentato dal relativo assaggiatore. Dunque, i fichi erano ormai in pronta maturazione! 

Certo, bisognava trovare la pianta giusta: era pieno di alberi con frutti così indietro che probabilmente non sarebbero mai diventati commestibili. Questi erano utili come deterrente per i creduloni, che si stancavano presto della ricerca. 

Leccino, da cane molto attento, aveva istruito bene l’amica artista al riguardo. Se non trovava nulla di commestibile sulle prime piante, non si doveva affatto scoraggiare. Quelle piante erano messe lì apposta per proteggere i fichi succosi dai curiosi turisti stranieri. 

Il turista medio, poco esperto del luogo, se tentava la prima pianta con scarso successo, desisteva già in partenza. La pianta fruttifera neppure più la considerava.

Il turista medio un po’ più agguerrito, invece, poteva forse avvicinarsi alla prima e anche alla seconda, ma mai alla terza. Troppe erano le energie sprecate per fare lo sforzo di alzare il braccio e sollevare le foglie. Troppo era il caldo che doveva sopportare per abbandonare il suo sentierino ombroso, e sfidare il pieno sole. Un paio di tentativi erano sostenibili, ma un terzo (e senza risultato) era fuori discussione. Meglio rinunciare al fico, e andarsi a bere qualcosa al bar vicino.

Dunque, se la Risolartista voleva conquistare il suo fico dalla polpa vermiglia, avrebbe dovuto sopportare anche il caldo del terzo tentativo. Dopo quello, però, sarebbe stata adeguatamente ricompensata.

Con questi consigli d’oro nella testa (ben più utili delle regole d’oro di sopravvivenza dei giornalai del TG), spinse la biciclettina fragolosa fino alla riva di Monte del Lago. Era determinata a dipingere la sua sera più calda dell’anno con il colore della polpa dei fichi. E con il loro dolcissimo sapore, in aggiunta. Sapore da gustare di fronte al suo desiderato “tramonto africano”. Chissà se sarebbe riuscita a tradurre tutto in realtà…

Leccino, all’ultimo, aveva desistito dal farle compagnia. Troppo caldo per la sua pelliccia. Mentre l’artista poteva concedersi il lusso di pantaloncini corti e canottiera, lui, il suo pelo maculato, non poteva certo lasciarlo nell’armadio! Si sarebbe accontentato del racconto dell’avventure, e, magari, di un fico (anche piccolino), che l’amica gli avrebbe portato in un momento più fresco. 

Motivo per cui, quando la biciclettina fragolosa si fermò al Monte, il silenzio della sera più calda dell’anno dominava sul Trasimeno.

Eccolo lì, il suo lago della sera più calda dell’anno. Eccolo lì, il suo tanto sospirato tramonto africano, che si scioglieva a poco a poco nello specchio calmo. Non un’onda quella sera, nemmeno un alito di vento a disturbare la quiete.

Di turisti vacanzieri al ritorno dalle spiagge non se ne vedevano. Due erano le alternative di spiegazione: o erano troppo lessati per avere le forze di alzarsi così presto (anche se erano quasi le sette) dall’asciugamano, o erano già rifugiati al fresco da tempo. 

La Risolartista era proprio sola.

Strano il non vedere nessuno a godersi con lei i colori di quel tramonto africano. Neanche cento metri più avanti, svoltata la roccia, c’era il ben noto Bar Laguna: meta pressoché quotidiana della gioventù lacustre amante degli aperitivi. In ogni serata “normale”, decine e decine di macchine, biciclette e Vespe non facevano altro che arrivare, parcheggiarsi, e ripartire dopo un cocktail in riva al lago. Di solito, quella stradina del Monte era molto affollata. Che fossero tutti già là, al Bar Laguna, a sorseggiare il loro Campari con vista sul tramonto? Chissà…

L’immagine dei divanetti affollati del locale, però, era poco credibile. Essendo all’aperto, non potevano godere dell’aria condizionata. E, senza aria condizionata ininterrottamente funzionante sopra la testa, solo la Risolartista aveva il coraggio di fermarsi in contemplazione.

In contemplazione, davanti a quel tramonto africano, lo era davvero. E ne valeva la pena: tavolozze di orizzonte così erano uno spettacolo raro. Raro, e per i pochi animi pittoreschi che si erano avventurati nel caldo di Lucifero (l’anticiclone di quell’anno) pur di gustarne i colori che aveva preparato per loro. In fondo, per quanto mortalmente rovente potesse essere, Lucifero era stato un bravo pittore di tramonti!

Ora che aveva gli occhi pieni di rosso vermiglio e arancio rosato, l’artista voleva procedere alla soddisfazione del suo secondo desiderio.

I fichi.

Seguendo diligentemente i consigli dell’amico cane, dopo aver toccato i frutti dei primi due alberi che comparivano al ciglio della stradina, non si perse d’animo. Se quelli erano più simili a delle piccole rocce, i prossimi sarebbero stati maturi. Doveva solo perseverare, sopportando ancora qualche metro di caldo e pieno sole.

Furono cinque minuti di caldo e pieno sole piuttosto caldi, e piuttosto in pieno sole. Il rischio di squagliarsi era più che presagito. Tuttavia, il trovare dei fichi morbidi, che cedevano al tocco delle dita imperlate di sudore, dava la forza per continuare.

E la raccolta, minuto dopo minuto, continuava.

Non fosse stato per l’aver esaurito le risorse idriche in corpo e il sacchettino in cui metterli, la raccolta dei fichi non avrebbe avuto breve fine. Quando ne ebbe staccati quasi una ventina, però, decise di rifugiarsi in una pozza di ombra abbandonando il pieno sole rovente.

Senza volerlo, aveva trovato un posticino panoramico perfetto, da cui poter gustare il suo primo fico con vista sul tramonto africano. 

Non poteva attendere di tornare a casa: il suo spiritello pittoresco fremeva dalla voglia di vedere le tinte dell’interno, e il suo palato chiamava il sapore zuccherino.

Scelto l’esemplare più maturo e dalla buccia brillante, lo spezzò delicatamente a metà.

Lo spettacolo della polpa fu improvvisamente liberato.

Uno spettacolo di colore, che sembrava riflettere ciò che avveniva all’orizzonte. Il sole del tramonto africano, vermiglio e a tratti spruzzato d’arancio, era tale e quale all’interno del suo fico. Tanto più, visto che tutt’attorno il resto del cielo era di una sfumatura bianco latte, al pari del contorno compatto della polpa.

Assaggiarlo pareva un peccato. Rompere quell’incanto cromatico pareva un peccato. Tuttavia, ne aveva un sacchettino pieno nel cestino della bicicletta. Se voleva continuare a vedere il tramonto riflesso nella polpa di fico, doveva solo allungare la mano, e far sbocciare un altro frutto con le sue mani d’artista.

La minestrina (o tavolozza) del pittore della domenica

La minestrina (o tavolozza) del pittore della domenica

Che sia agosto o novembre, l’estro pittorico della Risolartista non può rinunciare alla sua tavolozza di verdure della domenica sera. La minestrina con i colori di stagione è una costante dell’ultima cena della settimana, che fa da fonte cromatica indispensabile per i sette giorni a 

La Gatta Ittica

La Gatta Ittica

E la sua marmellata alle More di Rovo Salve a tutti! Sono Ittica, l’inconfondibile Gatta nera dell’Ittica di San Feliciano. … Non statevene lì tutti intimoriti; avvicinatevi! Non attraverserò la strada a nessuno, promesso! Comunque, non dovreste inquietarvi con inutili scaramanzie… io non sono un 

L’acquisto della Cucina Italiana (e altro) all’Altra Edicola

L’acquisto della Cucina Italiana (e altro) all’Altra Edicola

Cucina Italiana rivista in edicola

Come ogni inizio di mese che si rispetti, anche ad agosto c’era un’importante commissione artistico-culturale da compiere.

Si trattava di un acquisto. Un acquisto che era necessario ricordarsi di fare entro la prima settimana del mese, altrimenti si rischiava di rimanere a bocca asciutta…

Era un acquisto che diventava sempre fonte di ispirazione creativa per la Risolartista. Tanto per i contenuti di informazioni, quanto per le immagini e i colori. Forniva pigmenti di cultura (soprattutto gastronomica), e pigmenti di abbinamenti cromatici da rubare e reimpiegare nei suoi scarabocchi d’artista. Una risorsa essenziale, insomma… come un modello per un ritrattista che si trova a dipingere dal vero.

Che cos’era? L’unica, inimitabile, e storica rivista di cucina. L’esimia Cucina Italiana

Dal 1929 ai nostri giorni, le pagine della Cucina Italiana avevano ispirato (e continuavano a ispirare) le casalinghe di ogni epoca. Se in passato le lettrici erano “casalinghe” per davvero, con gli anni il pubblico si era evoluto, tanto quanto i contenuti. Le nuove appassionate della rivista, infatti, appartenevano ai generi più svariati. C’era chi passava le sue giornate ai fornelli, seguendo ogni ricetta parola per parola, come fossero brani della Bibbia. 

C’era chi prendeva spunto qua e là, innovando il solito menu settimanale.

C’era chi si asteneva dai fornelli, cogliendo più le ispirazioni di assaggi e ristoranti, che le varie rubriche turistiche offrivano.

C’era chi, come la Nonna Ginia, la comprava più per affetto, che per altro, essendo ormai esperta almeno quanto gli stessi scrittori. 

E, infine, c’era la Risolartista. Lei aveva una serie di motivazioni tutte pittoresche per perseverare nel suo acquisto mensile. Come già detto, ciò che più le interessava erano i colori e i bocconcini di cultura che vi poteva trarre dalle pagine. La copertina, con la sua foto dalle tinte sgargianti e allegre, era sempre un’infusione di creatività, che seguiva il ritmo delle stagioni. Le rubriche sparse prima e dopo il “Ricettario del mese”, invece, facevano da preziosi saggi su curiosi ingredienti, indirizzi fiabeschi nascosti tra le regioni italiane, e storie di ristoranti e ristoratori. Insomma, ogni mese c’era di che imparare, e di che creare di conseguenza…

Così, anche in quell’inizio agosto lacustre, la Risolartista non mancò di onorare il suo acquisto del mese. 

Lo fece di giovedì, in una bella mattina di sole, giusto un po’ ventosa, quando ancora il paese era assonnato. Un’oretta, e gran parte degli abitanti (uomini) più venerandi avrebbero messo il naso fuori di casa, dirigendosi come prima cosa a comperare il giornale. Delle venerande matrone non c’era da preoccuparsi: erano tutte intente in coda dal Signor Sergio a prendere la verdura…

L’abitudine di cominciare la giornata con il suddetto giornale nella tasca dietro dei calzoni (o nella borsa) è qualcosa di universalmente diffuso. San Feliciano non faceva eccezione. Dunque, se si superavano le nove (orario di uscita dei venerandi mariti), la fila all’Altra Edicola era assicurata.

E non c’era un altra edicola alternativa in cui andare a recuperare la tanto bramata rivista di cucina. Malgrado si chiamasse “Altra” Edicola, l’Altra Edicola era l’unica edicola del paese. Era già tanto che ce ne fosse una…

Il nome era ingannevole. Di certo, quell’Altra non si riferiva al fatto che fosse la seconda edicola, dopo l’Edicola punto e basta. Poteva piuttosto riferirsi al fatto che non era la solita edicola banale e convenzionale che ci si aspetterebbe. In effetti, era un’edicola singolare, e decisamente pittoresca. Perfetta per l’acquisto della Cucina Italiana da parte della Risolartista.

Già che ci siamo (per dare un po’ di contesto alla scena), vedrò di dipingervi una panoramica di tutta quell’altra roba che si poteva trovare là dentro, e che giustificava bene il nome di Altra Edicola.

Prima di tutto, in quanto edicola, l’Altra Edicola vendeva quotidiani e riviste varie. Ce n’era un po’ per tutti quelli che potevano essere i gusti dei paesani: da quelle di cucina (Cucina Italiana compresa), a quelle di cucito, motori, e persino quelle con gli adesivi per i bambini. Niente che non si potesse trovare anche in un’edicola normale.

Poi, come sempre molte altre edicole offrono, c’era un piccolo scaffale con libri e guide turistiche; queste ultime particolarmente approfondite su strade e itinerari dell’Umbria. Giusto accanto, comparivano giochi e giocattoli vari, tra cui qualche bambola con anche i vestitini di ricambio, che avrebbe fatto gola a qualsiasi bimbetta di città.

E con questi si concludevano gli articoli da edicola

Cominciavano, poi, i prodotti di cancelleria, che nelle cartolerie vanno via come il pane. Penne, matite, quaderni, e tutto l’occorrente per le ore di arte di scuole medie ed elementari. Giustamente, non essendoci un cartolaio in paese, l’Altra Edicola si ritrovava a farne le veci. E lo faceva anche per benino, offrendo persino quaderni tutti a fiori, che più volte la Risolartista si era trovata a comperare.

Mancando anche una profumeria nei dintorni, l’Altra Edicola, tra le altre cose, vendeva trucchi, accessori per capelli, collane, braccialetti e chincaglierie simili. La farmacia lì di fronte faceva concorrenza solo con creme e profumi; il resto della bigiotteria e del maquillage era tutto suo monopolio esclusivo. Nell’offerta di trucchi c’era qualcosa di curioso: la proprietaria dell’edicola doveva avere la passione per le cose naturali. Quasi tutti i prodotti avevano ben poco di industriale, e molto più di artigianale e Green, come piace definirlo oggi. Tanto meglio: i colori, neutri e pastello, erano molto graditi alla Mamma Monica (che in passato li aveva provati).

Ciò che di altro più stupiva, però, era la componente gastronomica dell’Altra Edicola. Quella rappresentava davvero un unicum nel panorama delle normali edicole (cittadine e non).

C’era tutta una credenzina bianco latte dedicata a prodotti mangerecci; a prodotti molto singolari. Pittoreschi, già che ci siamo. Non vi dovete aspettare salumi e formaggi tipici, come potrebbero vendere i negozi di souvenir. Piuttosto, c’erano olio d’oliva, miele, e infusi… a profusione!

L’olio d’oliva, poi, non era comune olio d’oliva. Era il signor Olio Extravergine d’Oliva dei Fratelli Palombaro; quello di cui si occupava il Bassetto Leccino. 

Il Cane del Frantoio, oltre a controllare la produzione, si assicurava anche che la vendita avvenisse nel modo giusto. Le bottiglie dovevano essere esposte in una bella composizione, e al riparo dalla luce diretta. Le scorte, poi, era necessario che fossero tenute al buio, e al fresco: pena il danneggiare irrimediabilmente il prezioso olio! Non era un qualsiasi prodotto da edicola… doveva essere trattato con ogni riguardo! Ben più dei giornali…

Per quel che riguardava il miele, era tutto prodotto nel confine della regione. Ce n’era di vario tipo: dall’acacia divinamente dolce, all’amarognolo castagno. E c’era anche il polline in granelli (davvero rarissimo).

Infine, avevo citato gli infusi. Erano così tanti, da meritarsi un catalogo tutto per loro. Ogni barattolo di latta recava una targhettina ricca di erbe, frutti e spezie assai invitanti. Veniva proprio voglia di mettersi ad annusarli a uno a uno. Qui, però, è solo uno l’infuso che ci interessa, e lo scoprirete a breve…

Nel contesto di Altra Edicola che è stato appena descritto, la Risolartista entrò con Leccino (che doveva controllare la mise en place dell’olio) a fare il suo acquisto. Anzi, a fare i suoi due acquisti. 

Il primo, già svelato, era la Cucina Italiana del mese di agosto. Uno splendido numero variopinto, con un timballo di pasta a forma di budino gigante in copertina. Aveva dei colori così vibranti, da far venire voglia all’artista di dipingere già anche solo la fotografia di copertina… (cosa che fece ben presto!). 

Insieme alla rivista, però, decise di portare su a casa anche un’altra cosuccia. Un’altra necessità (golosa) che doveva presto soddisfare, e che decisamente rientrava tra le altre cose in vendita. Era un piccolo pacchettino dalla carta trasparente, che faceva intuire il contenuto: un miscuglio di erbette, frutta essiccata, radici di zenzero e… polline (anche quello, sì). Che cos’era? Il cosiddetto “Infuso Zenzero e Miele”, come citava la targhettina. Il preferito della Risolartista (e anche del Babbo e della Mamma). Non c’era serata lacustre che non terminasse con una tazza tiepida di quell’infuso, per addolcire gli imminenti sogni notturni. Non c’era altro posto in cui trovarlo, se non tra l’altro dell’Altra Edicola.

Con la Cucina Italiana sotto il braccio, e il pacchettino nella borsetta, l’artista uscì dal negozietto. Era dunque pronta a immergersi nella sua lettura fresca fresca di stampa. Lettura che, per fare il controllo qualità, sarebbe stata accompagnata subito da un sorso (o anche due) del dolcissimo infuso al miele appena conquistato.

Cose possibili solo facendo acquisti da edicola e altri acquisti meno da edicola, all’Altra Edicola di San Feliciano…

La Casa dei Nonni

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E il servizio completo (senza tempo) Petit Fleur La Casa dei Nonni, più che una semplice casa, potrebbe essere definita un museo. Un museo di storie e di quotidianità vissuta, che ha come collezione permanente e principale il servizio di piatti Petit Fleur. Se lo 

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E i suoi Frollini Orzo e Latte Già dalla confezione dei Frollini Orzo e Latte, con tanto di scritte in corsivo che enumerano gli ingredienti di alta qualità, si capisce con chi abbiamo a che fare. La Nonna Ginia non è una consumatrice che si