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Fiabe braidensi – Il roseto più rigoglioso della Pinacoteca

Fiabe braidensi – Il roseto più rigoglioso della Pinacoteca

Quel giorno, poco prima di varcare la soglia della “Galleria degli Affreschi”, la Risolartista fece (quasi) uno scontro curioso. Si ritrovò sulla traiettoria di un personaggio piuttosto ingombrante, quanto molto insolito da trovare in un museo. Era un giardiniere.  Era un giardiniere vero, anche se 

Fiabe Braidensi – Nel Presepe del Bergognone

Fiabe Braidensi – Nel Presepe del Bergognone

Il Bambinello era nato. Era nato anche alla Pinacoteca di Brera. Così come i pastori, secoli e secoli prima, avevano ricevuto l’annuncio da un angelo, così anche la Risolartista sentì una chiamata speciale.  Osservando il presepe che aveva costruito con tanta cura sotto il suo 

Fiabe braidensi – “Sono Fernanda l’orsetta di Brera”

Fiabe braidensi – “Sono Fernanda l’orsetta di Brera”

Era la Vigilia di Natale, e la Risolartista aveva deciso di passare quel magico tempo di attesa nella sua seconda casa…

La Pinacoteca di Brera, molto più tranquilla del solito, la circondava con il suo tepore variopinto, mentre ormai il sole scompariva all’orizzonte. Pochi erano i visitatori (quasi tutti stranieri) che gironzolavano affascinati nelle grandi sale napoleoniche. I Milanesi, a quanto pareva, avevano deciso di trascorrere altrove il loro 24 dicembre. La piccola artista, però, era diversa dalla gente comune: per lei, la Vigilia migliore poteva essere solo quella in compagnia dei suoi amati pittori braidensi. Dopo tutto, se il Natale era prima di tutto la venuta del Bambinello, vederlo ritratto quasi su ogni parete era un buon modo per aspettarlo a braccia aperte. Piuttosto che riempirsi gli occhi con le solite lucine e i pacchetti, lì si poteva osservare il visino dolce di Gesù, dipinto dal Luini o dal Solario. Lì si poteva ammirare la Madonna, con le sue vesti morbidamente panneggiate, oppure figurarsi i lontani paesaggi nei dintorni di Betlemme. Insomma, una Vigilia di Natale passata alla Pinacoteca era davvero speciale.

La magia di quei momenti, però, stava per essere messa in secondo piano, da quello che accadde poco dopo. 

Mentre era intenta a scrutare i ritratti del Lotto, nella piccola saletta chiamata “Galleria dei Ritratti” (… perché piena di ritratti!), la Risolartista si accorse di un curioso pacchetto regalo incartato per benino, con tanto di fiocco, abbandonato in un angolo. Subito pensò che qualche bimbo, nella fretta di vedere tutte le sale, l’avesse perduto lì. Pensò di prenderlo con sé, sperando che ci fosse scritto qualche indizio sul suo destinatario. In effetti, un destinatario c’era, ma era lei.

Sul bigliettino, con grafia minuziosa ed elegante, c’era un messaggio di auguri con il suo nome. E c’era persino il mittente: il signor Bradburne, il direttore della Pinacoteca. 

“A un’artista speciale, dono un’amica speciale con cui condividere e costruire il nuovo museo vivente.” 

Che frase enigmatica. Il “nuovo museo vivente”… che cosa poteva significare? La Risolartista, in realtà, un’idea ce l’aveva. Il “museo vivente” era il progetto che Fernanda Wittgens, direttrice di Brera negli anni ’50, avrebbe voluto realizzare. Si trattava di una visione innovativa del modo di accogliere i visitatori al museo: una vera sovversione della tradizione. Se i musei avevano sempre pensato solo a esporre la loro bella collezione (dando poca importanza ai visitatori e alla loro soddisfazione), lei propose per prima un obiettivo diverso. Il suo museo vivente avrebbe dovuto aprirsi al pubblico, e ai cittadini prima di tutto, invitandoli a dialogare con le opere, e a lasciarsi coinvolgere e appassionare. Brera sarebbe diventata così un punto importante della città, un luogo di visita quotidiano per le persone, un posto in cui passare il proprio tempo imparando e divertendosi allo stesso tempo. 

… Era un progetto bellissimo. Un progetto, che, però, fu bruscamente interrotto con la morte della grande direttrice. Per fortuna, il suo successore, il signor Russoli, si impegnò a portarlo avanti. 

Dopo di lui, ci fu un lungo periodo di “stallo”, in cui tutti i progressi che Brera aveva fatto (pensate che era arrivata anche a ospitare sfilate di moda!) andarono perduti. Finché, non giunse un nuovo personaggio pronto a ricostruire il museo vivente di Fernanda: il signor James Bradburne. La strada era ancora lunga, ma già il suo impegno per aprire la Pinacoteca ad accogliere e appassionare i visitatori si vedeva.

Quel regalo proveniva da lui. Ed era per la Risolartista: forse anche lei, un giorno, avrebbe potuto prendere in mano il progetto di Fernanda, contribuendo in qualche modo alla sua realizzazione. Nel frattempo, continuava a imparare, a comprendere e conoscere lo spirito di Brera fino in fondo. 

Come è facile immaginare, non seppe resistere alla tentazione di scoprire cosa ci fosse nel pacchetto, e lo scartò. Vi trovò un’orsetta di pezza, color caramello, o meglio  color “Terra di Siena”. Era veramente adorabile. Certo, però, non capiva come l’avrebbe potuta aiutare a costruire il museo vivente: era pur sempre un giocattolo!

Chissà come mai, la magia del Natale (e di Brera) non ha mai fine. Le bastò metterla nello zaino, e portarla davanti al autoritratto di Sofonisba Anguissola (una pittrice donna!), perché questa cominciasse a parlare. 

Si chiamava Fernanda… proprio come la vecchia direttrice. In effetti, era stata proprio lei a cucirla, perché le facesse compagnia, prima in carcere, e poi nel suo ufficio di direzione. Dovete sapere, che Fernanda fu una grandissima donna, che, per difendere i suoi ideali, durante la Seconda Guerra mondiale, finì persino in prigione, per aver aiutato alcuni ebrei. Ciò che più ci interessa ricordare di lei qui, però, è il contributo che diede alla Pinacoteca, lottando per ricostruirla dopo che era stata distrutta dai bombardamenti. 

Come disse l’orsetta, proprio nel periodo più buio della sua vita, Fernanda l’aveva creata, perché le potesse dare conforto e aiuto a rimanere determinata verso i suoi obiettivi. Anno dopo anno, lei stessa, con i suoi occhietti di tessuto, aveva visto Brera rinascere, e diventare sempre più ricca e affollata. Da brava orsetta che ci sapeva fare con i bambini, aveva contribuito anche lei a ideare qualche proposta per i più piccoli: anche loro avevano il diritto di conoscere e capire le opere conservate in quelle bellissime sale! In fondo, gli scolaretti di allora, sarebbero presto diventati grandi; avendo già una certa cultura artistica, avrebbero potuto passarla ai loro figli, costruendo il futuro del museo. 

Potete capire come l’orsetta Fernanda fosse tanto brillante come “assistente museale”, quanto coltissima di pittura di ogni periodo. La direttrice era una storica dell’arte: si era impegnata fin da subito a passarle buona parte della sua cultura artistica. In fondo, non era possibile aiutare a a far nascere il museo vivente, senza conoscere il suo cuore da valorizzare. Un cuore fatto di opere e artisti del passato, meritevoli di essere condivisi con il pubblico più ampio possibile di cittadini. 

A sentire questi discorsi, la Risolartista rimase estasiata. Finalmente avrebbe avuto una compagna di passeggiate per le sale napoleoniche, nonché un’aiutante nel suo progetto per il futuro. Il signor Bradburne la aveva fatto davvero un meraviglioso regalo di Natale. 

Con l’orsetta Fernanda sulla spalla, ricominciò ad ammirare il ritratto di Sofonisba, certa che l’amica le avrebbe fatto scoprire qualcosa di nuovo. Non a caso, quel dipinto era uno dei preferiti di entrambe…

Un pomodoro gigante… per appetiti da lumaca

Un pomodoro gigante… per appetiti da lumaca

Dopo un mese di sole pressoché ininterrotto, finalmente giunse la pioggia. E non furono le solite “due gocce” d’acqua… Tuttavia, prima che le secchiate di pioggia ricoprissero i colli lacustri, il pomeriggio sembrava presagire soltanto una lieve acquerugiola, più rinfrescante che altro.  Confidando nella suddetta 

Alle radici della Fagiolina del Trasimeno

Alle radici della Fagiolina del Trasimeno

Mentre la Risolartista era nel bel mezzo delle sue compere quotidiane, il suo occhio attento cadde su una dicitura curiosa di una certa etichetta. “Prodotto lavorato a zampette con amore” Da questa curiosa dicitura, risalì, poi, alle zampette citate, che la condussero fino alle radici 

Melonfiere in volo

Melonfiere in volo

Mongolfiera libellula topolino pilota

In quel fresco (strano, ma vero!) pomeriggio agostano, il sesto senso d’arista era stato stuzzicato dalla voglia di melone. E, quando era il senso d’artista a parlare, significava sempre che c’era qualcosa di pittoresco in vista…

Per sapere cosa le rive del Trasimeno avevano in serbo per la Risolartista quella volta, occorreva seguire l’intuito, e fare ciò che questo suggeriva.

Dunque, se era giunto il desiderio di un bel melone fresco e profumato, era bene adoperarsi per recuperarlo. 

… Dove andare? Le alternative che offrivano meloni erano numerose. 

C’era prima di tutto il caro Bussolini sotto casa, che non mancava mai di avere una cassetta piena di meloni nel suo reparto ortofrutta. Tuttavia, erano meloni troppo convenzionalmente da supermercato per poter soddisfare il suo sesto senso d’artista. Quel giorno ci voleva altro…

Essendo giovedì, un’altra possibilità era il furgoncino del Signor Sergio, che svettava con l’ombrellone aperto in mezzo alla piazza. Anche lì, di meloni ce n’erano a profusione. Tanti i meloni, quanta anche la fila di persone in attesa di essere servite. E alla Risolartista non piaceva aspettare…

Di conseguenza, nemmeno il Signor Sergio faceva al caso suo.

Perciò, prese la sua biciclettina fragolosa, e si avviò in direzione degli orti in riva al lago. Fuori dal paese, lontano dai meloni troppo comuni e dozzinali, avrebbe certo trovato qualche esemplare sufficientemente pittoresco per lei. Dopo tutto, il senso d’artista aveva bisogno di frutta d’eccezione, per poter soddisfare il suo appetito di colori…

Mentre pedalava allegramente poco oltre la brughiera paludosa, appena superata la casetta del Signor Sauro, il suo occhio si illuminò, inducendo la biciclettina a fermarsi.

L’orto del Signor Carlo, situato di fronte alla suddetta casa, l’aveva chiamata. 

Era certa che avrebbe trovato un melone soddisfacente proprio laggiù…

Decisa a terminare lì la sua ricerca, accostò la biciclettina fragolosa al ciglio della strada, e la abbandonò lì, diretta all’orto in questione.

Era la prima volta, quell’anno, che ci metteva piede. Tra una cosa e l’altra, aveva sempre dirottato i suoi giretti pomeridiani altrove. 

Il caso (dispettoso) sembrava non volesse mai farle incontrare il proprietario di quell’orticello, ossia il Signor Carlo. Ogni volta che aveva intenzione di fargli visita, non lo trovava mai. Quando, invece, aveva un mucchio di altre faccende da sbrigare, e passava lì di fronte, lo vedeva intento a lavorare. In tali occasioni, non poteva che salutarlo, promettendogli che si sarebbe fermata da lui la prossima volta…

E, così, era arrivata fino agli ultimi giorni di agosto, senza essere ancora riuscita a fare visita all’orto del Signor Carlo. E la cosa le era assai dispiaciuta.

Le era dispiaciuta non soltanto per il piacere di far visita al suo amico agronomo-agricoltore (il Signor Carlo, specifico, era un vero esperto di piante, con tanto di laurea in agraria!), ma anche per il paesaggio che si perdeva.

Le sue coltivazioni, infatti, erano in un punto della riva del Trasimeno davvero incantevole. Passeggiando tra le piante di fragole (il Signor Carlo era universalmente famoso per la sua grande produzione di fragole), si poteva godere della vista sul lago, gustandosi a pieno i colori del tramonto. Non solo: sullo sfondo non mancava di comparire anche la brughiera paludosa, al cui centro sorgeva la curiosa dimora del Signor Sauro, l’amico e cugino del Babbo Antonello. E tale brughiera paludosa era un luogo squisitamente pittoresco, che qualcuno definiva anche incantato. Era di un verde pisello brillantissimo, continuamente animato dal volo degli uccelli lacustri di ogni razza e varietà. Sembrava quasi un terreno adatto a esibizioni aerostatiche di mongolfiere e dirigibili. Se avessero mai organizzato una fiera in cui far volare quei palloni pieni di aria calda, certamente l’avrebbero fatta laggiù…

Quando la Risolartista ebbe ammirato a sufficienza il paesaggio che gli orti offrivano quel giorno, si inoltrò nel verde alla ricerca del Signor Carlo.

E, finalmente, lo trovò.

Eccolo là, il suo amico agronomo-agricoltore, tutto intento a piantare giovani virgulti di broccoli e cavolfiori. Essendo ormai fine agosto, erano quelle le nuove varietà da “mettere a dimora”, così da poterle raccogliere in inverno. 

In realtà, non si stava occupando solo di quelle. Poco distanti, si vedevano anche file e file di piantine di fragole, che attendevano di essere sistemate a dovere. Evidentemente, gli ultimi giorni d’estate erano anche il momento adatto per trovare una casa a quei mucchi di foglioline frastagliate, che in primavera sarebbero stati carichi di corpuscoli rossi dal sapore dolcissimo. La Risolartista si ricordava molto bene le squisite fragole del Signor Carlo; ogni risolatte mattutino dell’aprile appena trascorso, infatti, era stato dipinto dal loro colore vermiglio. Non vedeva l’ora di poterle assaggiare di nuovo…

Quel giorno, però, era giunta nell’orto del Signor Carlo per cercare un melone. 

E un melone fu ciò che chiese, non appena l’ebbe allegramente salutato.

Melone, dunque, doveva essere. Purtroppo, però, per averlo, avrebbe dovuto aspettare un po’. L’agronomo-agricoltore, non appena ebbe sentito la richiesta, abbandonò le sue piante di cavolfiore, e si diresse verso il campo dei meloni. Essendo fine agosto, di frutti buoni ce n’erano ormai pochi: per trovarne uno che potesse soddisfare il suo palato d’artista, si doveva impegnare. Tuttavia, per la sua piccola amica appassionata di ortaggi, avrebbe tastato anche l’angolo più remoto del campo, alla ricerca del melone migliore! L’unico problema, appunto, era che ci avrebbe messo un po’.

Nel frattempo, la invitò a farsi un giro nel resto dei campi. Avrebbe trovato qualcosa con cui intrattenersi…

La Risolartista non se lo fece ripetere due volte: lasciò il Signor Carlo alla sua caccia al melone, e si diresse altrove.

Pochi passi, e un curioso manifesto la colse di sorpresa: che cosa ci faceva un manifesto tutto colorato appeso nel bel mezzo di un orto?

Avvicinandosi, lesse meglio di cosa si trattava. Era un manifesto che pubblicizzava il “Raduno delle Melonfiere”. Raduno che si sarebbe tenuto proprio la sera successiva, e proprio lì di fronte… lì, dove sorgeva la brughiera paludosa. 

Ma che cosa poteva essere mai una “melonfiera”? La Risolartista, come credo anche voi, se lo chiedeva con molta curiosità. Il disegno raffigurato sul cartellone aiutava a trovare una risposta.

Dovete immaginarvi una melonfiera come qualcosa a metà tra una mongolfiera e un melone. La forma era quella del melone, ma la funzione era quella della mongolfiera. Insomma, con una melonfiera si poteva volare, stando a bordo di un cestello a forma di tazza da tè appeso appena sotto.

E non era finita lì.

Per aiutare la melonfiera ad andare nella direzione giusta, non mancava una libellula gigante a trascinarla da davanti. Una trovata brillante, per risolvere il classico problema del vento che voleva sempre decidere dove trascinarla. In questo modo, la scelta della via era affidata al solo guidatore.

A proposito, chi poteva essere quel guidatore, così coraggioso da levarsi in aria sospeso sotto una melonfiera? Il disegno sul manifesto, purtroppo, non dava indizi al riguardo. La melonfiera era raffigurata… vuota! Per scoprire chi fossero i passeggeri di quei curiosi mezzi di trasporto, era necessario prendere parte al raduno.

La lettura del cartellone fu improvvisamente interrotta dall’arrivo del Signor Carlo: aveva trovato un melone! 

A guardarlo bene, non era proprio il migliore dei meloni che si potessero desiderare. Era piccolino, e non completamente maturo. Tuttavia, il profumo che si liberava dall’attaccatura era buono, e anche il colore della buccia offriva una squisita varietà di sfumature verdoline. La Risolartista lo avrebbe comunque saputo apprezzare…

In fin dei conti, era il meno peggio che l’agronomo-agricoltore era riuscito a rimediare. Tutti gli esemplari migliori erano inspiegabilmente scomparsi nel giro di pochissimi giorni. 

Come le raccontò, un paio di settimane prima il suo orto era pienissimo di meloni di ogni forma e dimensione. Ne aveva così tanti, da non sapere più a chi venderli! 

Improvvisamente, poi, una mattina di qualche giorno prima, si era reso conto di aver finito tutti i meloni. Lì per lì, non si era posto grandi domande, pensando che semplicemente fosse riuscito a darli via tutti la sera precedente. Gli era capitato altre volte che, per la stanchezza di fine lavoro, quasi non si accorgesse di quello che stava facendo… 

Eppure, quella razzia di meloni era decisamente strana. Inspiegabile… erano troppi per essere stati venduti tutti insieme!

La Risolartista, che aveva appena finito di leggere il manifesto del Raduno delle Melonfiere, cominciò a farsi un’idea della possibile spiegazione. Tuttavia, era presto per trarre le conclusioni. 

Quel che le sembrava chiaro, era il fatto che il Signor Carlo non avesse affatto letto il manifesto. Altrimenti si sarebbe accorto della probabile fine dei suoi meloni…

Quel che invece non le sembrava affatto chiaro, era come mai non lo avesse letto. Lavorando tutto il giorno in quell’orto, un’occhiata in quella direzione doveva pur essergli scappata!

Quando era sul punto di mostrarglielo, però, fu costretta a rinunciare al tentativo: proprio mentre finivano di parlare, una folata di vento aveva strappato il foglio, portandolo lontano chissà dove.

Pazienza: la sera successiva, il Signor Carlo avrebbe assistito a un evento a sorpresa.

Fu così che, ventiquattr’ore dopo, la RIsolartista si ripresentò puntuale all’orto del suo amico agronomo-agricoltore, trovandolo nuovamente al lavoro. Più che al lavoro: era così concentrato sulle sue piantine di broccolo che stava interrando, da non essersi accorto di tutto quello che gli stava accadendo accanto.

Non solo non fece caso all’arrivo della ragazzina, ma neppure a quei grandi preparativi che dovevano avere luogo lì già da qualche ora.

Preparativi, che, proprio in quel momento, erano sul finire.

Il grande Raduno delle Melonfiere era pronto per cominciare. Gli animaletti lacustri avevano quasi concluso il montaggio di tutto il necessario. 

La rampa di lancio era pronta. Rampa di lancio, che era costituita dal vialetto sterrato che separava l’orto delle fragole da quello dei meloni. Dovete immaginarvi un rettilineo adatto a far decollare una melonfiera (pensate a un aeroplano, se vi viene più semplice), ai cui lati erano state disposte delle bellissime ghirlande di edera e grappoli d’uva. Gli spettatori comparivano attorno, ed erano al momento più interessati alle ghirlande (colme di acini d’uva maturi!), che ad altro. Come biasimarli… l’evento doveva ancora iniziare, e loro stavano solo “ingannando l’attesa” mangiucchiandosi nel mentre qualcosina!

Ancora non ve l’ho detto: chi erano questi spettatori? 

Erano gli stessi soggetti che si stavano preparando, qualche metro più in là, a volare in cielo.

Erano topolini delle risaie. Deliziosi topolini delle risaie. Si trattava di quei piccoli roditori caratteristici del Trasimeno, che si nascondevano tra i cespugli delle colline, sempre intenti a sgranocchiare qualche frutto di bosco, o qualche acino d’uva. Come stavano giusto facendo in quell’occasione…

Se i topolini spettatori ingannavano “gustosamente” l’attesa, i topolini piloti di melonfiere, invece, erano pronti al lancio. Gli ultimi aggiustamenti furono fatti, le ultime corde strette per benino, e le libellule accarezzate per l’ultima volta dai rispettivi proprietari. 

Il Raduno delle Melonfiere poteva cominciare.

Mentre tutto questo avveniva, la Risolartista guardava, più curiosa che mai. Il Signor Carlo, invece, lavorava tranquillo, ignaro di quanto si stesse perdendo.

Finalmente, la prima melonfiera fu posta al limitare della rampa di lancio, e, dopo una buona rincorsa da parte della libellula trasportatrice, prese il volo in direzione del lago. Ecco che il melone-pallone aerostatico si gonfiò misteriosamente d’aria, riuscendo a sostenere tutta la macchina volante. 

Il topolino pilota che aveva avuto l’onore di cominciare l’evento era molto orgoglioso della cosa, e incitava la sua libellula ad andare più veloce, puntando dritto alla brughiera paludosa. Da quel che si poteva intuire dal resto della folla di topolini, doveva essere proprio la brughiera paludosa il terreno sopra cui tutte le melonfiere avrebbero volato. Altrimenti non ci si sarebbe potuto spiegare quel gran numero di animaletti che se ne stavano laggiù nell’erba verde brillante, in attesa che il primo velivolo comparisse sopra le loro testoline.

Dopo la prima melonfiera, si alzò la seconda, poi la terza e così via. Erano tantissime: almeno una cinquantina. Ognuna di esse, ovviamente, aveva il suo melone-pallone aerostatico a tenerla in aria. Il che, tirando le somme, spiegava la probabile fine che avevano fatto i misteriosi meloni del Signor Carlo.

A proposito del Signor Carlo… era arrivato il momento di interrompere il suo lavoro, invitandolo a unirsi ad ammirare uno spettacolo così insolito. Quando gli sarebbe più capitato di vedere i propri meloni volare per aria, trascinati da una libellula, e guidati da un topolino delle risaie a bordo di una tazzina da tè? Quel Raduno delle Melonfiere era molto più interessante dello stare a piantare i broccoletti…

La RIsolartista, quando si fu decisa ad abbandonare per un attimo la visione dell’evento, corse dall’agronomo-agricoltore, scuotendolo dal suo mondo dei sogni fatto di piante, e facendolo precipitare in un mondo altrettanto di sogni, ma fatto di melonfiere. 

La sua reazione, come è facile intuire, fu un composto esplosivo di incredulità e stupore. Descriverla sarebbe riduttivo. Vi basti sapere che si convinse ad alzarsi dall’orto, e a raggiungere l’artista nel mezzo della brughiera paludosa, per poter ammirare lo spettacolo dalla migliore prospettiva.

Eccoli lì, i suoi meloni scomparsi.

Eccoli lì, i suoi meloni più fragranti e variopinti.

Eccoli lì, trasformati in melonfiere a misura di topolino.

Eccoli lì, a galleggiare nel tramonto del Trasimeno, con l’Isola Polvese sullo sfondo, e il verde della brughiera attorno.

Eccoli lì, i suoi meloni. A pensarci bene, avevano fatto la fine più dolce e pittoresca che si potesse immaginare!

Il Gatto Grifolatte

Il Gatto Grifolatte

E la sua marmellata di pere Buongiorno a tutti! Prego, accomodatevi, mentre aspetto che il latte si scaldi, ne approfitto per la mia presentazione. Sono il Gatto Grifolatte… come ben si intende dal nome, di latte me ne intendo eccome! Tuttavia, mi è stato chiesto 

Costruendo una Torre degli Sciri di sottofiletto e ortaggi

Costruendo una Torre degli Sciri di sottofiletto e ortaggi

Quella sera, il menù della cena per la comunità dei Gatti di San Feliciano prevedeva la carne. Per quanto sia risaputo che i felini si nutrano soprattutto di pesce, in realtà, anche qualche bocconcino di manzo o di vitello non verrebbe mai rifiutato. Purché sia 

Un ciondolo incantato per l’artista

Un ciondolo incantato per l’artista

Carrozza zucca fiaba

Di lì a poco, il diciannove di agosto, sarebbe stato il mezzo-compleanno della Risolartista. I suoi amici gatti sanfelicianesi, con l’aggiunta del Bassetto Leccino, volevano farle un regalo per l’occasione. 

Doveva essere un regalo speciale. Doveva essere un regalo degno di un’artista dallo spirito etrusco. Doveva essere un regalo che le facesse ricordare il Trasimeno, e tutti i suoi abitanti (umani e non), ogni volta che lo guardasse.

Decidere in che cosa far consistere tale regalo, però, non era affatto semplice. Soprattutto dal punto di vista di un gatto. 

Fosse stato per il Gatto Grifolatte, le avrebbe regalato volentieri una fornitura annuale di latte Grifo a lunga conservazione. In questo modo, avrebbe potuto fare tutte le mattine il risolatte con il latte delle mucche perugine.

Fosse stato, invece, per il Gatto Cappelletto, l’idea migliore era un manuale di cucina in dialetto sanfelicianese, pieno di tutti i piatti della cucina locale. Dal famoso “Tegamaccio”, alla “Carpa Regina in Porchetta”; così avrebbe potuto cucinarsi i pesci di lago anche a Milano, seguendo le ricette originali. 

La Gatta Ittica aveva una visione ancora diversa. Per lei, il regalo ideale erano barattoli su barattoli di latterini e persico reale sott’olio, che si sarebbero conservati per tutto l’inverno. 

Già da queste tre idee citate, potete ben capire come la decisione fosse molto ardua e ingarbugliata. Tuttavia, andava pur presa. 

Per cercare una conclusione umanamente (e non “felinamente”) sensata, la comunità dei Gatti di San Feliciano decise di riunirsi al porto, organizzando un vero e proprio “consiglio” di paese.

Il Bassetto Leccino, unico cane ammesso, presiedeva la riunione, facendo da giudice imparziale. Aveva il compito di vagliare le proposte dei gatti, sottoponendole al suo punto di vista decisamente più vicino a quello di un umano. Se è risaputo che il cane è il migliore amico dell’uomo, significa che è anche capace di conoscerne meglio i desideri e le preferenze…

Le prime tre proposte già menzionate furono espresse… e bocciate! Il Babbo Antonello non sarebbe mai riuscito a portare a Milano nella loro macchinina né latte a lunga conservazione per un anno, né tantomeno chili e chili di pesciolini sott’olio. Il ricettario in dialetto sarebbe stato già più trasportabile, ma decisamente poco utile: le pescherie milanesi non vendevano le carpe regine, e tradurre i procedimenti dal perugino (per chi, come la Risolartista, non lo sapeva affatto) era piuttosto complesso.

Le altre idee che vennero fuori dalle menti feline erano una più improponibile dell’altra: niente che potesse essere concretamente realizzabile, o che potesse far piacevole a un non-gatto.

Finché, al Bassetto Leccino non venne un’ispirazione. E si rivelò essere l’ispirazione adatta al mezzo-compleanno di un’artista…

Perché anche voi la possiate apprezzare a pieno, però, c’è bisogno di creare un po’ di contesto. È infatti difficile che molti di voi conoscano la storia e i misteri del Castello di Zocco.

Per quel che riguarda la sua fama di avamposto difensivo del territorio lacustre, vi rimando a un prossimo racconto. Non è ciò che qui ci interessa. 

Piuttosto, è bene sapere del passato artistico e spirituale, per non dire incantato, che tale luogo possiede.

Il Castello di Zocco fu costruito intorno al 1274, accanto a un’antico convento francescano, con chiesetta annessa. Se in origine essa era dedicata alla Madonna, divenne poi presto nota come la “Chiesa di San Macario”. 

Poco prima della nascita del castello, a quanto si dice, una certa Donna Elena di Betto Cecco volle risistemare la suddetta chiesina originaria, ampliandola e arricchendola per testimoniare la sua devozione. Fino a non molto tempo fa, si poteva vedere, incisa su una parete, una scritta che riportava il suo nome in qualità di committente. Di certo, doveva essere una dama ricca e importante…

Sta di fatto, che tale chiesetta divenne la Chiesa di San Macario, con tanto di ritratto del santo realizzato dall’artista perugino Maestro Anton Maria nel 1294. Oggi ne potreste vedere forse i resti, come potreste anche vedere i resti… del resto. 

Il Castello di Zocco, infatti, con il passare dei secoli, perse di importanza, trasformandosi in villaggio di pescatori e poi in comunità di contadini. Infine, circa cinquant’anni fa, ciò che il tempo non aveva cancellato, fu distrutto da mani umane, che pensarono bene di prenderne “qualche pezzetto” da reimpiegare come materiale da costruzione.

Triste fine, per un simile castello in riva al Trasimeno…

Sentimentalismi a parte, il Castello di Zocco rimaneva un posto misterioso e incantato. Pochi umani lo sapevano (in quanto i suoi ruderi non erano visitabili), ma le sue stanze racchiudevano segreti con qualcosa di magico.

Il merito di ciò, forse, era da ricondurre a certi spiriti di antichi personaggi, che ancora si aggiravano per corridoi e rovine. 

Quanto state per leggere, è ancora oggi ignoto ai comuni abitanti locali: viene tutto dai racconti dei gatti (e dei cani), che hanno gentilmente concesso di svelare qualche particolare…

Ebbene, si miagola che Donna Elena in primis, e il Maestro Anton Maria dopo, avessero lasciato un segno nel castello. La prima, aveva fama di essere una dama molto raffinata, amante dei gioielli e delle opere di oreficeria. Il secondo, oltre che pittore, pareva fosse anche un abilissimo artigiano.

Proprio per questo era stato accolto alla corte, con l’incarico di creare manufatti preziosi per Donna Elena e il suo entourage di conoscenze. 

Si dice perfino che, per un certo periodo, il Castello di Zocco fosse stato rinomato per i monili che venivano sfornati dalla bottega che l’artista aveva aperto nel cortile dell’edificio.

Dovete dunque immaginarvi che i nobili lacustri facessero la fila per farsi realizzare su misura gioielli e suppellettili dal Maestro Anton Maria. Un po’ tutti, nei dintorni, se ne dovevano andare in giro sfoggiando diademi e bracciali ricchi di pietre e brillanti.

Tutta questa produzione sarebbe potuto continuare, se il corso della storia non avesse deciso diversamente.

Come spesso accade, i cambiamenti di gusti e la decadenza della nobiltà portarono a seppellire nei secoli tali capolavori di oreficeria.

Tuttavia, qualcosa era rimasto. Qualcosa era riuscito a sopravvivere negli anni, grazie, forse, all’aura protettrice di San Macario, il santo a cui la chiesetta era dedicata. Donna Elena, probabilmente, aveva capito che il tempo rischiava di distruggere tutta quell’arte che il suo Maestro Anton Maria aveva saputo creare. Perciò, aveva pensato di invocare il Santo, chiedendo la sua protezione.

Tant’è, che, quasi ottocento anni dopo, ancora l’anima dell’artista di corte si aggirava tra le rovine del Castello.

Non solo si aggirava, ma portava anche avanti la sua attività di artigiano…

In terra etrusca, e con San Macario a infondere la sua influenza mistica, potevano accadere anche cose altrove impensabili. Gli stranieri dovrebbero farci l’abitudine: le rive del Trasimeno sono piene di segreti misteriosi, per non dire… di magia!

Magia buona, per fortuna. Magia pittoresca, come quella che faceva sì che la bottega del Maestro Anton Maria fosse ancora in (quasi) piena attività. 

Certo, non ci si deve aspettare che fosse operativa dalle otto del mattino alle cinque di sera, come una normale bottega moderna richiederebbe. Per poter usufruire dei suoi servigi, occorreva portare in loco tutto il materiale necessario, e lasciare che l’artigiano lavorasse durante la notte. Gli spiriti non sono gente che si sveglia presto al mattino; piuttosto, prediligono le ore notturne per mettersi all’opera.

Malgrado queste abitudini insolite, il Maestro Anton Maria era rimasto abile quanto lo era secoli e secoli prima. I suoi gioielli (per i pochi clienti a cui era stata concessa la sua conoscenza) erano pezzi da museo. Incantevoli, scintillanti, e dallo stile raffinato, quanto unico. Se tali creazioni fossero cadute nelle mani dei giusti commercianti, avrebbero fatto una fortuna mondiale.

Tuttavia, rimanevano un lusso per una ristrettissima cerchia. E questo era parte integrante del loro valore. Valore che, come si diceva, non era solo estetico, ma anche magico. 

Pareva, infatti, che i suoi gioielli permettessero di fare sogni speciali, così belli e realistici da sembrare veri. C’è chi affermava di essere riuscito a fare dieci volte il giro del Lago in sella a un capriolo, strofinando il proprio anello prima di andare a dormire. C’è anche ci ricordava con delizia la sua nottata, passata a banchettare con torta al testo e pecorini vari, dopo aver lasciato il proprio fermacarte d’oro sul comodino.

Insomma, capite bene come un gioiello realizzato dalle mani di Maestro Anton Maria era il regalo perfetto per il mezzo-compleanno della Risolartista.

Fu Leccino, come già detto, ad avere questa brillante idea. Da assiduo frequentatore del Castello di Zocco (visto che ci abitava…), conosceva bene ciò che avveniva nella vecchia bottega diroccata durante certe notti. 

Appena propose di regalare all’amica artista un bel ciondolo da mettere al collo, tutti i gatti miagolarono in coro la loro approvazione. Quella sì, che era una trovata pittorescamente adatta a lei!

Scelto il regalo, però, c’era tutta un’altra lunga serie di cose da decidere e da trovare.

In primo luogo, bisognava pensare al soggetto: che forma dare al gioiello? Il Maestro avrebbe avuto bisogno di qualche linea guida chiara, per poter creare qualcosa di davvero soddisfacente.

Questa volta toccò al Gatto Cappelletto l’intuizione geniale: una zucca. La Risolartista, infatti, aveva passato metà della sua estate immersa tra i campi di zucche delle sue amiche contadine più che contadine. Di certo, se si fosse ritrovata una zucchetta dorata tra le mani, avrebbe subito ripensato al Lago, e alle sue avventure vissute laggiù. 

Il ragionamento non faceva una piega.

La Gatta Ittica, poi, propose anche un’altra cosa decisamente indovinata: piuttosto che una semplice “zucca”, sarebbe stata meglio una “carrozza a zucca”. Molto più fiabesca e pittoresca di un banale ortaggio. E poi, chissà che, con quel ciondolo al collo, l’artista non avrebbe potuto sognare di essere trasportata con quella carrozza tutt’attorno al Lago!

L’idea era magnifica, e fu approvata all’unanimità felina.

Infine, il Gatto Grifolatte, specificò meglio l’aspetto che avrebbe avuto il ciondolo. Ci sarebbe stata la zucca-carrozza, ma anche una piccola bacchetta magica accanto, per dare un tocco ancora più magico e creativo al tutto. E, poi, perché non appendere entrambi a una spilla da balia d’oro, da incatenare con la maglia della collanina? Anche questo tocco artistico parve a tutti particolarmente adatto alla Risolartista; un semplice ciondolo sarebbe stato per lei riduttivo.

Definito il progetto, Leccino si impegnò a disegnarlo su un pezzo di carta, che avrebbe consegnato la sera stessa al Maestro Anton Maria.

Il primo nodo era sciolto, ma rimanevano i materiali per il lavoro. 

Dovete sapere che, l’artigiano in questione, era anche abilissimo a trasformare certi oggetti in oro e pietre preziose. Dunque, per avere indietro il proprio gioiello, non serviva fornirgli pepite d’oro o diamanti grezzi. Serviva, invece, ciò che era caro o apprezzato dal destinatario. Mi spiego meglio: se si voleva regalare un anello pieno di rose a una bella signora, bastava reperire i boccioli migliori che si potessero trovare nei dintorni. Al resto, ci avrebbe pensato l’estro pittoresco del Maestro. 

Di conseguenza, per il ciondolo della Risolartista servivano fondamentalmente solo una zucca e una spilla da balia. In aggiunta, se si voleva anche dare qualche dettaglio sull’animale che avrebbe fatto da trasportatore del cocchio, occorrevano un crine di cavallo, o qualcosa di simile.

Il Gatto Cappelletto fu presto incaricato di andare a prendere una bella zucca nell’orto dei Verdi Orizzonti. Visto l’obiettivo di oreficeria, serviva una zucca dalla forma ineccepibile, e sufficientemente degna di trasformarsi in carrozza. Le Zucche Hokkaido, in questo caso, non erano adatte: la loro forma a cipolla era ben lontana dall’obiettivo. Piuttosto, era meglio scegliere una delle cosiddette “zucche poltrone”, ossia quelle tutte a spicchi, spruzzate di verde, e con la cappella schiacciata. 

Scelta la zucca migliore, questa fu portata al Castello, insieme alla spilla da balia. 

Era ormai quasi sera, e non c’era più tempo da perdere… l’indomani sarebbe stato il mezzo-compleanno della Risolartista, e al  Maestro attendeva una nottata intera di lavoro.

Purtroppo, nessun gatto era riuscito a staccare nemmeno un crine ai cavalli della zona (non che ce ne fossero molti a disposizione…). Si scelse, perciò, di optare su un’alternativa molto “alternativa”, ma altrettanto pittoresca da poter piacere alla destinataria.

Vi basti sapere che, quella notte, l’orafo si trovò a lavorare con una zucca poltrona, una spilla da balia… e una piuma di fagiano selvatico!

Cosa successe nella bottega del Castello di Zocco quella notte nessuno lo sa. Nemmeno al Bassetto fu concesso di dormire in loco per tutta la durata della lavorazione.

Sta di fatto che, la mattina seguente, un bel pacchettino con tanto di fiocco comparve davanti alla porta di ingresso della bottega: il Maestro Anton Maria aveva compiuto la sua opera.

Non restava che consegnare il regalo alla destinataria.

All’ora di colazione, una folla di gatti, capitanata da Leccino, si mise a miagolare “tanti auguri di mezzo-compleanno” sotto la finestra della cucina della Risolartista. 

Appena questa si accorse della melodia (pur di farli smettere per il bene della quiete paesana), corse giù a vedere che cosa fosse.

Quando vide gli amici che le porgevano il regalo, non resistette alla tentazione, e lo scartò immediatamente.

I suoi occhioni blu d’artista si commossero per ciò che vi trovò all’interno. 

Un piccolo ciondolo a forma di spilla da balia, con appesa una zucca-carrozza e una bacchetta, scintillava alla luce del sole. Scintillava d’oro rosato, e di pietruzze che sfumavano dal rubino all’ametista, a seconda del riflesso della luce.

Era davvero meraviglioso.

Pittoresco.

Fiabesco.

Di più: era magico. 

La sua magia si rivelò giusto giusto quella notte, quando l’artista andò a letto, strofinando il ciondolo a zucca prima di addormentarsi, come il Bassetto le aveva suggerito. 

Dal momento in cui si fu addormentata, fino al giorno seguente, fece uno dei sogni più belli che potesse desiderare. Sognò di volare sulla superficie del Trasimeno a bordo della sua zucca-carrozza, trainata da un fagiano selvatico dalle piume variopinte. Sognò di arrivare fino all’Isola Polvese, di esplorarla da cima a fondo, e poi di ripartire, visitando l’Isola Maggiore e la Minore. 

Quel che più la rese felice, però, era sapere che, anche quando sarebbe tornata nella sua città milanese, strofinando il ciondolo prima di andare a letto, avrebbe potuto rivivere tutto ciò. Avrebbe potuto fare ogni notte il giro del Lago, rivedendo i suoi posti magici, a bordo di quella carrozza incantata.

I millefiori dei Colli Perugini

I millefiori dei Colli Perugini

Il nuovo barattolo di miele troneggiava sulla tavola della colazione. Agosto aveva ormai superato il suo fatidico centro, volgendosi verso la sua consueta fine. Malgrado ciò, l’estate era ancora lunga, e i giorni in cui gustarne le delizie erano al pari numerosi. Delizie, che cominciavano