E i suoi Ciocofroll con le gocce di cioccolato La Mamma Monica in versione lacustre rinuncia volentieri al cacao nell’impasto dei biscotti, guadagnando una pioggia di gocce di cioccolato. I suoi Ciocofroll a forma di ciambellina sono una valida alternativa da rendere co-protagonista dei caffè …
E il servizio completo (senza tempo) Petit Fleur La Casa dei Nonni, più che una semplice casa, potrebbe essere definita un museo. Un museo di storie e di quotidianità vissuta, che ha come collezione permanente e principale il servizio di piatti Petit Fleur. Se lo …
La vita quotidiana in casa della Risolartista, fin dagli esordi post-luna di miele del Babbo e della Mamma, è sempre girata attorno a questo servizio da tè.
Se vogliamo essere precisi, il servizio originale (incluso nella lista di nozze) era composto da piatti, ciotole, marmitte, tazze e tazzine… quasi tutti gli oggetti di porcellana di una cucina, insomma.
Poi però, con gli anni (e i pasticci del Babbo), l’entità iniziale si è accidentalmente ridotta di numero. Se, all’inizio, ogni pezzo che accidentalmente si rompeva, poteva essere facilmente sostituito da un analogo esemplare acquistato di nuovo, da qualche anno non è più così. Quella storica collezione di Taitù, dallo sfondo giallo limone è andata fuori produzione…
Ed è un vero peccato: un design così pittoresco non si trova tutti i giorni. Soprattutto, non capita spesso di vedere una cucina riempita di stoviglie giallo acceso, e con tanto di fiorellini geometrici di tutti i colori disposti sul bordo (dei piatti…).
Non potete immaginare quanto la famiglia (e soprattutto il Babbo) sia affezionata a quei pochi pezzi rimasti, che hanno visto ogni genere di avventure accadere tutt’attorno. Ancora oggi, il servizio da tè e le ciotoline continuano a essere quotidianamente utilizzati in Via Cassano d’Adda. Il resto, dai piatti fondi, alle tazzine da caffè, è stato trasferito nella casetta sul Trasimeno, dove diventa protagonista di ogni giorno passato laggiù.
Se la porcellana avesse dei sentimenti (e chissà che non ce li abbia), sarebbe onorata dell’amore mostrato nei suoi confronti dalla Risolartista e dalla sua famigliola. Se poi potesse anche parlare, ne racconterebbe delle belle su ciò che si è trovata a contenere, o sentire, durante gli innumerevoli pranzi e cene ha cui ha partecipato…
La casa di Via Cassano d’Adda, infatti, è senza dubbio un luogo pittoresco. Dove vivono persone (e animali) pittoresche. E che fanno cose altrettanto pittoresche.
Dovendola presentare in generale, si può cominciare con il dire che si trova al sesto piano, e gode di una tripla esposizione, con bellissima vista su ben due strade (e che strade…), e sulla città nel suo complesso. La cameretta della Risolartista, poi, vanta (quasi) una vista ancor più di pregio: guarda in direzione della Madunina. Quel quasi che potreste vedere tra le righe si riferisce al palazzone che hanno deciso di tirare su quasi in linea d’aria tra la casa e il Duomo. Tuttavia, se ci si posiziona nel punto giusto, la cara Madunina saluta ancora dalla cima della sua guglia…
Con questa tripla esposizione che si ritrova, la casetta è decisamente luminosa: l’ideale per immortalare i frammenti di vita quotidiana nel loro colore migliore. Foto e disegni, di conseguenza, non possono che venire perfetti: come se ci si trovasse in un vero atelier.
Un atelier, in fondo, la casa di Via Cassano d’Adda lo è. Quadri di vari autori sono sparsi qua e là un po’ ovunque, contribuendo ad accendere di tinte variopinte ogni stanza. Ci sono quelli a olio fatti dalla Risolartista in persona, quelli ricamati dalla Nonna Gina, e altri acquistati da curiosi artisti milanesi e non.
Il preferito della figlioletta è una grande tela piena di gelsomini in fiore: opera di un pittore taggiasco, scelta espressamente da lei, quando aveva appena tre anni. Già si vedeva il suo spirito artistico in erba…
Il preferito di Artemisio, invece, è l’acquerello fatto dal Babbo Antonello. Unico esemplare uscito dalla sua mano, che nei suoi tempi d’oro doveva essere piuttosto abile. Si tratta di un vasetto con un mazzolino di papaveri, probabilmente raccolti durante una passeggiata in riva al Trasimeno.
Passiamo ai due pezzi forti: i balconi. Uno si affaccia sulla Via Cassano d’Adda, ed è ben poco utilizzato perché è così caldo da essere degno di un solarium…
Innumerevoli le volte in cui la Mamma Monica (anche se non lo dice) ha sperato in un suo accidentale crollo. Avere quegli inutili metri quadrati (sempre sporchi) in meno da pulire, sarebbe troppo bello per essere vero.
L’altro balcone, ben più grande e ombroso, è decisamente più utile. Lì risiedono tutte le piante della casa, che contribuiscono a creare proprio un terrazzino pittoresco. D’estate, con il fogliame verde e rigoglioso, sembra quasi un angolo di foresta tropicale. Soprattutto quando viene tirata giù la tenda (a righe gialle), che crea una luce dorata tipicamente esotica.
Si tratta di uno dei posti prediletti dalla Risolartista, per lavorare, disegnare e pensare alle sue trovate creative. Tanto più, visto che c’è sempre un buon profumino aromatico, emanato dal suo orticello, che ogni anno si riempie di basilico, rosmarino, timo e compagnia.
C’è, poi, la cameretta della Risolartista. Se vi dico che, al posto di un comodino e di una normale libreria, ci sono una credenza (da cucina) e un tostapane dipinto a mano con fiori e frutta, non ci credete. E fate male: il luogo in cui vengono schiacciati i sonnellini più pittoreschi ha proprio simili arredi. Altrimenti, il suo spiritello selvaggio non potrebbe essere ispirato a dovere!
Giusto per citare qualcos’altro, non mancano un servizio da tè, alcune scatole di latta decorate che in passato avevano contenuto panettoni, e una montagna di amici pelosi. Questi ultimi, per fortuna, non sono tutti in carne e ossa…
Infine, concludo con la stanza più importante per tutta la famiglia: la cucina. Ogni momento migliore è avvenuto lì. Ogni discussione più profonda, ogni colore più vivido, e ogni sapore più indimenticabile, hanno avuto come pubblico il vecchio tavolo di legno e le sue quattro seggiole Tonnet. Senza dimenticare il servizio da tè con cui abbiamo cominciato: quello, poi, ha toccato da vicino tutte le prelibatezze che sono state servite e gustate nel corso degli anni.
In fin dei conti, se ci si pensa, i momenti più magici della vita di una famiglia avvengono proprio attorno al tavolo della cucina. La convivialità e la gioia che si creano attorno a un piatto di pastasciutta (o a una ciotola di risolatte) sono qualcosa di unico. Impossibile da riprodurre altrove. È grazie a quei mobili bianchi, a quel tavolo di legno scricchiolante, e a quel servizio giallo limone, se i ricordi della Risolartista sono così pieni di momenti pittoreschi di quotidianità.
Era un personaggio curioso, quello con cui la Risolartista stava pedalando in un caldo pomeriggio di fine luglio. Molto curioso. Quasi pittoresco. Anzi no, meglio: fiabesco. Sembrava proprio uscito da una di quelle fiabe di un tempo, ambientate attorno agli incantevoli castelli bavaresi. Nel caso …
E il suo risolatte con Latte Fieno STG La Risolartista, per definizione, fa colazione tutte le mattine con una ciotola di risolatte. Solo il risolatte, infatti, sa risvegliare il suo spirito pittoresco, e mettere. In moto la sua creatività. Tuttavia, perché funzioni come si deve, …
Ogni giovedì mattina, la Risolartista si metteva a fare il pane.
Si svegliava qualche minuto prima del solito e, dopo il suo rituale yoga, dava da mangiare alla sua Trementina.
Chi era questa Trementina? Niente di meno che il lievito madre in persona! Il lievito madre domestico della Risolartista, ovviamente. Se siete curiosi, vi dò anche la spiegazione del nome…
Come un pittore utilizza la trementina (che è un solvente) per farsi aiutare a mescolare i colori a olio e dipingere la sua tela, così la Risolartista si avvaleva della sua Trementina per far lievitare il pane. Senza Trementina, niente pagnotte fragranti.
Ritornando al giovedì mattina, e all’ora di colazione per la precisione, era quello il momento in cui l’artista panificatrice (non “panettiera”, ma “panificatrice” mi raccomando) rinfrescava il lievito madre. Ossia, gli preparava una bella ciotola di acqua e farina, che i lieviti madre domestici preferiscono di gran lunga a biscotti e caffellatte.
Una volta fatto ciò, il pezzetto di Trementina che avrebbe usato per il suo pane veniva messo a lievitare sotto un canovaccio, in un angolo riparato della cucina.
Riparato non tanto dalle correnti d’aria fredda (a luglio se ne trovavano ben poche…), ma dal Babbo, che era sempre pronto a fare pasticci. Assonnato com’era di prima mattina, finiva spesso per scambiare il canovaccio del lievito madre con quello canonico per asciugarsi le mani. Numerose erano le volte in cui l’aveva preso per sbaglio, facendo precipitare a terra la povera ciotolina (ovviamente di porcellana!) con il pezzetto di Trementina! Meglio non rischiare ancora…
Tutta la mattina passava tranquilla, con la Risolartista che rimaneva immersa nelle sue creazioni (e nel suo smart-working domestico), e il lievito che fermentava allegro e solitario.
Finché, non giungeva il mezzogiorno. Ora di pranzo per i comuni mortali, ora di pranzo e di impasto anche per le aspiranti pagnotte.
La piccola panificatrice apriva la dispensa, sceglieva quale miscuglio di farine utilizzare quella volta, e si metteva a impastare. Non c’era mai un miscuglio uguale all’altro: erano così tanti i pacchetti di farina stipati in cucina, che era sempre possibile una combinazione diversa. Segale, grano tenero, Perciasacchi (scommetto che non lo conoscete), Timilia: nomi curiosi almeno quanto i loro relativi sapori. L’unica costante era la parola “Integrale” stampata su ogni etichetta. Erano anni ormai che in Via Cassano d’Adda non entrava più una triste e noiosa farina 00…
Quel giovedì di luglio, la Risolartista si fece tentare dal grano tenero integrale che veniva dagli Abruzzi: una farina speciale, che si era fatta inviare in quantità più che industriale (circa 8 chili!) da un mulino di sua conoscenza. Il pane avrebbe avuto il sapore dei campi mediterranei abruzzesi: era proprio adatto con la stagione estiva in corso!
Fatto l’impasto, rigorosamente a mano, con le sue manine da artista, quello venne messo a lievitare ancora, mentre la famigliola pranzava, riunita dopo i vari lavori mattutini.
Nel pomeriggio, la pagnotta fu formata, e poi messa in un nuovo recipiente (il cosiddetto “cestino di lievitazione”)… a lievitare ancora. In frigo, però.
Avrete capito come il pane della Risolartista fosse un pane a lunga lievitazione: ventiquattr’ore in tutto. Quella pagnotta appena fatta sarebbe andata in forno solo l’indomani mattina.
Il giovedì in questione non era solo un giovedì di pane. Si rivelò ben presto anche un giovedì di lavori nell’orto.
Quel pomeriggio, la Mamma Monica e la sua figlioletta, con Artemisio al seguito, pensarono bene di andare a fare una visita all’orto del Nonno Sergio, per controllare che tutto fosse in ordine.
Era luglio, e i nonni erano beati al mare, a prendere il sole, e fare quotidiani bagnetti nelle acque di Arma di Taggia. Avevano dunque lasciato (con il solito timore che qualcosa andasse storto…) il loro prezioso terrazzo (e orto) nelle mani di figli e nipoti.
Quando le due aspiranti giardiniere (e il cane controllore) furono giunte in Viale Bacchiglione, e salite fino all’ultimo piano della casa dei nonni, trovarono una sorpresa ad accoglierle.
Una sorpresa buona, per fortuna. E non il solito impianto di irrigazione che non funzionava…
L’orto del Nonno Sergio era pieno di macchie vermiglie. Non solo vermiglie, in realtà. Vermiglie, scarlatte, e persino alcune arancio e verdolino.
Cos’erano? Pomodorini! Una montagna di pomodorini finalmente maturi e desiderosi di essere raccolti. E non erano pomodorini comuni, bensì i “datterini”: i pomodorini più dolci e succosi che ci potessero essere. Le cure del Nonno Sergio dei mesi precedenti, poi, avevano dato i loro frutti. Ogni piantina era carica di grappoli variopinti che fin dal primo assaggio (fatto da Artemisio, che era silenzioso, ma sempre goloso) promettevano proprio bene…
La raccolta avvenne in breve, e un cestino colmo di corpuscoli rossi giunse al sicuro in Via Cassano d’Adda, pronto per essere gustato.
In realtà, il bottino della gita a casa dei nonni non fu solo fatto da datterini, ma anche da un curioso esemplare di Aglio di Vessalico. Si trattava di un bulbo speciale, che l’artista stessa aveva consigliato al Nonno Sergio di piantare durante l’inverno precedente. Il Nonno aveva accolto il suggerimento, e aveva avuto successo anche in quella produzione. Quella piccola testa d’aglio (la varietà di Vessalico è molto più piccola delle altre) aveva un aroma davvero invitante…
L’indomani mattina, l’aspirante pagnotta divenne realtà. Dopo ventiquattr’ore di lievitazione, la panificatrice recuperò la sua creazione, la cosparse di farina e semi di lino, e la infornò per più di un’ora.
Il risultato prometteva proprio bene. Anzi, benissimo. Il pane appena sfornato era tanto invitante, quanto i datterini e l’aglio del Nonno Sergio! Per creare un vero capolavoro d’artista, occorreva assemblare in un’unica opera quegli ingredienti.
Detto fatto. La Risolartista ebbe l’ispirazione gastronomica, e si mise a comporre la sua bruschetta. Pane con lievito madre ancora tiepido, una passata di Aglio di Vessalico e un giro d’olio d’oliva (chiaramente umbro!). Infine, una montagna di datterini a tingere di rosso la tela.
Non avrebbe potuto creare una bruschetta migliore. Una bruschetta in forma di tavolozza, fatta con i colori dell’orto del Nonno Sergio, e con una bella fetta di pane appena sfornato.
Il fico è proprio un bell’alberello… non lo pensate anche voi? Intanto è maestoso, con quelle foglie a forma di mano, che forniscono ombra e riparo dal sole, e dipingono di un bel verde ogni giardino. E, poi, è un albero che dà i suoi …
E i suoi Gran Cereale Classico Il “gran lavoratore” medio milanese DOC comincia la sua giornata con una buona dose di biscotti Gran Cerale Classico per colazione. O, almeno, questa è la versione del suddetto lavoratore nel personaggio del Nonno Sergio. Sul perché siano proprio …
Già dalla confezione dei Frollini Orzo e Latte, con tanto di scritte in corsivo che enumerano gli ingredienti di alta qualità, si capisce con chi abbiamo a che fare. La Nonna Ginia non è una consumatrice che si fa andare bene qualsiasi cosa: pretende solo il meglio. “Meglio poco, ma buono”. È questa la sua filosofia di spesa, ereditata già dai suoi genitori.
I biscotti in questione, nel loro essere tutt’altro che prodotti industriali, dicono molto sulla sua personalità raffinata. Tanto più, se vi rivelo che la Nonna è solita acquistarli presso la rinomata “Fabbrica di Marroni Canditi Giovanni Galli” (detta comunemente “Il Galli”). Si tratta di un prestigioso negozio a due passi dal Duomo, i cui dolci sono paragonabili a manufatti di gioielleria.
… Il fatto che, poi, gli stessi identici Frollini Orzo e Latte siano venduti anche in alcuni supermercati (a un prezzo decisamente più basso), poco importa. Chiedete la sua opinione, e la Nonna Ginia vi risponderà sempre che i biscotti comprati dal Galli sono più buoni. È il negozio a fare la differenza…
Viste le sue frolle quotidiane, è chiaro che la Nonna Gina ha un palato decisamente raffinato.
Un’ulteriore conferma di ciò è data dai suoi luoghi di acquisti abituali.
Per lei “andare a fare la spesa” non significa spingere il carrello tra gli scaffali del supermercato (o meglio, non solo). Piuttosto, si traduce nel passeggiare davanti ai banconi scintillanti e brulicanti di delizie dei negozi del centro. “Il Peck” rimane il suo preferito, quale posto in cui rifornirsi di carne, formaggi, pane e piatti pronti vari. Più che la qualità effettiva (un po’ carente rispetto al passato…), conta la qualità affettiva, data da anni e anni di pacchetti incartati con il nastro di raso (lì anche la bistecca la impacchettano così!), e portati a casa nel sacchetto giallo. E che sacchetto, a proposito: una confezione degna di una boutique di lusso!
Tutte le materie prime acquistate nei migliori indirizzi milanesi sono destinate a fare il loro ingresso trionfale nella cucina monumentale della Nonna Ginia.
Monumentale, la sua cucina lo è per davvero. Sei fornelli, quattro forni, e KitchenAid pluriaccessoriata sempre in funzione. Se a voi i vostri quattro fuochi sembrano troppi, sappiate che spesso la si sente dire che ci vorrebbe proprio un settimo fornello aggiuntivo…
Da questa sintetica descrizione della cucina (se dovessi continuare non finiremmo più), si deduce la passione della Nonna Gina per l’affaccendarsi tra pentole e padelle.
Non c’è ricetta che non colga come una sfida da vincere: più è ardua la preparazione, e più si impegnerà nello stupire i commensali con il risultato. E’ superfluo aggiungere che sono ben rare le volte in cui le ciambelle le riescono “senza buco”; ossia, qualsiasi cosa venga sfornata da uno dei suoi quattro forni è un successo quasi garantito.
Volendo citare due suoi piatti caratteristici (che ritroverete nelle storie), vi presento il Rotolo e le Linguine con la Conserva.
Il primo è un rotolo di sfoglia all’uovo, farcito con un ripieno di ricotta e spinaci, e poi tagliato a fette e condito con la Conserva di pomodoro. Si tratta del piatto preferito dalla Risolartista.
Le seconde, invece, sono il primo immancabile in quasi ogni pranzo (è infatti la passione del Nonno). Sembrerebbero semplici Linguine al sugo, ma, in realtà, sono molto di più. Tutto merito della sua Conserva di pomodoro, che viene fatta annualmente ogni estate, con i pomodori migliori della Riviera Ligure.
Quando la Nonna Ginia è in vacanza al mare (ad Arma di Taggia), infatti, al posto di riposarsi, armeggia ai fornelli anche là. Prima di tutto fa questa sua famosa Conserva, e la fa in quantità industriale, così da averne per tutto l’inverno.
Poi, si dedica alle marmellate: un altro suo cavallo di battaglia, che l’ha resa famosa tra tutti i parenti, e anche ben al di fuori dal nucleo familiare.
Non sto a enumerarvi le varietà di marmellata: sono così tante, che non ci starebbero affatto.
… Come non ci stanno mai, del resto, nella striminzita cantina della Nonna. È una cantina così piccolina, eppure sempre stipata di barattoli di ogni genere, da non chiudersi quasi! Ci sono tonnellate di conserva, e tonnellate di marmellate. Di tanto in tanto, il povero Nonno Sergio deve correre giù a rifare qualche ripiano pericolante…
Oltre alla passione per la cucina, va da sé che la Nonna Ginia abbia anche quella per la casa e la pulizia. Da casalinga di professione (una professione di tutto rispetto, visti i risultati di ogni sua opera!), si è sempre dedicata alla cura di ogni singolo dettaglio del suo focolare domestico.
L’elegante dimora di Viale Bacchiglione risplende ancora oggi solo grazie a lei. Agli occhi di un’artista sembra una reggia delle favole!
La sua casa, tra l’altro, ha anche uno splendido terrazzo, pieno di alberi da frutto, fiori e un bell’orto sempre in attività. Albicocche, fichi, uva, pomodori… anche qui per elencare tutte le specie vegetali ci vorrebbero pagine e pagine. Vi basti sapere che la Nonna Ginia è anche una giardiniera provetta.
Passiamo al suo tempo libero vacanziero, trascorso a viaggiare un po’ in tutto il mondo con il fedele Nonno Sergio (la Mamma Monica rimaneva sempre a casa…!). Entrambi amanti dei viaggi, non c’è angolo della Terra (o quasi) che non abbiano visto, e da cui non abbiano portato a casa qualcosa di buono. Qualcosa di buono in senso di cultura ed esperienze, prima di tutto; e, poi, qualcosa di buono in senso materiale. Le stanze di Viale Bacchiglione brulicano di suppellettili e mobili (tutti molto graziosi) provenienti da posti esotici e curiosi. Più che una casa, potrebbe essere definita un museo!
Infine, concludo con la forma d’arte praticata dalla Nonna Ginia, in cui si vede l’eredità pittorica nella Risolartista.
Si tratta del ricamo, e della maglia. In particolare, le doti della Nonna si esibiscono in quadretti completamente ricamati su sottili tele di lino, che ogni casa di famiglia ha appesi qua e là. Sono così belli da sembrare dipinti! È chiaro che sono un altro dettaglio utile a rendere ancor più “museo” la sua casetta-museo…
Per quanto riguarda la maglia, invece, potrei dire che abbiamo a che fare con una vera modista. Maglioni, giacche, gonne e vestiti: la Nonna Ginia sa fare di tutto. Di lana, di cotone, e persino di stoffa. Metà del guardaroba della nipotina è ancora piano delle sue creazioni.
Dunque, in sintesi, la Nonna Ginia è una persona che ama le cose belle, almeno quanto le sa anche produrre da sé. Il gusto per l’estetica e la bellezza è di casa! E le opere della Risolartista, per fortuna, sembrano rientrare piuttosto spesso (anche se non sempre sempre…) nei suoi rigidi canoni di raffinatezza.
E i suoi Frollini Integrali Il Babbo Antonello non comincia bene la giornata se non ha i suoi Frollini Integrali da riempire di marmellata di pesche (che è la sua preferita). È convinto che siano biscotti che “fanno bene”; o meglio, dice sempre che sono …